I.Fisicità
si tratta di un problema di contatto. la natura del contatto: il sentimento più forte che l’individuo possa provare. il contatto è quello che più ci manca, di questi tempi. starsene tutti incastrati con libertà di movimento praticamente nulla nei loculi ammobiliati che chiamiamo case, dietro porte iper-blindate, con sistemi d’allarme avveniristici, sbarre alle finestre e paranoie infinite nella scatola cranica, alla lunga, ci uccide. non a livello fisico, beninteso: molto più profondamente. per dire: è diventato naturale impegnarsi a elaborare complicati sistemi per tenere lontani gli altri, piuttosto che a renderli vicini.è un’affermazione antichissima (forse per questo è spesso dimenticata), ed è al contempo un segno deprimente del generale livello di ipocrisia: ‘siamo tutti figli di dio’, sì o no? pure laici, agnostici e atei convengono sul fatto che, in realtà, siamo tutti fratelli. tutti ugualmente umani. eppure, sembra che l’abbiamo dimenticato.
II. epidemia globale
oggi un signore ingobbito dalla vecchiaia e con una luce splendente nello sguardo, mi ha detto che è raro, oggigiorno, trovare uno sconosciuto che sorrida all’altro, che si mostri ben disposto nei suoi confronti.è così: la nostra quotidianità è colorata da depressione, degrado e alienazione: il sospetto è l’unica legge che rispettiamo. cresciuti in un mondo in cui autonomia individuale e amore per sé stessi, quando non sono irrisi, vengono costantemente, gradualmente, svalutati, è normale ridursi a una situazione di stallo, in cui tanti piccoli atomi, lontani l’uno dall’altro, sono pronti a scannarsi al minimo gesto.e quindi è naturale che una persona perfettamente normale (e non ontologicamente deviata, come si va ripetendo sui media propagandistici)- un ragioniere da Pistoia che si allena di quando in quando nei poligoni di tiro- imbracci l’arma e decida che altre persone- uguali in tutto e per tutto a lui- debbano smettere di vivere.
III. pensare lucidamente
la verità è che la paura dell’altro ci attanaglia, ma un’angoscia ben peggiore si concretizza sempre più prepotentemente nelle nostre vite: la solitudine. in realtà, si cerca la comunità ovunque. nel quartiere, nella città, nel tifo sportivo, nell’idem sentire politico, perversamente, nell’odio comune verso qualcuno o qualcosa. qualsiasi cosa, se guardiamo attentamente, è una scusa per avvicinarci agli altri. creiamo gli odiosi e assurdamente superficiali social network, gli speed-date, eccetera, perché- nelle nostre esistenze votate, o meglio: sacrificate- al capitale e al furore materialista non abbiamo nemmeno il tempo di instaurare relazioni umane vere. ci affidiamo alla tecnologia, alla cibernetica, alla scienza delle comunicazioni che ha divorato l’ambiente e ci ha lasciati sul precipizio dell’ecocrisi globale
chiudo riprendendo un titolo dal vangelo del rampante capitalista d’assalto modello standard, ovvero Forbes che- oramai un bel po’ di tempo fa (ma le cose, secondo me, non sono cambiate di una virgola, anzi)- domandava: com’è possibile che ci sentiamo così male, se le cose vanno tanto bene?
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