La baia davanti al mare non solo era bellissima ma aveva il valore aggiunto del porto naturale che avrebbe permesso grandi commerci con le città d’Europa che a metà del 17° secolo erano ancora avide di tutto ciò che si produceva nel Nuovo Mondo. Così quel gruppo di Puritani in fuga, prima dall’Inghilterra e poi dal Massachussets, nel 1638 finì per fermarsi nella terra dei Quinnipiack. Erano molto religiosi, ma avevano senso pratico. Si fecero subito consegnare il territorio dai nativi e pianificarono la loro città con una rigida griglia rettangolare, che fece di New Haven la prima città di tutta l’America del Nord, concepita con criteri moderni. Da allora e per tutto il periodo coloniale New Haven si è più volte distinta per la sua opposizione sempre piuttosto evidente agli Inglesi. La cosa era risaputa anche in Inghilterra perché dopo la restaurazione monarchica nel 1661, i giudici che avevano condannato a morte il Re Carlo I, per sfuggire alle persecuzioni del nuovo re, si andarono a rifugiare a New Haven e per non farli trovare dalle guardie regie il Sindaco mise a loro disposizione un’ampia grotta nelle colline di West Rock, che è ancora li da vedere con tanto di targa ricordo. Durante la rivoluzione americana tale fu la furia della città contro gli inglesi che rischiò seriamente di essere rasa al suolo.
Per fortuna che ciò non avvenne perchè così la città riuscì a salvare il suo impianto coloniale e la sua nascente industria che verso la fine del 18° secolo diventèrà una delle più particolari aree di sviluppo degli States, grazie alle invenzioni e alle fabbriche impiantate da Heli Whitney. Strana e beffarda vita, quella di Whitney. Come inventore è passato alla storia per la famosa “sgranatrice” una macchina industriale che separava la fibra dai semi di cotone, ma che in realtà non aveva inventato lui, ma una sua amica che, essendo donna, non aveva la possibilità giuridica di brevettare l’invenzione. Come imprenditore è da tutti ricordato per la sua fabbrica d’armi che però acquistò fama mondiale solo in seguito e per merito di Samuel Colt che vi siluppò la famosa pistola automatica che da lui prese il nome.
Eppure l’industria non era il vero destino di New Haven perché nella seconda metà del XX secolo, la città è entrata in crisi economica e ha spopolato il suo centro soprattutto a causa dei conflitti sociali e dell’eterogeneità delle sue etnie.
Per fortuna che New Haven ha avuto sempre il suo asso nella manica e seppure il modello cittadino e la vocazione industriale sono entrate in crisi ha finito per diventare il Centro Servizi di una delle più prestigiose università del Mondo. Yale, che porta il nome del suo principale benefattore, non potè nemmeno usufrire del patrimonio che Elihu Yale gli aveva lasciato per testamento. Successe infatti che, per una spaventosa commedia degli equivoci, il Sig. Yale lasciò i suoi averi al Collegiate College, morendo prima di sapere che il Collegiate non esisteva più, avendo cambiato il suo nome in Yale College. Ma ciò nonostante, oggi Yale ha beni per 22,5 miliardi di dollari, 12,5 milioni di libri distribuiti su 12 biblioteche, più di 3000 docenti e 11.000 studenti fra laureati e laureandi. E c’è di
più! Se qualcuno sta programmando di diventare presidente degli Stati Uniti, o giù di lì, la cosa migliore che possa fare è quella di andare a studiare a Yale. Già una decina di anni fa un’autorevole rivista ha scritto in proposito ” Se c’è una scuola che può proclamare di educare i miglior leader della nazione, dai tre decenni passati, quella scuola è Yale” E come contraddirla se da Yale sono usciti i due Presidenti Bush, Gerald Ford e Bill Clinton e a scendere, ma nemmeno tanto, John Kerry, Gary Hart e Hillary Clinton?Intanto da una decina di anni la città si sta veramente riqualificando, forse anche per non sfigurare di fronte a tutti i futuri presidenti che oggi sono solo studenti… Vita notturna, librerie, centri informatici, nuovi condomini, nuove linee ferroviarie e un incoraggiante ritorno della popolazione nel centro storico.
