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New Girl (in an Old World)

Creato il 14 marzo 2012 da Elgraeco @HellGraeco

New Girl (in an Old World)

Doveva essere il turno di Firefly, chissà che non lo recuperi in serata. Parliamo invece di una sitcom del 2011 tuttora in corso, New Girl, in onda per la Fox. Protagonista Zooey Deschanel. Ne parliamo, è vero, ma la prendo un po’ larga, tornando alle origini di questo blog, quando le discussioni partivano da paragoni improbabili.
La sitcom prevede un cast fisso di cinque elementi, oltre Zooey (Jess), abbiamo i tre coinquilini, Nick (Jake M. Johnson), Schmidt (Max Greenfield), Winston (Lamorne Morris) e l’amica di Jess, Cece (Hannah Simone). Sitcom a sfumature romantiche, con parti melodrammatiche (edit by elgraeco, ore 17:29, 14/03/2012) e incentrata sull’elogio della diversità. E a questo punto, è bene chiarire: si intende “diversità” in senso universale, non in senso sessuale.
La sitcom supera gli stereotipi iniziali e si affida a Zooey Deschanel, che non si sforza più di tanto per caratterizzare il personaggio che interpreta, Jess. Questo perché, a sentire i resoconti di cronaca, a vedere le interviste, lei è fatta proprio in quel modo, come il suo personaggio. Non per niente l’hanno definita quirky (strana, ma in senso positivo) e hanno coniato un neologismo, allorché la si apostrofa aDORKable. Adorkable, composto da adorable e dorky, che secondo l’Urban Dictionary starebbe a significare, adorabile e, letteralmente, “al di là del grandioso”. Non so se sia vero, ma lo sapete che io la trovo caruccia, per non dire altro.

New Girl (in an Old World)

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È anche brava, e infatti spicca. Ma i comprimari non sono da meno. Insomma, in fatto di commedia, credo che New Girl sia un ottimo prodotto.
Elogio della diversità, dicevo, e infatti, secondo l’idea alla base della sitcom, ogni personaggio deve rappresentare un tipo, dai tratti caratteriali semplici, perché immediatamente riconoscibili, che quindi vada a coprire una gamma di situazioni comiche, create su misura per quel personaggio e a bilanciare, a sua volta, quelle degli altri.
Quindi, oltre a Zooey/Jess (adorkable), abbiamo Nick che incarna il disilluso moderno dal cuore tenero, un po’ nullafacente e sfigato in amore, Winston anche lui alle prese con un lavoro che non riesce mai a trovare e che tenta di costruire un legame solido, e a recuperare il rapporto con l’altro sesso. E infine Schmidt, pieno di manie, strafottente, idiota, casinista, convinto di essere il dono di dio alle donne. Cece, un po’ defilata, è la stronza bellissima che ovviamente finisce a letto sempre con gli uomini sbagliati.
Ora, questa miscela è esplosiva, la commedia funziona, diverte, intrattiene. Ed è sintomatico che tutti i personaggi abbiano, specchio della realtà attuale, difficoltà ad avere un lavoro fisso, infatti ci si domanda come possano permettersi, comunque, di pagare un affitto a Los Angeles, e a costruire un legame sentimentale duraturo. Questo è il meccanismo che fa scattare il lato comico delle situazioni narrative, è vero, ma è anche sintomatico di quanto, persino una fiction che abbia come unico scopo l’intrattenimento breve, debba tener conto dell’evolversi, non sempre in senso positivo, della società attuale e riproporne, seppur attraverso il filtro dei personaggi-tipo, gli schemi comuni: questo per creare identità, feeling con il pubblico e anche per generare un senso di serenità. I riferimenti alla disastrosa situazione economica americana e mondiale non mancano mai, “America is broke” dice Nick, e lo dice come un dato di fatto, una cosa talmente più grossa del singolo lavoratore, di fronte alla quale è inutile sbattersi: una sorta di calamità naturale, un evento catastrofico che prescinde dalla volontà dell’uomo.

