Dopo il “no” di Cameron al nuovo Trattato fiscale, Gran Bretagna ed Europa sempre più distanti.
di Salvatore Denaro L’Unione Europea sta attraversando uno dei periodi più difficili dalla sua istituzione a causa dell’ormai nota crisi finanziaria – che coinvolge soprattutto i Paesi con un alto debito pubblico –, di una monetacostantemente indebolita nei confronti di dollaro e sterlina, del persistere del “deficit democratico” che da sempre caratterizza le istituzioni europee ed, infine, a causa di un’opinione pubblica sempre più critica nei confronti della BCE e della cosiddetta “Europa dei banchieri”. E’ in questo contesto sempre più complesso e delicato che le posizioni intransigenti assunte recentemente da Londra rischiano di avere pesanti ripercussioni sul futuro dell’Unione.Recentemente, infatti, il Presidente francese Sarkozy e il Cancelliere tedesco Merkel hanno delineato una road map che dovrebbe condurre ad unnuovo trattato europeo: entro gennaio completare le trattative e il 1° marzo siglare il nuovo accordo. I punti principali delle proposte portate avanti da Francia e Germania sulle quali si è registrato un consenso (quasi) unanime sono:· rispetto per gli equilibri di bilancio per ogni Paese membro non superiore allo 0,5% del PIL. Tale impegno dovrà essere garantito da norme costituzionali;· sanzioni automatiche per i Paesi il cui debito superi la soglia del 3% del PIL;· obbligo per ogni Paese di sottoporre il proprio bilancio alla Commissione europea che, a sua volta, avrà il potere di chiedere variazioni.Un ulteriore punto dell’accordo riguarda l’aumento dei contributi degli Stati per il Fondo Monetario Internazionale (circa 200 miliardi di euro per colpire il debito dei membri dell’Eurozona).Il Premier inglese David Cameron ha già annunciato il suo “no” al nuovo Trattato sull’unione fiscale che sostituirà l’obsoleto Patto di stabilitàdi Maastricht. Per Cameron le proposte sostenute da Francia e Germania erano assolutamente inaccettabili, tali da minare sia gli interessi economici delPaese ma anche il concetto stesso di britishness.Effettivamente era del tutto scontata l’impossibilità di avviare una trattativa con i sudditi di Sua Maestà su una base che mettesse in discussione l’autonomia sul piano finanziario e di bilancio. A tutto ciò si è aggiunto il rifiuto di trattare l’eventuale istituzione della “Tobin Tax” sulle transazioni valutarie per tutti i Paesi membri (non solo per l’Eurozona), una proposta nata dall’esigenza di contrastare le speculazioni valutarie e stabilizzare i mercati. Anche questa posizione appare più che scontata. Londra rappresenta una delle maggiori piazze finanziarie a livello mondiale el’eventuale tassazione delle transazioni finanziarie potrebbe penalizzarla a vantaggiodi altre piazze extraeuropee. Il rapido fallimento delle trattative è stato confermato dal Presidente francese Sarkozy, il quale ha affermato che le richieste di Cameron erano assolutamente inaccettabili, in quanto prevedevano l’inserimento di una deroga speciale per l’Inghilterra, una sorta di opt-out esclusivo per la parte riguardante i servizi finanziari. Importanti esponenti politici come il sindaco di Londra Boris Johnson hanno apprezzato l’intransigenza di Cameron che has played a blinder – una tipica espressione anglosassone per sottolineare l’abilità del Premier inglese nel fare gli interessi della Gran Bretagna.Ma i giudizi non sono tutti così entusiastici. Il vice Primo Ministro, il liberaldemocratico Nick Clegg, si è detto rammaricato che non sia stato raggiunto un accordo con tutti i 27 Paesi membri. Del resto, il partito liberaldemocratico da sempre ha una posizione tutt’altro che euroscettica e molto più propensa al dialogo, anche su questioni spinose come quella del futuro Trattato sull’unione fiscale. Il Ministro per l’Energia Chris Huhne, anch’egli liberaldemocratico, si è detto assolutamente preoccupato per la deriva ultraconservatrice della sua maggioranza, che non riesce a capire