Ma dove la vita non è mai mancata, anche nei momenti più bui dell’ultima storia di New Haven è nei servizi di ristorazione. Se è vero che più di 120 ristoranti si trovano nelle zone centrali, è anche vero che tutta la città è
la massima espressione dei ristoranti etnici che includono le cucine più svariate del mondo, la malese, l’etiope, la messicana, la thailandese, la vietnamita e naturalmente l’italiana. Perché New Haven è stato fra la fine del 19° secolo e i primi decenni del 20° uno dei poli di maggior attrazione dell’emigrazione dall’Italia meridionale e oggi si calcola che nei quartieri di East Haven, West Haven e Hamden, la percentuale di quelli che ormai sono italo – americani arriva al 50%. E qui gli italiani hanno dato o ridato vita a quello che pur essendo uno dei piatti più noti e sfruttati della cucina italiana, qui rivisitato in veste mix, è diventato un cult : “Sua maestà la Pizza” anzi come tutti qui dicono “Apizza”. Il suo debutto? L’anno 1925 da Frank Pepe Pizzeria Napoletana. La sua cottura? In un forno di mattoni, una volta a carbone, oggi a legna. I suoi colori? Rossa pomodoro o bianca, ottenuta con solo aglio, olio d’oliva e scamorza o pecorino. Chi vuole la mozzarella la deve chiedere! La sua base di pasta? un po’ bruciata in cottura! Una ricetta particolare? Quella con le vongole che si può mangiare da Pepe a da Sally Apizza. Ma se andate a New Haven non vi dimenticate nemmeno di Modern Apizza. E’ li dal 1934!La storia di Pepe, colui che per primo ha portato la pizza a New Haven è emblematica dell’emigrazione italiana. Viene da Maiori, un piccolo paese della costa amalfitana, e quindi di pizza se ne doveva già intendere, ma quando arriva a New Haven va per diversi anni a preparare gli spaghetti nei ristoranti degli altri. Solo nel 1925 ha il coraggio di mettersi in proprio e apre un panificio che ovviamente diventa l’anticamera della Pizza. Riunisce la famiglia e 10 anni dopo è già famoso e apre un nuovo locale, andando ad abitare al piano sopra la Pizzeria. Le sue pizze sono bianche e rosse, tonde e grandi, con alcune caratteristiche anche un po’ strane come quell’impasto più simile al pane e un pò bruciato in cottura, il cui sapore un po’ forte si andava a smorzare col pomodoro o col formaggio!
Poi nel 1960 l’ultima invenzione, la pizza con le vongole. Le guardava sempre al banco del bar dove le servivano con gli aperitivi, tanto che una sera se le portò in cucina e le rovesciò sopra la pizza.
Era nata la PEPE’S STYLE WHITE CLAM PIZZAINGREDIENTI (per una pizza da circa 35 centimetri): Per l’impasto: 3 cucchiai di farina, 2 cucchiai di farina di mais, 1/2 bustina di lievito istantaneo, 1 tazza di acqua calda,1/2 cucchiaino di sale, 4 cucchiai di olio extra vergine di oliva. Per il top della pizza: 36 vongole, 1/2 tazza (circa 100 grammi) di pecorino romano grattugiato,2 spicchi di aglio tritati, 4 cucchiai di olio extra vergine di oliva, 2 cucchiai di origano secco.
PREPARAZIONE : Far aprire le vongole fresche mettendole sul fuoco in una padella con l’aggiunta di qualche cucchiaio di acqua. Non appena si saranno aperte sgusciarle e metterle da parte. Nel frattempo pre – riscaldare il forno a circa 250°C.
Preparare l’impasto della pizza con tutti i suoi ingredienti e stenderlo su una superficie liscia dandogli un altezza di circa 1/2 centimetro. Spolverizzare la teglia con un po’ di farina di mais e poggiarvi sopra l’impasto. Distribuire le vongole sull’impasto in modo uniforme lasciando circa un centimetro di bordo vuoto, poi cospargere di aglio, formaggio, origano e infine versare sopra l’olio. Cuocere in forno per 30 minuti.La crosta, nel migliore stile Pepe, deve essere ben dorata, ma non bruciata. Servire calda accompagnata con la tipica bevanda Foxon Park o in alternativa con una birra ghiacciata o un vino Sauvignon Blanc.