E' iniziato l'anno già da qualche giorno e, come tradizione vuole, dovrei mettermi d'impegno per fare bilanci e buoni propositi. Però "dovrei" per fortuna non significa " devo" e così ho optato per né l'uno né l'altro. D’altronde, farmi venire l'ansia da prestazione non mi sembra, per niente, un buon modo per iniziare il 2013. Di sicuro non è mancata qualche profonda riflessione, che accompagna sempre tutti gli "addii" e fa da compagnia ai " benvenuti" e, in questi giorni di vacanza dal lavoro, di sicuro mi è capitato più di una volta, trovarmi a pensare quanto sia difficile e faticoso fare la mamma a tempo pieno e quanto nessuno lo dica, vergognandosene, solo di averlo pensato.
Nel corso di queste serate di festa mi sono ritrovata più volte, a buttarmi sul divano, stanca e stremata, con i muscoli intorpiditi e la testa con un eco che gridava pietà, e tutto ciò, per aver disegnato, corso, giocato, preparato merende, fatto bagnetti, e risposto cento volte alla parola "mamma". In un paio di occasioni credo anche di aver rimpianto il caos del mio ufficio, bramando otto ore di tranquillità, tra telefoni che squillano, pile di carta da smistare, problemi da risolvere ed il dolce ticchettio dei tasti del computer. Non ho osato lamentarmi ed, ovviamente, non ho osato dirlo a nessuno, perché le poche volte che distrattamente, mi sono confessata, ho solo incontrato sguardi sgranati pronti a catalogarmi nel libro nero delle mamme, di quelle che rimpiangono la spensierata "gioventù" e i tempi in cui l'unico pronome che contava era "io". Sguardi di chi preferisce l'apparire all'essere e non osa confessarlo, sguardi che però, analizzati bene, nelle parole mal celate che nascondo, fanno emergere un mondo in cui tutte viviamo la stessa situazione, in continua balia del dilemma, che essere una buona madre non vuol dire votarsi all'annientamento della persona e in bilico tra voler essere sempre presente e, a volte, voler pure "scappare". Voler apparire e rinunciare a essere per l’appunto, decidendo che merita più il parere di chi ci ascolta, sicuramente ci capisce, ma preferisce criticarci, che essere noi stesse, in pace con i sentimenti contrastanti e con dubbi legittimi che in noi convivono. Vittime di un retaggio culturale che ci vuole perfette ed efficienti, non inclini al lamento, siamo noi stesse le prime a criticarci ,vergognandoci delle nostre debolezze e cedimenti e scegliendo di apparire in una corazza che spesso stringe e imprigiona. Però chissà, magari per questo 2013.......
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