New Talents | Intervista a Giuliana Mancinelli Bonafaccia

Creato il 12 novembre 2013 da Dmoda

Noi donne siamo geneticamente attratte da ciò che brilla, da ciò che è prezioso e fa sognare. Amiamo gli anelli di diamanti o le collane di perle, perché ornano il nostro corpo, rendendoci sublimi. Ma un gioiello non è solo un oggetto di valore e nemmeno un semplice abbellimento volto a completare l’outfit giornaliero. Un gioiello può essere un viaggio di sensazioni e percezioni, un percorso di ispirazioni artistiche, una vera scultura: un gioiello è qualcosa di più, come si percepisce entrando nel mondo di Giuliana Mancinelli Bonafaccia.

Questa giovane designer della capitale presenta creazioni realizzate in galuchat, argento bagnato nel rutenio nero e smalti policromi, dallo stile sofisticato e dal design ricercato e originale. Pezzi unici e moderni completamente Made in Italy, da ammirare con particolare attenzione, perché sono i dettagli che fanno la differenza. Alla base del lavoro di Giuliana Mancinelli Bonafaccia ci sono una continua ricerca e sperimentazione dei materiali, una cura dei particolari e una dedizione totale presente in tutte le fasi di produzione: un mix che dà origine a gioielli che si discostano da qualsiasi classificazione o stereotipo.
Jack in the pulpit è la sua ultima collezione, ispirata alle opere di due artisti americani, il fotografo Edward Weston e la pittrice Georgia O’Keeffe: è qui che colori, agate druzy, plexiglass e argento si uniscono per rivelare una natura selvatica, ma sensuale. Conosciamo qualcosa in più di Giuliana Mancinelli Bonafaccia.

Da cosa è nata la tua passione per il jewellery design?

Il mio interesse per la gioielleria è nato casualmente, mentre studiavo alla facoltà di Architettura della Sapienza di Roma e man mano si è trasformata in una vera e propria passione che mi ha dato la possibilità di esprimere la mia creatività: da lì la scelta di intraprendere questo percorso, approfondendo le mie conoscenze nel settore e frequentando i corsi di gemmologia dell’IGI di Anversa, soprattutto relativamente alle pietre di colore. Un passaggio dovuto al caso, che mi ha portata ad avvicinarmi ad un mondo che sentivo più vicino, proprio per le potenzialità creative che mi venivano offerte.

Pensi che i tuoi studi di architettura e interior design ti aiutino nella creazione dei tuoi gioielli e in che modo?

Sicuramente la formazione in architettura ha influito profondamente sia per quanto riguarda il processo di ideazione del gioiello, lo studio delle forme e la possibilità di immaginarlo nelle 3 dimensioni, sia per quanto riguarda il disegno tecnico.

Hai usato il nome di un fiore per denominare la tua nuova collezione 2014. Che cosa rappresenta “Jack in the pulpit” per te?

La scelta di chiamare la collezione “Jack in the Pulpit” richiama una serie di opere di Georgia O’Keeffe, una dei due artisti a cui si ispira la collezione, ma soprattutto mi piaceva l’idea che il nome “Jack di the Pulpit” non avesse una corrispondenza nella lingua italiana, come nel caso di altri nomi di fiori, quali lily o rose. La traduzione letteraria è “Jack sul pulpito”, quindi è difficile immaginare che ci si stia riferendo proprio ad un fiore. È un elemento su cui ho voluto giocare un po’, a differenza delle collezioni precedenti, dove il nome era un riferimento diretto alle mie ispirazioni, come per esempio “Radiolarian” si collega immediatamente ai radiolari. Jack in the pulpit, invece, è come una dichiarazione di intenti implicita, con l’obiettivo, però, di incuriosire lo spettatore.

I tuoi gioielli sono realizzazioni scultoree, dalle forme geometriche molto moderne e uniche. Come hanno origine le tue idee?

Il punto di partenza è sempre la ricerca di un particolare, sia esso un’immagine, un’artista, una fotografia o una texture e, ad un certo punto, c’è qualcosa che attira la mia attenzione e ne approfondisco lo studio. Non è mai solamente un tema: a volte ce ne sono diversi che trovo interessanti e che accantono, momentaneamente, per poi riprenderli in una collezione successiva. Dopo lo studio passo all’ideazione vera e propria, cercando di immaginare quel particolare nelle 3 dimensioni. La prima parte del lavoro è puramente “istintiva” e, successivamente, c’è quello che si può definire un processo più ragionato, in cui procedo stilizzando le forme e lavorando sui materiali.

Alla base delle tue creazioni c’è un profondo e dettagliato lavoro di ricerca e sperimentazione dei materiali. Perché lo ritieni così importante?
Questa credo sia un po’ un’attitudine e un po’ un’eredità degli studi di architettura, dove la sperimentazione dei materiali è una prassi. Siamo abituati alla gioielleria classica, dove i materiali sono sempre argento, oro, pietre preziose, ma ci sono tantissimi materiali che si adattano perfettamente ad essere sfruttati e che molte volte, oltre a delle caratteristiche tecniche, possiedono anche delle notevoli qualità estetiche. Non credo si debbano “rinnegare” i tipici materiali preziosi, ma credo che parte dell’essere creativi consista, anche, nel voler sperimentare e raccontare qualcosa di nuovo.

Nelle tue collezioni precedenti c’erano motivi ricorrenti, quali il rinoceronte o la forma piramidale. Hanno un significato preciso per te?
Come in tutte le collezioni ci sono dei particolari a cui ci si affeziona maggiormente e che nel corso del tempo sono diventati una sorta di portafortuna per me: il rinoceronte, per esempio, è la testa dello scarabeo-rinoceronte, è stato uno dei primi elementi da me disegnati e presente in numerose mie creazione, come un anello che, oramai, indosso sempre.

Erika Molinari


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