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Dallo svincolo del Wafi Center mi immetto sulle sei corsie della Sheikh Zayed Road con la testa distratta e pendolare di chi ha fatto quella manovra già abbastanza volte per mandarla a memoria. In quel preciso istante parte l’mp3. Un piano inizia quasi a stento, sembra non sappia bene cosa fare. L’introduzione sembra lunga perché non ha un senso, fino a quando non te lo aspetti e si scioglie in una melodia dolcissima. Poi entra una chitarra, che pure lei pare smarrita. La suona un brutto ceffo col bandana che lo chiamavano Little Steven. Pare stia strappandole le corde a quella povera chitarra, prima che si decida a usare decentemente un plettro. Lui comincia, ed è una storia di due che scopano sul sedile posteriore di una Cadillac.
“Billy is down by the railroad tracks, sittin' low in the back seat of his Cadillac. Diamond Jackie, she's so intact, she falls so softly beneath him”.
Su “Jackie's heels are stacked” parte una linea di basso che ti fulmina (mi sarebbe piaciuto saper suonare il basso) e una percussione languida sotto che mi piace immaginare la stesse suonando quel grande omone nero col sassofono a tracolla.
“It's midnight in Manhattan, this is no time to get cute, so walk tall baby. Or don't walk at all”.
Entrano degli archi e ti stracciano il petto e ti tirano fuori il cuore che batte ancora fiotti di sangue che pare una macelleria. Lui sta implorando “Fish Lady” (che poi sarebbe una puttana) e non si capisce nemmeno tanto bene il perché. Ora c'è un sax e le percussioni rimangono, quindi non era Clarence Clermons a suonarle visto che ora ha ben altro di cui occuparsi. E ti accorgi che è un pezzo rock senza la batteria quindi dev’essere quel bastardo di Mad Dog Vinnie Lopez ad allungare i bonghi come in un lamento.
Di colpo la musica si ferma. Tutti cantano e battono le mani come in una specie di gospel. Una banda negra e cialtrona che ci tiene a dirci che “she won't take the train, no she won't take the train” perché la puttana deve restare nel vicolo a lavorare, ha paura dei magnaccia e non può scappare. Tu pensi oddio non andrà mica a finire cosi, non manderanno tutto in vacca in questo modo proprio adesso. Loro ti lasciano giusto il tempo di crederlo e poi riprendono a suonare, dolcissimi. E a farti a pezzi il cuore.
“So long, sometimes”.
Gli strumenti abbassano la voce discreti e restano giusto due note di piano su una linea sottile di basso e percussioni.
“He's singin', singin'…”.
Piano piano gli archi ricrescono e il grosso omone negro sfoga il suo sassofono e ti fa pensare a un tempo quando internet non esisteva ma c’erano le cabine del telefono, quando gli amplificatori avevano valvole e fusibili e la musica si faceva su quattro assi con gli elettricisti e non con l’ingegnere elettronico.
Rallenta ancora e va a finire che lui mugola “Watch out for your junk man” e rimangono quasi solo gli archi. O sono tastiere ma a questo punto che importa, tu deglutisci, hai i crampi allo stomaco, le mani sudate, lo sguardo fisso avanti e la testa chissà dove. E quella cazzo di uscita trentadue che è passata e manco te ne sei accorto.
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New York City Serenade è un pezzo di Bruce Springsteen dal suo secondo album: The Wild, The Innocent and the E Street Shuffle. E’ del 1973, lui aveva ventidue o ventitrè anni quando l’ha scritta. E Street shuffle si riferisce a quando una notte, di ritorno da una serata a New York, il loro pulmino a noleggio rimase in panne nella neve proprio dalle parti della E Street a Belmar nel New Jersey. A quel tempo Little Steven non suonava ancora con la E Street Band (che peraltro nemmeno si chiamava ancora così) però a me è piaciuto immaginarlo. Se non la conoscevate e vi ho fatto venire voglia di ascoltarla http://www.youtube.com/watch?v=AWpv0aStofo
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