Così fu anche la sua decisione sullo studente dell’accademia medico-chirurgica [...]
La faccenda consisteva nel fatto che il giovanotto, che per due volte non aveva passato l’esame, l’aveva dato per la terza volta, e quando l’esaminatore l’aveva bocciato di nuovo, lo studente, malato di nervi, vedendo in questo un’ingiustizia, aveva preso dal tavolo un temperino e, in un attacco di frenesia, si era gettato sul professore e gli aveva procurato una ferita insignificante.
-Come si chiama?- chiese Nicola
-Bžezovskij.
-Un polacco?
-Di origini polacche, e Cattolico [...]
Nicola si accigliò. Aveva fatto molto male ai polacchi. Per spiegare questo male doveva esser convinto che tutti i polacchi fossero dei mascalzoni. E Nicola li considerava così, e non li sopportava in rapporto al male che aveva fatto loro.
-Aspetta- disse, e, chiusi gli occhi, abbassò la testa [...]
Adesso pensava al modo migliore di soddisfare quel sentimento di odio nei confronti dei polacchi che aveva risvegliato in lui la storia di questo studente, e la voce interiore gli aveva suggerito la risposta seguente. Prese il rapporto e su un lato di esso scrisse, con grafia imponente: ”Merita la pena di morte, ma, grazie a Dio, la pena di morte da noi non c’è. E non è mio compito ripristinarla. Passi per dodici volte in mezzo a mille soldati. Nicola” firmò con un innaturale, enorme svolazzo. Nicola sapeva che dodicimila vergate non erano solo una morte sicura e straziante, ma una crudeltà eccessiva, dal momento che sarebbero stati sufficienti cinquemila colpi per uccidere l’uomo più forte. Ma gli piaceva essere implacabilmente crudele e gli piaceva pensare che da noi non c’era la pena di morte.
[Lev Tolstoj, Chadži-Murat, traduzione a cura di Paolo Nori]