l’importanza di stare al tavolo di Bruxelles in un momento così delicato. Per quanto riguarda l’opposizione, il laburista David Miliband ha definito come foolish la decisione di Cameron di porre il veto al nuovo Trattato aggiungendo che per i prossimi anni la Gran Bretagna, così facendo, sarà relegata ai margini dello scacchiere europeo.La questione, quindi, sembra spostarsi sul futuro della Gran Bretagna in relazione ad un suo possibile isolamento. Appare inevitabile il ritorno di un’Europa a due velocità, ma molti analisti si chiedono se un Paese come la Gran Bretagna, oggi, abbia la forza di continuare a restare fuori non solo dai problemi riguardanti l’Eurozona, ma soprattutto dalle future decisioni che inevitabilmente avranno un impatto globale.Il Cancelliere tedesco Angela Merkel ha affermato che nonostante la Gran Bretagna non abbia voluto intraprendere la strada dell’unione fiscale, essa rappresenta pur sempre un partner chiave per i membri della zona euro. Ma nonostante le rassicurazioni di Berlino, molti sono gli interrogativi legati al futuro della Gran Bretagna all’interno dell’Europa. È inevitabile che il diritto di veto esercitato da Cameron per il nuovo Trattato europeo condurrà ad importanti conseguenze, sia sul piano delle decisioni che verranno prese nelle prossime settimane a Bruxelles, sia dal punto di vista dei rapporti della Gran Bretagna con l’Europa.Tra gli addetti ai lavori questo ennesimo “no” non è altro che un passo ulteriore verso un possibile referendum per chiedere ai cittadini inglesi se sia ancora necessario e utile rimanere ancorati ad un Europa sempre più distante. Infatti, già da alcuni mesi si parla sempre con più insistenza di questa ipotesi per mettere in discussione la membership europea; di fatti, nonostantele smentite del vice Premier Clegg, nei momenti di alta tensione con Bruxelles, come in questo momento, ecco che tra i media britannici riemerge lo spettro referendario. Un esempio recente è rappresentato dall’articolo del “Dailymail” firmato da Andrew Pierce dal titolo “The referendum on Europe that Dave can’t avoid” in cui si fa luce sull’iniziativa “Vote UK Out Of Eu”, una sorta di consultazione popolare simbolica, portata avanti da alcuni deputati euroscettici e finanziata da uomini d’affari del calibro di Toby Blackwell. Si tratta di un mini-referendumche si terrà nella prossima primavera esattamente nei tre collegi elettorali di David Cameron, Nick Claigg e Ed Miliband. L’obiettivo è quello di dare un segnale forte ai tre leaders e porre le basi per un referendum vero e proprio a carattere nazionale.A questo proposito, un recente sondaggio pubblicato dal “TheTimes” ha evidenziato come il 57% degli intervistati sia sostanzialmente d’accordo sul “no” di Cameron sul nuovo Trattato europeo. Addirittura il 49% degli elettori del partito liberaldemocratico, il più europeista della compagine governativa, è convinto che la decisione di Cameron sia quella giusta.L’opinione pubblica inglese non è mai stata così distante dalle istituzioni europee come in questo momento. Il consenso nei confronti di Cameron per l’intransigenza mostrata a Bruxelles sembra essere il frutto della paura di essere risucchiati nel calderone dell’eurozona dopo aver evitato la moneta unica. Ancora una volta la Gran Bretagna decide di stare fuori a guardare con un atteggiamento tutt’altro che propositivo, ma a differenza dalle altre occasioni, in cui l’impegno nei confronti di ciò che riguardava il cammino dell’integrazione europea sembrava secondario agli interessi inglesi, ora emerge qualche interrogativo in più. Sono troppe le sfide che attendono l’Europa nel suo insieme e ormai appare sempre più difficile affrontarle in modo indipendente.Per questo motivo, oggi come non mai si ripropongono due quesiti storici: l’Europa può fare a meno della Gran Bretagna? Ma soprattutto, la Gran Bretagna può fare a meno dell’Europa?* Salvatore Denaro è Dottore in Scienze Internazionali (Università di Siena)