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Nicholas Winding Refn

Creato il 22 agosto 2011 da Alejo90
Pusher - L'inizio (Pusher) (1996) - 2,5/5
Bleeder (1999)
Fear X (2003)
Pusher 2 - Sangue sulle mie mani (Pusher II) (2004) - 2,5/5
Pusher 3 (Pusher III) (2005) - 3/5
Miss Marple - Nemesi (Marple: Nemesis) (2007) - Film TV
Bronson (2008) - 3/5
Valhalla Rising - Regno di sangue (2009) - 2/5
Drive (2011) - 3/5
Solo Dio perdona (Only God Forgives) (2013) - 3,5/5
Refn (1970), danese, dopo aver studiato negli States, esordisce giovanissimo (25 anni) e senza una grande preparazione teorica con Pusher - L'inizio, che darà vita ad una trilogia. Acquistata la notorietà internazionale con la trilogia di The Pusher e Bronson, raggiunge con Drive una piena maturità registica.
-Pusher
Danimarca 1996 - drammatico/gangster - 105min.
Copenhagen. Frank è un medio spacciatore: gira per la città con un collaboratore smerciando droga al miglior offerente, ma è in debito con il gangster Milo di 50.000 sacchi, che gli promette di saldare con la prossima transazione. L'affare però va a monte  e Frank passa la giornata in commissariato. Persa la roba ed i soldi, diventa difficile per Frank riuscire a saldare il proprio debito.
L'esordio di Refn è un esempio di cinema-veritè realizzato in modo credibile negli ambienti degradati della droga danese: cinepresa digitale spesso mossa, molto vicina ai personaggi, che ci accompagna in baracche fatiscenti, in sudici appartamenti e in locali malfamati nel percorso di un pusher. In realtà la componente finzione c'è eccome, e si rifà ai classici del genere americano, Scorsese in primis, pur manifestando una certa personalità registica nell'intessitura di intreccio intrigante pur se canonico.
Ha dato origine ad una trilogia.
Voto: 2,5/5
-Pusher 2
Dan/UK 2004 - drammatico/gangster - 100min.
Si seguono le vicende di Tonny, uno dei personaggi del primo film che, uscito di galera, va a lavorare nell'officina paterna, ma non riesce a stare senza delinquere e ben presto si trova in mezzo ad un casino: ha messo incinta una puttana che ha partorito, aiuta Kurt The Cunt che è in un pasticcio per una affare di droga, non ha un buon rapporto con il padre-gangster The Duke.
Il secondo capitolo della trilogia ha più storia e si segue più piacevolmente. Le situazioni sono più varie e lo sviluppo meno scontato. Bello anche il finale, sempre in aperto come il primo. Gli stilemi del film precedente sono rimasti inalterati, così non ci sono motivi in più o in meno per consigliarlo o sconsigliarlo. La ricostruzione ambientale è sempre notevole.
Voto: 2,5/5
-Pusher 3
Dan 2005 - drammatico/gangster - 90min.
Stavolta il protagonista è Milo, personaggio presente nei due film precedenti e se vogliamo "star" della trilogia: mentre tenta di disintossicarsi al circolo dei drogati anonimi, mentre tenta di organizzare la festa per la figlia, mentre tenta di mantenere il suo ruolo di primo piano di pusher a fronte delle "nuove generazioni" di criminali, mentre fa il lavoro più sporco, mentre guarda una piscina vuota in cui gli piacerebbe affogare per il rimorso, ma alo stesso tempo non può smettere di essere ciò che è.
Il più maturo della trilogia, il più serio (o meno divertente), anche il più calmo: telecamera meno mobile del solito, meno situazioni concitate, tutto trattenuto sotto giri per poi esplodere nel finale violentissimo, il più sconsolato e disperato della trilogia, che chiude con l'episodio migliore, conciso ed adulto. Forse la saga del pusher poteva limitarsi a quest'unico episodio; forse, d'altro canto, non sarebbe uscito così bene senza i due precedenti. Un tassello importante per la carriera di Refn che lo indirizza verso i suoi lavori migliori.
Consigliato.
Voto: 3/5
-Bronson
GB 2008 - biografico/drammatico - 92min.
Frammenti di vita del criminale Michael Gordon Peterson (nome d'arte: Charles Bronson), nato ad Aberystwyth, nel Galles, nel 1952, incarcerato nel 1974 per rapina, condannato inizialmente a 7 anni, pena poi estesasi al carcere a vita a causa dei continui reati commessi in prigione (e fuori, nelle brevissime parentesi di poche decine di giorni in cui è stato rilasciato dalla sua prima incarcerazione, rispettivamente nel 1988 e nel 1992).
