In tempi in cui guerre e violenze continuate trovano troppo spazio ripetutamente sul nostro pianeta, mi piace ricordare un uomo, che ha amato, invece, tanto la pace da dimostrare al mondo intero che è possibile realizzarla anche lì dove, geograficamente e politicamente, tutto sembrerebbe smentirla.
Una persona molto speciale, insomma, un testimone che merita la nostra attenzione.
Parlo di Bruno Hussar, frate domenicano, personalità dalle molteplici identità, che però ha sempre avuto il pregio di volerle far coesistere in sé, a dimostrazione del rispetto possibile e doveroso nei confronti di quelle che sono le differenti culture e civiltà.
Il “nostro”, infatti, era egiziano di nascita, cittadino israelita e poi prete cattolico.
Nel 1953 arriva in Israele per esercitare il proprio ministero. E nel 1960 nasce la Maison de Saint Isaie, un cenacolo per lo studio della Bibbia, che Hussar ritiene fondamentale per la comprensione di ciò che si chiama “riconciliazione” tra coloro che sono i cosiddetti figli di Abramo.
Durante il Concilio Vaticano II dà personalmente un contributo notevole alla stesura del documento “Nostra Aetate” allo scopo sempre di avviare un serio percorso di avvicinamento tra ebrei e cristiani, i primi, a giusto titolo, fratelli maggiori.
Ma il capolavoro di Bruno Hussar resta Nevé Shalom, in arabo Waahat as Salaam, il villaggio della pace, fondato nel ’72, in cui convivono e crescono, educandosi vicendevolmente , bambini e preadolescenti sia israeliti che palestinesi.
Un’utopia tangibile. Una sfida straordinaria per allora e che continua a esserlo per l’ oggi.
Una sfida che può insegnare molto a chiunque e a qualunque latitudine (Africa inclusa), prescindendo, com'è giusto che sia, dallo specifico dei riferimenti confessionali.
E non è poca cosa. Specie, se ci si crede fino in fondo.
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)