Una mattina qualunque, un esame come ne ho fatti tanti. Ma perché sono di nuovo qui? Passo oltre la tenda, mi siedo. Compio gesti consueti: Bicipite libero, braccio allungato e gomito poggiato sul cuscinetto. Dita che stringono e schiudono il pugno. Sarà troppo presto? Ma no, minuta, carina, vocina: eccola.
- Eccomi -, infatti mi dice, e incurva la bocca, ma poco.
- Deve fare?- Lo dico. – Ah, bene! -, s’illumina tutta. Mi tocca smontare la sua esaltazione, mi sembra la prenda un po’ male. Sono triste, davvero, per lei.
- Mi dispiace – ecco appunto, si rabbuia in un attimo. Prosegue in silenzio, mi lega il laccetto sul braccio. Io che apro e richiudo da un po’, mi prendo un suo sguardo materno (ma è una bimba!, io penso, e intanto mi faccio piccina).
- È stanca? – Rifletto, che strano lo sappia. Ma è vero.
- Sì, tanto -. Tortuosa la strada fin là. Che strana la vita, che…
- Se è stanca, può anche fermarsi. Pugnetto un po’ chiuso – pugnetto? – Che intanto si gonfia la vena.
Di quella stanchezza parlava. Ma sì. Ne sorrido, la vedo strappare la carta, userà una farfalla, e mi sembra un po’ lenta. Curata nei gesti, capisco che è una novellina. Gli altri sono rapidi e bruschi e hanno certe siringhe. Ma lei mi farà molto male, lo sento.
- Di nuovo, se è pronta -, la sprono in un vago sorriso, – mi apra e mi chiuda, se può, la manina -. Se può? La manina?
- Così, brava -. Obbedisco mammina, ma insomma. È lì lì per stripparmi la vena! Una foglia nel vento sarebbe più salda: lei trema, è vistoso. Infila l’aghetto in venuzza (oddio, eccolo).
Una piuma di passero.
- Che brava! – E senti che dico. Che Brava d’Egitto, è un mestiere!
- Com’è andata? – Non so che rispondere. Mi premo l’ovatta da sola, mi alzo veloce, richiudo il cerotto che ha appena appoggiato. È orgogliosa di sè e lo sento il suo orgoglio, perciò la saluto e ringrazio, squillante, e le faccio anche:
- A presto!
Ma in fondo a me penso: Non voglio vederla mai più.
(Neuroni specchio. Tz).