Della vita di Bronson, Refn mette in scena pochi momenti: frammenti di infanzia, la prima condanna, il trasferimento da un penitenziario all'altro (compreso l'ospedale psichiatrico di massima sicurezza di Ashworth), la sommossa carceraria avvenuta nel 1982 a Broadmoor che ha causato danni per £750.000, la breve parentesi fuori di prigione nel 1988 (in cui l'organizzatore di combattimenti corpo a corpo cui prende parte, gli suggerisce di adottare lo pseudonimo di Bronson), la ri-carcerazione, la parentesi artistica (alcuni suoi disegni e poesie hanno vinto 11 Koestler trust Awards, premi per forme d'arte elaborate dai carcerati inglesi) due delle sue numerose prese in ostaggio di personale carcerario.
Refn opta per una messinscena surreale, con inserti onirici (il palcoscenico dove un Bronson truccato intrattiene un pubblico con uno show a tema autobiografico) ed ellissi temporali. Il regista tenta di rendere visivamente la furia cieca che sembra dominare il personaggio - dal comportamento totalmente irrazionale - ricorrendo a grandangoli kubrickiani, fotografia basata sul contrasto fra luci ed ombre, musica classica alternata a sonorità elettroniche. Come nei film successivi, l'estetica domina su qualunque contenuto. L'interesse per la descrizione di un individuo che sembra essere un "natural born criminal" (non scrivo "natural born killer" perché Bronson non ha in effetti mai ucciso nessuno) è subordinata all'esibizione di maestria registica di Refn, ed al bel lavoro di montaggio di Matthew Newman, che conferisce ritmo alla pellicole alternando scene statiche a fulminei dinamismi, usando un'ampia gamma di transizioni, con predilezione per le transizioni incrociate.
Spettacolo visivo-sonoro affascinante, aiutato anche dall'istrionica interpretazione di Tom Hardy, che però manca di un certo approfondimento.
Voto: 3/5
-Valhalla Rising
Danimarca/GB 2009 - fantastico/drammatico/avventura - 93min.
One-Eye è tenuto prigioniero da un manipolo di vichinghi che lo fa combattere con chi vuole sfidarlo: lui li uccide regolarmente. Un giorno si libera e ammazza tutti tranne un bambinetto che inizia a seguirlo. I due si uniscono ad un gruppo di cattolici che vogliono imbarcarsi verso la Terrasanta per partecipare ad una crociata. In mare perdono l'orientamento ed arrivano stremati in una terra sconosciuta tutt'altro che ospitale.
Morale: i cristiani sono dei fanatici pazzi; la religione è una cosa deleteria per l'umanità; l'unico codice che l'uomo capisce è quello della violenza; l'unica cosa che può riscattare l'uomo è il sacrificio per un altro uomo (per un'altra generazione).
Nel concreto: un'ora e mezza di mutismo quasi assoluto, in cui questi personaggi senza nome si aggirano per posti isolati con aria assente; qualche momento splatter a inizio e fine film; una bella fotografia che ricorre smodatamente alla color-correction a fare da contenitore a questa non-storia di una lentezza esasperante.
Unica sequenza notevole è il viaggio in barca verso l'ignoto: solo qui la tecnica riesce davvero a creare un'atmosfera emozionante.
Deludente per il resto.
Voto: 2/5
-Drive
USA 2011 - azione - 100min.
A Los Angeles, uno stuntman (Ryan Gosling) arrotonda lo stipendio facendo l'autista notturno per la mafia. Si invaghisce della sua vicina di casa, ma un colpo finito male mette in pericolo entrambi.
La sequenza iniziale è da antologia: l'autista, auto parcheggiata pronta a partire, cronometra i suoi compagni; fatto il colpo, accende il motore e parte. Sono inseguiti. Infiltrandosi nelle frequenze della polizia, l'autista ne spia i movimenti ed evade dalla zona sorvegliata. La regia di questa sequenza è da manuale di cinema: i tempi d'attesa, la tensione creata da un montaggio perfetto, veloce ma non troppo, la fotografia giocata sulla scarsa visibilità notturna, il sottofondo elettronico: un esempio di grande cinema. Per tutta la pellicola Nicholas Winding Refn tiene le redini di un'opera minuziosamente studiata dal punto di vista tecnico, che fa assaporare ogni inquadratura, anche le più convenzionali. Meritato premio per la miglior regia a Cannes, Drive viene proposto a Locarno forte di un'onorificenza che premia il talento di un regista che sa far aspettare, coinvolgere e colpire lo spettatore con scene di violenza brutale alternate a momenti di delicata enfasi sentimentale. Il binomio amore/violenza trova la sua massima convergenza in una scena, ambientata all'interno di un ascensore, che è di una maestria talmente elevata da commuovere.
