A malapena cominciamo a scoprire che esistono, e già si rivelano indispensabili: parliamo dei fermioni di Majorana, particelle con la singolare caratteristica di essere al tempo stesso materia e antimateria. A suggerirne l’esistenza, nel 1937, fu Ettore Majorana, giusto un anno prima della sua misteriosa scomparsa. Per decenni i fisici hanno dato loro la caccia senza successo. Fino a che, circa un mese fa, eccoli emergere per una fugace comparsa in un laboratorio di Princeton. Insomma, pare che esistano, o almeno che si possano creare. Ma certo non abbondano. E forse è una fortuna, perché proprio i fermioni di Majorana sono l’ingrediente necessario per realizzare i cosiddetti “simulatori universali”: computer quantistici così potenti da destare preoccupazione.
A postulare la necessità dei fermioni di Majorana per questo genere di applicazioni è uno studio, pubblicato su Physical Review X, coordinato da un ricercatore della SISSA di Trieste, Fabio Franchini. Ed è lo stesso Franchini a spiegare, ai microfoni di Media INAF, perché è auspicabile che sia ancora lontano il giorno in cui potremo uscire da un centro commerciale con un “64 qubit” sottobraccio. «La presenza di un computer quantistico creerebbe enormi problemi alla nostra società, almeno nella fase intermedia. Il problema è che, se avessi un computer quantistico utilizzabile, potrei entrare nelle casseforti elettroniche di qualunque banca o governo. Questo è il motivo per cui molti governi investono tanto nella sua realizzazione, ma la speranza è che non riescano mai a ottenere una macchina abbastanza potente, almeno non prima che la nostra società sia riuscita a evolversi a sufficienza da non soffrirne», si augura Franchini.
Chissà come se la riderebbe Ettore Majorana a sapere che proprio l’esistenza delle sue particelle – esistenza della quale per decenni s’è a dir poco dubitato, e ancora oggi ha più d’un punto interrogativo da scrollarsi di dosso – è ora la chiave di volta per mettere insieme questi supercalcolatori di potenza terrificante. Ma qual è la caratteristica che le rende così insostituibili? Perché non si può costruire un computer quantistico senza di loro? «Perché un fermione di Majorana, se si riesce a crearlo, risulta molto stabile. Uno dei problemi nella realizzazione dei computer quantistici», sottolinea Franchini, «è proprio che la meccanica quantistica, quando la si manipola, risulta abbastanza fragile. Ebbene, quello che abbiamo visto è che una certa proprietà di entanglement legata ai fermioni di Majorana rende speciali i materiali che li supportano, più adatti a sostenere una simulazione quantistica».
E se vi state domandando in cosa possa mai consistere una simulazione quantistica, pensate alla meccanica classica, quella con la quale abbiamo a che fare nella vita di tutti i giorni. Ecco, per vedere come evolve un sistema basato sulla meccanica classica – per immaginare come far approdare un robot su una cometa, per esempio, o per mettere a punto i dettagli di un’auto da Formula 1 – è sufficiente un “computer classico”, a patto di avere la memoria e la potenza richieste. Ma per la meccanica quantistica non è così, occorre un salto di qualità. «Simulare un sistema quantistico è esponenzialmente più difficile, al punto che Richard Feynman teorizzò che sarebbe necessario creare un simulatore quantistico: una sorta di computer pensato proprio per simulare la natura nella sua origine quantistica. Da allora si cerca di capire quali caratteristiche dovrebbe avere un sistema per simulare la natura in tutta la sua complessità, e non soltanto un aspetto», spiega Franchini riferendosi al cosiddetto simulatore universale. «Ciò che abbiamo dimostrato è che la presenza dei fermioni di Majorana è una caratteristica necessaria affinché un simulatore possa essere universale».
Per saperne di più:
- Ascolta l’intera intervista a Fabio Franchini
- Leggi su Physical Review X l’articolo “Local Convertibility and the Quantum Simulation of Edge States in Many-Body Systems”, di Fabio Franchini, Jian Cui, Luigi Amico, Heng Fan, Mile Gu, Vladimir Korepin, Leong Chuan Kwek e Vlatko Vedral
Fonte: Media INAF | Scritto da Marco Malaspina