A casa. O meglio, al sicuro, tra queste mura che mi ospitano fino a che non trovo un posto dove appendere il cappello.Sono le cinque e sono "a casa".Giusto in tempo per vedere l'alba dal terrazzo.Domani non avro' voce. Ho cantato tutta la notte, a squarciagola, instancabilmente. Un carrozzone di italiani e un karaoke belga, sono il lasciapassare per una serata galattica, anche se sono qui da poco, anche se le canzoni strappacuore in francese, ad un certo punto, diventano davvero troppe.Ci salutiamo dopo ettolitri di birra (e succo di mela per la sottoscritta cui la birra non piace), centinaia di passi in mezzo ai viottoli, a ballare in piazza e poi a cantare.Domani (quindi adesso) è festa nazionale; che si festeggia? Il Belgio, semplicemente.Gli altri si infilano in due taxi in men che non si dica, mentre io che vado dalla parte opposta, inizio a camminare completamente a caso, senza avere la minima idea di dove mi trovi.Tiro fuori la mappa della metro e inizio a spulciare nomi di vie mai sentite prima; è che, appunto, è una mappa della metro, quindi vi si trovano scanditi a chiare lettere solo i punti d'interesse e alcune delle aorte di Bruxelles. Il resto, sono deboli linee curve senza nome.Dopo aver decretato che consultare quella carta, al momento, è utile come aprire un biscotto della fortuna, riprendo a camminare, fino a che non scorgo un gruppo di ragazzi. Fari nella notte, considerando che, una volta visti sparire les italiens dentro due taxi, non c'è rimasta anima viva in giro.Sono pure incredibilmente sobri. E cordiali. E simpatici.C'e' una piccola asiatica, un francesona mora e occhialuta, una bionda senza viso, un ragazzo decisamente poco cordiale e una ragazza con i capelli di un rosso carota chiarissimo.Mi dicono che Albert è lontano (Albert è una zona, non un tizio a caso), che ci mettero' un'ora e che, per non perdermi, mi conviene seguire i binari del tram, anche se fanno un giro più lungo.Facciamo un pezzo di strada insieme, cosi', testuali parole, mi mettono sulla retta via.
La ragazza coi capelli d'arancia ed io iniziamo a parlare. Il suo inglese non mi dice di dov'è, ma mi dice che l'ha parlato tanto.Florence è nata e cresciuta a Bruxelles. Florence, si chiama. Dopo due anni in Spagna, a settembre se ne va in Nuova Zelanda. Cosi', come avrei fatto io se non fossi saltata sul treno per il Benelux.
Parliamo delle città, delle persone, di come si perda un po' di patria quando ci si trasferisce all'estero, di come ci si senta a casa un po' dappertutto e da nessuna parte, di come sia difficile; ogni volta, andarsene, lasciare tutto, ricominciare a fluire.
Nel frattempo arriviamo su un ponte, dove l'asiatica e il ragazzo poco cordiale si separano dal resto del gruppo. Dopo i saluti, la francesona occhialuta e automunita mi offre un passaggio fino ad un quartiere decisamente più vicino a "casa mia" di quello in cui siamo ora. Accetto con la condizionale, ovvero che sia di strada; "Oui oui, ce n'est pas loin avec la voiture". Cosi' saliamo tutte in macchina e, mentre parlo con Florence e la citta' mi scivola accanto veloce, non mi accorgo di dove stiamo andando, fino a che non vedo il bar sotto "casa"."Ici c'est Albert; ou est-ce que tu habites?""Mais ... Ici! J'habite ici!!! Girls, you are amazing, really; thank you so much!""Anytime!"
Mentre scendo, profusa in mille ringraziamenti, auguro loro buona fortuna. E non perchè presa dall'euforia di essere arrivata a casa in un battibaleno e al caldo, ma perchè mi sono sembrate delle brave persone, intendendo davvero augurar loro il meglio per le proprie vite.
Infilo gli scalini come bottoni di una camicia, entro in casa, faccio un the bollente e mi siedo sul terrazzo.Giusto in tempo per vedere l'alba.E scrivere un post. Sorridendo. Chi se ne frega se devo alzarmi tra tre ore, mica si puo' dormire se c'è da sorridere.
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