La neve, un caso di autocoscienza nazionale, G. Riotta,
L’ondata di freddo che ha colpito l’Europa, conferma di variazioni climatiche che andrebbero studiate con serietà, si lascia dietro centinaia di morti. In Ucraina sono oltre 130, per ipotermia o congelamento. In Polonia le vittime sono, mentre scriviamo, 53 e il premier Tusk ha tolto il bando contro l’ammissione degli ubriachi nei dormitori pubblici, dopo che otto vagabondi sono morti in una sola notte.
L’agenzia Reuters calcola in 10.000 i civili intrappolati da un metro di neve in Bosnia, alcuni hanno passato 24 ore all’addiaccio. In Serbia sono 70.000. In Ungheria tre morti per congelamento, sei in Lituania. A Londra, scrive il New York Times, i fiocchi hanno raggiunto solo i 20 centimetri, con 800 voli cancellati all’aeroporto di Heathrow, che tredici mesi fa si paralizzò per una nevicata. La mitica metropolitana di Londra funziona a metà. Molte autostrade e svincoli impraticabili, la Metropolitan Police ha chiesto ai cittadini di restare a casa nel week-end. In Francia 5 morti, tra cui un dodicenne. Secondo l’agenzia Bloomberg, Edf, il maggiore generatore di energia d’Europa, è a rischio per sovraccarico di domanda. Edf smentisce.
L’ intero continente condivide le sventure del nostro CentroNord, assiderati, trasporti in tilt, scuole chiuse, strade congestionate, disagi. Solo in Italia, però, la neve diventa autocoscienza nazionale, con l’opinione pubblica a inveire contro «la politica», i leader a litigare fra loro in uno spettacolo che, soprattutto nella capitale Roma, ha punte di petulanza comiche e indecorose, cercando «colpevoli» qui e là. Riletto il bollettino di guerra meteorologico europeo, con l’eccezione di Roma e di parte del Lazio, l’Italia ha sofferto come tutto il continente. Vale dunque la pena capire perché questo sia ormai, dal naufragio della Concordia, al maltempo, alle sconfitte della Nazionale di calcio, Dna nazionale. Gli studiosi del costume italiano potrebbero dire che solo da noi esiste il proverbio «Piove, governo ladro», che gli inglesi sono fieri del loro «stiff upper lip», tenere duro nelle difficoltà, i tedeschi del «Beruf», fare il proprio dovere al lavoro e oltre, i francesi dell’identità comune della «République». Ciascuno di questi luoghi comuni ha verità e falsità, per individuarle basta un libro di storia o una rivista d’attualità, ma se la nostra Repubblica invece si batte il petto, litigando sprofondata nel malumore, le ragioni devono essere più profonde, importanti. Certo, la storia della nostra politica, recente e no, indebolisce l’«interesse nazionale comune». I treni vanno modernizzati, le autostrade e gli aeroporti portati a livello del XXI secolo e le città dotate di piani antineve razionali? Sì, ma non servono polemiche, meglio visioni «bipartisan», progetti condivisi, collaborazione politica, società civile, imprese. Invece risse. Pensate alla grande occasione Expo 2015, pensate alle possibili Olimpiadi in Italia. Nel 1960 a Roma e nel 2006 a Torino le organizzammo alla grande, ma in spirito unitario: ora invano quello spirito si cerca da Nord a Sud, dall’Expo ai cerchi olimpici.
Vent’anni di crociate pro e contro Berlusconi rendono spinoso ogni ragionamento equilibrato sulle infrastrutture, essere pro o contro il Ponte sullo Stretto, la Tav, il raddoppio di certe autostrade, l’hub a Malpensa o Fiumicino, non è confronto oggettivo di costi e benefici, fattibilità, è ordalia, scontro di fedi, guerra fredda di opinioni malmostose e poco informate. La neve potrebbe essere occasione per calcolare, senza rancori, cosa non ha funzionato, dove si può rimediare, quali snodi aprire nella burocrazia, come rendere Roma meno soggetta alla paralisi (New York muta, con un semplice rostro attaccato al parafango, ogni camion in spazzaneve: idea replicabile?). Invece il sindaco della Capitale pensa al proprio futuro, il governo deve difendere la Protezione civile e quell’organo importante paga il prezzo per anni di spettacolarizzazione e show eccessivi.
Infine, ed è questo il discorso più difficile da fare e ascoltare ma più necessario, nessun piano, nessun sindaco, nessuna Protezione civile, nessun governo o piano delle infrastrutture ci metterà per sempre, e tutti, al sicuro. Non tutte le calamità sono prevedibili, non tutti gli eventi naturali sono, come scrivono i polemisti storpiando il povero García Márquez, «annunciati». Potremo attrezzarci alla grande, e in perfetto spirito unitario, potremo riportare il nostro come si dice con parola frusta - «territorio» all’armonia che sogniamo avesse un tempo e non ha invece mai avuto, pure subiremo la furia della Natura.
I nostri antenati, nel terremoto di Messina o nel Polesine, avevano altro da fare che non litigare. E come loro, anche oggi tanti si sono comportati con stoicismo, e ironia, sotto la neve. A ben guardare, specie sui new media, la nevicata ha imbiancato due Italie. Non «Politica» contro «Società civile», nel duello facilone al crepuscolo della II Repubblica. No, un’Italia viziata dal benessere, poco pronta a farsi carico di un disagio benché minimo, non solo il «ceto politico», ma tutti coloro che si fanno «gli affari propri», detestano le tasse per poi indignarsi se il garage è bloccato dalla neve. Ceto di privilegiati, indispettiti e insofferenti, vicini ai media, ai luoghi del potere, dove subito arrivano le telecamere. Solo ieri la tv è arrivata invece a Campagnano di Roma, dove come a Sutri e in altri centri dell’Alto Lazio, le comunità rurali soffrono bloccate. Là niente isteria: lavoro, contare su se stessi, Italia «d’altri tempi» nel 2012. E così è andata anche, dal Piemonte alla Lombardia, al Nord.
Mentre sull’Europa nevicava, la tempesta del debito non dava requie dalla Grecia sull’orlo del default, a Spagna e Portogallo. Ma vari osservatori internazionali incalliti, cinici, speculatori, non gente che ci voglia bene, cominciano a abbassare la scommessa del rischio sull’Italia: perfino Walter Russell Mead, il più duro degli storici americani, mi dice «E’ incredibile, ce la fate anche stavolta». Spero abbia ragione. Se ce la «faremo» sarà perché le élites del governo di Mario Monti hanno saputo comunicare con l’Italia migliore, borghese e popolare, urbana e rurale, che tiene anche sotto la neve. Sempre, nella nostra storia, quando élites e gente comune lavorano insieme ce la siamo cavati. E se la sfanghiamo col debito, figuriamoci con i fiocchi di neve.
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