(Nella foto: il terzo da sinistra con la maglietta blu e’ una mia conoscenza, il reverendo Al Barozzi, autore di diversi libri sugli italiani naturalizzati americani che si sono distinti per capacita’ politiche o artistiche)
Fonte: I-Italy
“Gli italiani sono singoli geni che formano, tutti insieme, un popolo politicamente disordinato… Una collettività talmente sorprendente da rendere problematico un giudizio complessivo”. Parafrasare il compianto Alberto Lattuada sembra una buona idea per avere uno spunto e comprendere l’idea dietro al nuovo libro di Maurizio Molinari. Il giornalista nel suo “Gli Italiani di New York” passa in rassegna diversi nomi dell’eccellenza italiana newyorkese, dall’accademico direttore del John D. Calandra Institute Anthony J. Tamburri a LoCicero, veterano della guerra di Corea nell’Air Force, da Nicola Gallotti, general manager del Geneva Watch Group a Sirio Maccioni, proprietario del ristorante di lusso Le Cirque.
E mercoledì scorso nell’auditorio della Casa Italiana Zerilli-Marimò era possibile incontrarne fisicamente molti, mentre assistevano alla presentazione. Alcuni visibilmente orgogliosi di essere stati prescelti. Sul palco, accanto a Maurizio Molinari, sei dei protagonisti del suo scritto, Matilda Cuomo, Italo “Al” Barozzi, Federico Mennella, Antonio Monda, Gaetano Pesce e Cesare Casella. Il direttore, Stefano Albertini, come di consueto, fa gli onori di casa e presenta il primo ospite, Massimo Gaggi, corrispondente a New York per il Corriere della Sera, che agisce da moderatore durante questa serata dalle forti tinte bianco-rosso-verdi. Il giornalista introduce brevemente il libro al pubblico per cedere il microfono a Matilda Cuomo, personaggio di spicco della comunità italo-americana di New York, presidente di Mentoring USA, moglie dell’ex governatore di New York e madre dell’attuale.
Maurizio Molinari
L’ex first lady racconta con passione la sua famiglia italo-americana, a partire dai sacrifici fatti dai genitori italiani alle prese con le prime difficoltà in un’America meno accogliente, alla passione per la politica di suo marito, all’impegno profuso da suo figlio, a quello per i cittadini più bisognosi che la vede attiva in prima persona con Mentoring USA.
Artista di grande fama è senza dubbio Gaetano Pesce, architetto “emigrato” in America 35 anni or sono. Il pubblico ha l’occasione di apprezzare anche le sue doti di abile narratore quando ascolta i racconti del maestro sull’abilità e la creatività del popolo italico. Tra i vari aneddoti, Pesce fornisce i dettagli di un suo fantasioso progetto per il ponte di Messina, “non dobbiamo imitare gli americani e fare un secondo Golden Gate”, e scherza su come a volte si tenda ad entrare in banali competizioni su chi costruisce il ponte “più lungo”. La sua idea riguarda invece un ponte “abitato” a forma di “S”, lettera iniziale della Sicilia, retto da pilastri che potrebbero fungere da edifici abitati o da hotels, ognuno caratterizzato da peculiarità di ogni regione italiana.
Ma c’è posto anche per la religione durante questo incontro tutto italiano, il “prete di frontiera” naturalizzato newyorchese Italo “Al” Barozzi spiega come spesso gli italiani si danneggino involontariamente creando e perpetuando gli stessi stereotipi nel tempo. D’accordo con il religioso anche lo chef Cesare Casella della Salumeria Rosi, portavoce dell’eccellenza culinaria italiana che lamenta un calo graduale di ristoranti italiani che utilizzano ingredienti della propria terra mentre si assiste impotenti ad un notevole aumento di ristoranti francesi o americani che fanno sfoggio dei migliori prodotti italici.
Ospite ormai abitudinario di Casa Italiana è il professor Antonio Monda, che insegna cinema alla New York University. Appare come una voce leggermente fuori dal coro, quando spiega con malcelata tristezza la lenta morte del cinema Made in Italy, almeno quello prodotto nel Bel Paese. Spiega con amarezza il lento declino dell’industria e parla della progressiva emigrazione di registi italiani talentuosi negli Stati Uniti e nel resto del mondo. Paolo Sorrentino è un nome su tutti. Ovviamene anche la finanza trova spazio nel libro di Molinari e sul palcoscenico, Federico Mennella, managing director a Lincoln International, parla di come negli ultimi venti anni sia avvenuto il graduale abbandono dalla scena economica americana dei grandi nomi di aziende italiane, Olivetti, BNL e tanti altri. Confessa di essere profondamente amareggiato per la situazione giovanile attuale, molti dei talenti del Bel Paese vengono sempre più spesso assunti da aziende estere.
La parola finale spetta all’autore del libro. Maurizio Molinari ringrazia tutti i suoi “protagonisti” e chiude la serata affermando che dopo aver raccolto queste esperienze italiane di successo a New York è giunto alla conclusione che la vera caratteristica dell’essere italiani è “saper fare sempre del proprio meglio”. Con una nota di sincero dispiacere, rispondendo ad una domanda, dice che la ricezione del libro in Italia è stata fredda. Secondo Molinari la ferita degli italiani che emergono professionalmente all’estero è ancora più profonda di ciò che appare a causa dell’assenza di una profonda riflessione. “Se ami il tuo Paese e il tuo popolo, devi spingere a rifletterci” conclude.
Breve video su La Stampa
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