Sebbene la recitazione potesse essere più incisiva (il protagonista Ryan Gosling non brilla certo per espressività , pur mettendo in questo modo in risalto la fredda mentalità calcolatrice del personaggio; i comprimari sono tanto efficaci quanto poco incisivi) il coinvolgimento è assicurato dall'ottima colonna sonora di Cliff Martinez, che alterna pezzi non originali a partiture elettroniche sempre azzeccate, in grado di coniugarsi perfettamente con gli stati emotivi dei personaggi: malinconia, ansia, rabbia, voglia di fuga e di riscatto.
Come già accennato il lavoro di montaggio da parte di Matthew Newman è encomiabile, non solo nelle scene di inseguimento automobilistico (in realtà meno di quante ce ne si aspetterebbe dal titolo), ma anche in quelle più pacate e tranquille di vita quotidiana e dialogiche, rese interessanti da una fotografia che si diletta in accurati cromatismi (colori generalmente tenui e luci soffuse in cui spicca il rosso del sangue) e che usa le ombre per far risaltare espressioni e sguardi.
La storia di per sé è ciò che conta meno, classica e prevedibile, anche poco interessante se vogliamo, da thriller convenzionale. E' ciò che non permette al film di renderlo memorabile anche a livello di tematiche ed originalità , due elementi in cui invece la pellicola è assai debole, scivolando inesorabilmente nel già visto. Focalizzandosi sulla ricerca di un'estetica perfetta, Refn trascura qualsiasi altro livello di significazione, per offrire allo spettatore un intrattenimento di gran classe ma avaro di contenuto.
Voto: 3/5
-Solo Dio perdona
 Francia/Danimarca 2013 - drammatico/noir/sperimentale - 90min.
A Bangkok due fratelli malavitosi sono a capo di una rete di spaccio di droga, attività coperta da una palestra di boxe. Uno dei due, a seguito dello stupro ed uccisione di una minorenne, viene arrestato da un poliziotto vendicativo (Vithaya Pansringarm) che lo fa uccidere. La madre dei due fratelli (Kristin Scott Thomas), sorta di capobanda, arriva a Bangkok per dirigere la propria vendetta nei confronti del poliziotto.
Marshall McLuhan scriveva che "il tatto è un rapporto tra tutti i sensi e non il contatto isolato tra pelle e oggetto". Questo film è profondamente "tattile", sia nel coinvolgimento sinestetico cui obbliga lo spettatore (immerso in un caleidoscopio di suoni ed in una cacofonia di colori), sia nella sua fissazione per le mani di Julian (il fratello "debole", interpretato da Ryan Gosling), offerteci in primi piani distribuiti nell'arco di tutto il film. Mani arrendevoli che vorrebbero essere forti, che si stringono in pugni chiusi (sete di potere o frustrazione per la propria incapacità?) o tendono lentamente verso soglie proibite (in una metafora fallica che evoca complessi di castrazione e sogni edipici non troppo velati). Qui sono i sensi, più che i fatti, a contare: la vista - quella spettatoriale, indebolita da zone d'ombra e riprese in notturna, ostacolata da impervie architetture in cui luci contrastanti filtrano da ignoti recessi; quella di Julian, persa in un vuoto che sembra renderlo non molto cosciente di quanto accade attorno a lui, più concentrata su una lama di spada che pre-vede nella sua mente - e l'udito - quello spettatoriale, vezzeggiato dai brani elettronici di Cliff Martinez; quello dei personaggi, permeato di insulti, minacce, urli di spavento, supplica, dolore - diiventano categorie che vengono prima della narrazione in ordine di importanza, anzi se ne fanno carico in vece della scrittura, che rinuncia quasi totalmente a didascalie verbali, inquadramenti sociologici o esposizione razionale degli eventi (o meglio, a esposizione di eventi razionali). Se la verosimiglianza, la classicità e la linearità non sono certo il forte del film - il che spiega la delusione di buona parte del pubblico, ansiosa di assistere ad un altro Drive - Solo Dio perdona ha dalla sua una carica nuova per Refn, un qualcosa che prima non c'era, un qualcosa che rende compiuto questo film e che, mancando, rendeva inconcludente Valhalla Rising (il suo film che, a mio parere, più assomiglia a quest'ultimo): una poetica oltre che uno stile. Una visione del mondo oltre che una tecnica. Un'idea di (sete di) vendetta e di (assenza di) perdono molto personali e per certi versi alternativi alla maggior parte dei film inerenti questi argomenti.
E poi la violenza.
Tanta violenza.
Voto: 3,5/5

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