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Nettuno

Da Oichebelcastello

NETTUNO

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NETTUNO

Solo chi l’ha conosciuto ha potuto capire il motivo di tale soprannome.
Nettuno se ne stava seduto sulla sua sedia da regista interi pomeriggi immobile ad osservare il mare, al fresco dell’ombrellone degli omonimi bagni, cappello bianco da marinaio con tesa celeste, la pelle vistosamente aggrinzita e abbronzatissimo, sempre con i suoi occhiali a specchio.
La mattina non era sempre in spiaggia. Nonostante la sua veneranda età usciva da solo a pesca, sempre di notte e tornava nella tarda mattinata con pesci di ogni razza.
Vi potrei intrattenere con le innumerevoli tecniche di pesca, i trucchi applicati, leciti e non leciti.
Lui li conosceva tutti. Bollentino, filaccione, palamita, rete a strascico, nassa, polparine e molti altri, in ognuno si applicava e riusciva. Lui era il maestro.
Una volta mi mostrò la sua barca. Era orgoglioso del suo motore diesel sia per l’affidabilità che del consumo ridotto. La barca era un gozzo da pesca di sei o sette metri circa, con motore entrobordo.
Nettuno probabilmente nell’inverno dedicava molta cura alla manutenzione alla sua barca per sfoggiarla efficiente e ripulita nel periodo estivo.
Così come era capace di stare immobile per ore in riva al mare, nella sua barca diventava agile come un ballerino.
Sulla terra non riusciva a sfoggiare abilità e destrezza. O meglio, io la pensavo così.
Una volta infatti mi dovetti ricredere.
Quella mattina mi ero diretto come d’abitudine piazzare l’ombrellone nella spiaggia libera vicino ai bagni del marinaio vero di soprannome Nettuno.
C’era qualcosa di molto strano.
Osservai il mare. Era letteralmente piatto, come l’olio all’interno di una ampolla. Non si vedevano onde per centinaia di metri. Solo a riva impercettibili movimenti di pochi centimetri di altezza.
C’era poca gente in spiaggia. Non c’era vento, il cielo era cupo in ogni direzione, il sole non si era affacciato, come se qualcosa di molto potente lo stesse ostacolando.
Con la coda dell’occhio vidi Nettuno ansimante, mentre da solo spingeva la sua barca. Stava cercando di allontanare la barca dalla riva. Nel percorso in salita nell’arenile si aiutava con enormi rotoloni di plastica gonfiati a pressione. Doveva arrivare vicino al muretto della passeggiata lungomare, lì c’era un piccolo verricello e avrebbe alzato la barca dal terreno sabbioso.
Non riuscivo a comprendere il motivo di tanta urgenza.
Di sicuro lui sapeva qualcosa più di me. Forse le previsioni del tempo, o magari l’esperienza di lupo di mare.
Con un mare così piatto cosa poteva succedere di così brutto ? Me lo chiedevo io, ma anche molti bagnanti ignari con ombrelloni aperti e in attesa dell’arrivo del sole.
Nettuno sapeva. Chissà quante volte aveva visto il mare piatto in quel modo, e ricordava anche i momenti successivi.
Io feci il bagno nell’acqua calmissima ed era veramente una sensazione molto particolare, sembrava una piscina con acqua salata, mi crucciava però il comportamento di Nettuno e un po’ già immaginavo il seguito, ma intanto godevo della grande calma delle acque.
Di lì a poco si scatenò una delle più grosse burrasche che ricordi.
La gente scappò dalla spiaggia a gambe levate, non pioveva, ma si alzò un vento fortissimo, le onde coprirono tutti i quaranta metri di arenile, lambirono il muro e i getti d’acqua arrivarono oltre la metà della strada del lungomare.
La barca di Nettuno legata con decine di corde, coperta accuratamente con un grosso telo cerato e sospesa ai limiti dell’arenile si era salvata.
Altre barche ancorate a qualche decina di metri dalla spiaggia furono capovolte dalla furia delle onde e sommerse completamente.
Nettuno era un grande, una sola cosa con il mare.
Ne era parte, come avrebbe potuto rimanerne danneggiato ?


Archiviato in:Racconti Tagged: mare, meteorologia, pesca, Racconti brevi

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