New Girl (in an Old World)

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Non è proprio vero, e non credo sia il giusto atteggiamento, persino nei toni di una commedia, ma è la prima volta che avverto, in un prodotto televisivo americano destinato al grande pubblico, una dichiarazione di resa di tali proporzioni. Magari, ci sarebbe persino da preoccuparsi.
Ma torniamo ai personaggi, tutti sono, quindi, macchiette, al di là dei riferimenti al mondo reale, loro appartengono alla Matrice. L’elogio della diversità, quindi, è solo apparente, e strumentale. Schmidt che, nel garage si libera di borsa e chiavi della macchina, fa una corsa fino a quella della direttrice del suo ufficio, apre la portiera e le dice “Ti voglio, subito.”, fa ridere, per come è costruita la scena, per il comportamento border line del personaggio, sempre sul confine tra il maniacale e il represso. Fa ridere ancor di più allorché la direttrice ci sta, e ci si scompiscia quando sopraggiungono le guardie di sicurezza dell’edificio che hanno assistito a tutta la cosa attraverso le telecamere e l’hanno confusa con un tentato stupro. Il povero Schmidt viene percosso per un rapporto consensuale. Non so voi, ma io ci vedo della satira, anche di un certo peso.
Ed ecco il punto, questi personaggi sono adorabili, tanto da farceli amare, ma restano personaggi. La realtà, lo sappiamo, è arida, e uno che fa una cosa come quella di Schmidt sarebbe guardato strano. La gente è pronta a sghignazzare di coloro che, per esigenze di copione, sono “adorkable”, strani, pieni di tic e manie di persecuzione, che della loro diversità, per l’appunto, ne fanno un vanto, purché restino confinati nella Matrice, e non finiscano nel mondo reale, dove si deve pensare solo alle “cose serie”. Lo sapete quello di cui parlo, della stessa chiusura mentale che vieta a un trentacinquenne come me di pensare ancora a cose come fumetti, cotte per attrici famose, narrativa fantastica. Perché il mondo si diverte, a vedere cose così, ma non le vuole tra i piedi. Ecco qua. Un po’ ipocrita, non trovate?

New Girl (in an Old World)

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Satira, abbiamo detto. Perché la satira, per lo meno, il mondo la capisce. E quindi ogni scena, dialogo, situazione di New Girl potrebbe essere satira. Magari è puro e semplice intrattenimento, chi può dirlo? Ma io ci vedo qualcosa di più, oltre che un certo grido di dolore per coloro, che pure esistono, che sono strani, rifiutati dalla società perché tali, ma messi sul piedistallo, perché fanno spettacolo, audience. E il bello è che trattasi di satira pulita, che fa battute e ride anche del politically correct. Ma se lo fa, lo farà ancora per poco…
È satira anche la Divina Commedia. Dante era un personaggio strano, oserei dire adorkable. Dante se ne fotteva del politicamente corretto, in un’epoca in cui il Male era evidente, almeno dal suo punto di vista. Ma lui, oltre che speziale e ghibellino (il ghibellin fuggiasco) era strano, e scriveva mandando tutti quelli che gli stavano sui coglioni all’inferno. Ecco, adesso l’ONU, nel tentativo di globalizzazione del cervello umano, a cui deve essere impedito di pensare, persino di ridere, temo a questo punto, della diversità anche quando “in scena”, vuole “bandire la Divina Commedia“. Le motivazioni addotte sono astruse come l’intera vicenda. E su di essa mi risparmio ulteriori commenti, perché a tutti i protagonisti posso solo riservare i miei migliori insulti.
Restano due cose, in fondo, ben evidenti: l’ipocrisia della società che non accetta chi non è uniformato, ma ne ride perché “tanto è finzione, non è mica vero!” e l’assenza, ormai generalizzata, di senso critico.
Perché, se tale risoluzione è stata davvero proposta, vuol dire che davvero esistono delle persone che pretendono di insegnare a Dante cosa sia il politicamente corretto. E che andranno all’inferno per questo.

Immagine di Dante presa QUI


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