I Muse sono un gruppo che ha fatto dell’epica una ragion d’essere, più che una semplice caratteristica del proprio suono. E come suona allora il pezzo d’apertura del loro nuovo, sesto album The 2nd Law? Epico, of course. Fin dal titolo, sobrio: “Supremacy”. Intro con chitarrone alla “Kashmir” dei Led Zeppelin, anche se finisce per somigliare più a “Come With Me” di Puff Daddy, e poi arriva l’ingresso della voce di Matt Bellamy, talmente teatrale che persino Carmelo Bene si sarebbe preso Male. Matt Bellamy comunque se preferite ormai potete chiamarlo anche Mr. Hudson, visto che il fortunello si è sposato la Kate Hudson. Azzon! Comunque il pezzo è una pacchianata troppo epica: non mi piace. Per niente. Difficile immaginare un inizio d’album più pomposo e inascoltabile. Purtroppo, una parte del resto dell’album procede nella stessa direzione megalomane, come la pessima canzone scritta per le Olimpiadi di Londra, “Survival”. Speravo non sarebbe stata inserita nella tracklist e invece purtroppo eccocela qui, deludente come una medaglia di legno. Damn!
"Azzon, Kate. Ma manco a te è piaciuto questo disco?"
Meglio va invece la parte in cui i Muse sperimentano nuove direzioni, come nel primo pulsante singolo Ma-ma-ma-madness. Ma-ma-ma-ma-ma questi che fanno ma-mamma-ma come Lady Gaga sono proprio i Mu-mu-mu-muse? Si-si-sicuri non siano gli U2 remixati con Sweet Harmony dei Beloved? La canzone comunque non è niente male anche se, certo, Matthew l’assolo in mezzo alla Slash potevi anche risparmiarcelo. “Panic Station” è un funkettino alla Muse che suonano i Red Hot Chili Peppers che suonano gli Ohio Players. Il risultato è piuttosto figo. “Prelude” non prelude invece a niente di buono, visto che è la pomposissima intro alla già citata olimpica “Survival”. Quando sento un brano del genere, mi chiedo come ho fatto ad amare così tanto i Muse in passato. Forse perché non suonavano così sboroni, ai tempi del folgorante esordio Showbiz?“Follow Me” è dubstep. Finalmente. La tanto strombazzata svolta dubstep dei Muse si palesa. Che poi comunque è la versione Muse della dubstep. Cosa che vuol dire: epic-dubstep, nel caso aveste dubbi. Sembra una “Bliss” per l’anno 2012 e direi che è il mio pezzo preferito dell’album. La produzione non a caso è affidata ai due producer idoli che risondono al nome di Nero. Fare un intero disco insieme a loro non sarebbe stata una brutta idea.
“Animals” cerca di abbassare i toni. Meno epica di altri brani. Era ora. Vagamente radioheadiana. Non male. E comunque un filino epica alla fine lo diventa pure questa, perché non ce la fanno proprio a trattenersi, i Muse. “Explorers” è una ballatona spaziale. Assomiglia a una versione in slow-motion di “Don’t Stop Me Now” dei Queen o una copia poco riuscita di “No Surprises” dei Radiohead. Pure questa volete sapere com’è? Un po’ troppo epica. E alla fine ci sono pure i campanelli natalizi. WTF? “Big Freeze” come da titolo lascia parecchio freddi e congelati, tra soliti coretti alla Queen e chitarrine alla The Edge degli U2. Stadium rock, or dunque. E se c’è un genere musicale che proprio a me non va giù, è lo stadium rock. Quando sento robe del genere mi chiedo di nuovo: “Ma come diavolo facevano a piacermi tanto, una volta, i Muse?”. Risposta: “Non suonavano così, una volta.”
"Chris come cantante fa proprio ridere!"
"Ahahah, lo ammetto pure io..."
Nel finale spazio pure alla dubstep pura di “The 2nd Law Unsustainable”, il pezzo Skrillex-style che aveva anticipato l’arrivo del disco, lasciando presagire una svolta totale nel sound della band che alla fine se c’è stato, è stato solo parziale. Finale sempre strumentale con “The 2nd Law Isolated System”, pianistica e poco memorabile. Chiusura confusa di un album con-fuso. Più fuso che con.
"Va bene, ragazzi, ci facciamo l'ultima risata su come canto, poi però basta, ok?"
Tirando le somme, direi questo The 2nd Law è una delusione, considerando come la speranza che i Muse possano fare qualcosa al livello dei loro primi tre album rimanga sempre accesa, illuso me. In realtà, più che una delusione è una conferma sui livelli spenti dei precedenti Black Holes and Revelations e The Resistance, con questa volta almeno qualche segnale di vitalità in più. Matt Bellamy c’ha ‘na voce della Madonna, i Muse tecnicamente sono dei mostri e il potenziale di questa band è enorme. Il problema è che lo sanno. Sanno quanto sono bravi e invece di fare i modesti e scrivere le loro canzoni e proporle così, naturali e scarne e suonarle a bassa voce, esagerano, si fanno prendere dall’eccitazione e si sborranno addosso.La cosa positiva dell’album, la sua varietà e il suo tentativo di provare cose differenti, è anche quella più negativa: anziché un album unitario, suona come un’opera confusionaria, senza senso, che non sa verso quale direzione dirigersi. Ne prova alcune, ma non è convinta, torna indietro sui suoi passi e poi prova un’altra strada ancora. Finendo per incartarsi e per rimanere bloccata prigioniera di un labirinto. Una band un tempo grande, ormai persa dentro il suo stesso talento, destinata a fare la stessa fine di Jack Nicholson/Jack Torrance in Shining? Ma-ma-ma-ma Mu-Mu-Mu-Muse che-chechecche-che co-co-co-continuate a co-co-co-combinarmi? Vi siete pe-pe-persi del tutto nella Ma-ma-ma-madness? (voto 4,5/10)
La Repubblica