Quanta paura fa diventare grandi? È questa la domanda alla base di ogni romanzo di formazione che si rispetti e Niccolò Ammaniti, narratore di lunga e affermata tradizione in questo genere, sembra dare una risposta spiazzante attraverso la protagonista del suo ultimo romanzo, Anna, uscito per Einaudi lo scorso 29 settembre. Un nome semplice, di quattro lettere, un nome palindromo, che si esaurisce in un breve sussurro proprio come quella vita che "non ci appartiene, ci attraversa".
Siamo in un futuro molto prossimo, l'anno è il 2020, e il mondo così come lo conosciamo è stato spazzato via da un virus letale e globale, infantilmente chiamato la Rossa, una malattia che colpisce solo gli adulti ma non i bambini, almeno finché restano tali. È dunque la pubertà a fare da spartiacque: momento di crescita per eccellenza, di un nuovo nascere per ognuno di noi, si trasforma nel romanzo in un segno di morte, in un appuntamento con un destino ineluttabile. E allora sì che diventare grandi fa davvero tanta paura! Questo scenario post apocalittico fatto di città abbandonate, ruderi e macerie di una vita che non c'è più si colloca in un luogo reale, concreto, la Sicilia, che qui si fa spettrale, devastata e devastante; una Sicilia dove il profumo del mare, degli aranci, della terra viva ha lasciato posto all'odore acre di morte che si sprigiona dai cadaveri in decomposizione sparsi ovunque.
È qui che si muove Anna, personaggio forte ed insostituibile, ragazzina di forse tredici anni - dal momento che nemmeno lo scorrere del tempo si può calcolare facilmente senza orologi funzionanti, senza elettricità - con un'unica missione da portare avanti: proteggere il fratellino Astor, in un mondo dove le regole non ci sono più e che non può contare sulla saggezza e l'esperienza di chi ha molto vissuto, un mondo dove l'unica legge, insomma, è quella del più forte. Il sapere di Anna è tutto condensato nel proprio fiuto, nel proprio istinto e in una piccola enciclopedia che la madre ha scritto disperatamente negli ultimi mesi della sua esistenza, cercando di racchiudere in essa tutte quelle informazioni a suo avviso necessarie per la sopravvivenza dei suoi figli dopo la sua scomparsa: il "quaderno delle Cose Importanti", appunto. È con questa sorta di amuleto cartaceo che Anna cerca disperatamente di farcela, di restare viva e di raggiungere un altro obiettivo, quello di andar via dall'isola perché forse, si dice, nel continente qualcuno ha trovato la cura al terribile morbo... Ed eccola qui l'altra grande protagonista di questo movimentato romanzo di formazione: la speranza. Ad essa si deve ogni singola azione di Anna che non si lascia sopraffare da un presente catastrofico ma parte, insieme ad Astor, al cane Coccolone e al "minchionaccio" Pietro, alla volta dello Stretto, simbolo per eccellenza di un collegamento con un mondo dove forse ancora ci si può salvare.
Nelle tante avventure che Anna vive, la maestrìa di Ammaniti nel dipingere le mille sfumature cangianti della psicologia dei ragazzini e dei bambini emerge solo in parte non raggiungendo mai le vette a cui l'autore romano ci ha abituato. La superba caratterizzazione dei personaggi e una trama che non perde eccessivamente di credibilità, nonostante il genere apocalittico, non bastano a trascinare il lettore fuori dal suo mondo e a catapultarlo in quello dello scrittore, insomma a prenderlo e a portarlo via, per citare un suo grande capolavoro. Non ci si abbandona mai del tutto alla storia, si resta sempre un po' guardinghi mentre le pagine corrono via, speranzosi di arrivare al punto di non ritorno, quello in cui chi legge abbassa le proprie difese e si lascia cullare dall'ebbrezza della lettura. Ma qui si aspetta invano. Sarà per la trama un po' risaputa o forse semplicemente per l'eccessiva aspettativa che, si sa, non sempre è la migliore condizione per avvicinarsi al nuovo lavoro di un artista che apprezziamo.
Il consueto tratto graffiante della penna di Ammaniti, quello che con leggiadra ironia sa scolpire situazioni ai margini della società e psicologie infantili che colpiscono e infrangono le certezze granitiche dei grandi, sempre osservati con gli occhi dei ragazzini, qui appare sottotono, forse proprio per la quasi totale mancanza di quel contraltare dato solitamente dalla presenza degli adulti. Tant'è vero che l'Ammaniti più puro lo ritroviamo in quei flashback dove invece questi sono protagonisti, episodi che, precedenti al dilagare della malattia letale, permettono dunque un confronto tra la ferma definizione di un carattere pienamente maturato e quello ancora tutto da formare e da indagare di un bambino.
Quello che resta alla fine di questo viaggio letterario è un affetto incondizionato per Anna, per la sua incrollabile voglia di sopravvivere, per il suo coraggio, la sua forza. Insomma, un bel personaggio di cui viviamo tutto (paura, rabbia, gioia, dolore, la scoperta di nuovi sentimenti) e che, anche in un'opera non del tutto riuscita, conferma lo spessore ed il grandissimo talento di Niccolò Ammaniti.