La casa editrice Donzelli, quando abbinata all’albo illustrato, è per me istintivamente sinonimo di eleganza e raffinatezza. Ovviamente poi, ciascuna pubblicazione è a sé, sovente queste sono diversissime tra loro, ma quando prendo in mano un albo Donzelli – forse, ancora precedentemente, quando osservo la copertina, ben prima di saggiarne il contenuto – si forma in me l’aspettativa del lavoro autoriale di alta qualità estetica, dall’impronta originale e dalla personalità netta.
A volte accade che i pregiudizi – soprattutto quelli formati su un giudizio positivo ripetuto e costante – siano confermati. E questo è sicuramente il caso di “Niente principe ranocchio” di Elena Arévalo Melville, che risponde esattamente ai requisiti sopra indicati, messi ulteriormente in risalto dal grande formato, alto a sviluppo verticale, e dallo sfondo intenso della copertina color rubino.
Una storia d’impronta fiabesca, che da una fiaba trae traccia e ispirazione, ma che a me è parsa come una splendida e profonda riflessione sull’amore, sulle aspettative e idealizzazioni che di solito accompagnano l’età giovanile per risolversi poi, con l’acquisizione di maggiore esperienza e maturità, non in rassegnazioni o adattamenti, bensì in capacità di riconoscere e abbracciare rapporti più solidi, appaganti ed equilibrati. E non per questo meno romantici.
Senza ombra di svilimento o giudizio – ché spesso alcuni passaggi sentimentali sono quasi obbligati e anche belli e importanti – l’albo ricalca in maniera molto originale, conferendole una sorta di attivismo e protagonismo in più, la classica ricerca del principe azzurro.
Ma qui non si tratta di una fanciulla indifesa che aspetta pacata, bensì di una peperina ragazza della giungla, che il suo destino se lo vuol creare e la sua fiaba costruire, pezzettino per pezzettino, attenendosi sì strettamente alle istruzioni ma non accontentandosi certo dell’attesa.
Lei non ha nome, ma solo una silhouette sinuosa, una macchia di capelli e un piglio sbarazzino. D’altra parte cosa aspettarsi da una ragazzina che è vissuta nel folto della foresta con un tucano come amico e confidente?
Lei e tucano sono amici per la pelle, hanno condiviso giochi ed esperienze, cibo, emozioni e letture.
Accade così che un mattino, lei si accorga di non essere più tanto bambina. “Dovrò trovare un principe” pensa, ma non uno qualunque, bensì, ispirandosi a quello che forse è il suo libro preferito, un principe ranocchio.
Nella giungla in fondo, i baldanzosi ragazzotti a cavallo vestiti di azzurro scarseggiano. Molto più pratico cercare il più nobile tra i rospi degli stagni, colui che, di certo, dopo il bacio del vero amore, saprà tramutarsi in un regale compagno.
Bisogna però far le cose per bene, e così lei e il fedele tucano si mettono alla ricerca della palla d’oro, della pozza giusta in cui lanciarla – né troppo profonda né troppo bassa – dell’abito, del cibo più invitante di cui cibarsi assieme all’amato dopo la trasformazione e, soprattutto, del ranocchio che sia, tra tutti, meno ributtante da baciare.
Per quanto lei si sia fatta bella, con i fiori tra i capelli e l’abito lungo e scollato sulla pelle ambrata, abbia seguito alla lettera tutte le istruzioni, nessun ranocchio con la corona ha fatto capolino dall’acqua fangosa con labbra protese e promesse di felicità.
Lei ha il cuore spezzato, forse non merita un principe rospo perché non è affatto una principessa, perché, forse, non sa bene chi sia…
Tucano, come ci si aspetta, le è rimasto accanto e, premurosamente, per calmare almeno un poco le lacrime sul suo viso, le ha offerto, direttamente dal suo becco una delle bacche che lei preferisce, quelle rosse, morbide e succose.
E’ così che per un attimo, e per la prima volta nonostante una vita passata assieme, becco e bocca si toccano e…
Forse la felicità è esattamente là dove la conoscevi già, quando cade dagli occhi quel velo che cambia tutto, pur non cambiando nulla.
Un racconto incantato e romantico, a tratti dolce e lirico, a volte un poco beffardo con passaggi divertenti, sempre sognante.
Una narrazione che non ha tempo e appena accenna allo spazio, che non possiede riferimenti se non quelli dati dalla storia in sé, che ha un prima e un dopo che sfumano dell’immaginazione e non si cura di altri che non siano i due protagonisti, uccello e fanciulla.
Nonostante ciò è un racconto perfettamente compiuto, chiuso, bastevole, che racchiude un universo di suggestioni grazie anche alle particolarissime e impressive tavole dell’autrice.
Un libro che, piuttosto che ai bambini, consiglierei ai più grandicelli, sulla soglia addirittura dell’età adolescenziale. I primi, i piccoli, possono essere incantati dalla fiaba, ai secondi invece l’albo ha, secondo me, molto da dire nel profondo.
A partire dalla rappresentazione della crisi, propria della crescita, che porta dalla certezza di chi si è e di cosa si ha e si vuole, dalla fiducia cieca nei miti dell’infanzia e nel potere della propria volontà, alla messa in discussione, dolorosa e quasi nichilista, di ogni sicurezza, alla ricerca del proprio io e, di conseguenza, del proprio oggetto d’amore.
E’ una fiaba, sì, una di quelle che si prendono un po’ gioco di se stesse, ma, allo stesso tempo, può avere echi profondi se letta all’età giusta e al momento giusto.
Senza trascurare il fatto che è anche una delicata e tenera storia d’amore, con personaggi che, se anche appena tratteggiati, ben delineano il proprio carattere.
Inconsuete ed audaci le illustrazioni, dal tratto allo stesso tempo fine e impressivo, quasi graffiato su sfondi accesi nei toni del rosso, del viola e dell’azzurro. Figure che meglio si apprezzano nell’osservazione d’insieme là dove, come in quadro impressionista, le macchie diventano forme e le forme tracciano scene.
Tavole indubbiamente non facili, tantomeno immediate, ma ricche d’intensità, di vigore e sensualità e che comunque, pur nella loro ricercatezza, non rinunciano a guizzi buffi che muovono al sorriso.
(età consigliata: dai sei anni)
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