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Nigeria: Boko Haram, le violenze “religiose” e la comunità internazionale

Creato il 23 marzo 2014 da Stivalepensante @StivalePensante

“L’educazione occidentale è peccato.” E’ questo il significato di Boko Haram, il gruppo religioso presente nel nord della Nigeria che, ormai dal 2009, imperversa in questo stato africano, rendendolo uno dei teatri più cruenti dei conflitti mondiali.

(menyanibi.com)

(menyanibi.com)

L’intento del gruppo “Boko Haram” non è quello di portare la pace, anzi puntano alla distruzione della Nigeria, alla caduta del governo e all’imposizione della sharīʿa in tutto il paese. E’ dal lontano luglio 2009 che il movimento di ispirazione islamica fondamentalista crea disordini con una serie di conflitti violenti nel nord del Paese. In quell’occasione muoiono ben 700 persone nel nord-est della Nigeria, tra le città di Bauchi, Maiduguri, Potiskum e Wudil. Prima dei tre giorni di disordini molti esponenti del mondo islamico nigeriano e un funzionario dell’esercito, avvertono le autorità nigeriane del pericolo rappresentato da Boko Haram, ma gli avvertimenti rimangono ignorati fino all’esplosione degli eventi di luglio. Da ciò si evince quanto la politica aveva sottovalutato la potenza di “Boko Haram”.

Dal 2009 le violenze con stragi di innocenti non hanno freno e continuano ad imperversare nelle regioni del Nord. I massacri sono quotidiani, e non hanno colore religioso: vengono uccisi sia mussulmani, sia cristiani. Sono decine di migliaia le persone costrette ad abbandonare le proprie case varcando le frontiere al confine con il Camerun per cercare salvezza. “La metà di questi profughi – dichiarano le Nazioni Unite – sono bambini.”

Il governo nigeriano non riesce ad arginare queste violenze senza precedenti da parte di “Boko Haram”. Nel maggio del 2013 l’assemblea nazionale della Nigeria aveva dichiarato, in tre stati del nord-est, lo stato di emergenza, non riuscendo a sedare in nessun modo i conflitti. Proprio per questa ragione, tramite una richiesta del presidente, l’assemblea aveva esteso, nel novembre dello stesso anno, di altri sei mesi lo stato di emergenza.

Oltre che attaccare le chiese ed i cristiani, “Boho Haram” si è scagliata in questi anni anche contro tutti quei mussulmani che non seguono in maniera rispettosa la sharīʿa. Il problema, però, è che in certe città settentrionali i gruppi criminali hanno completamente preso il controllo delle città, togliendo allo stato nigeriano quella sovranità territoriale giuridica.

La nascita di “Boko Haram”. Il gruppo viene fondato da Ustaz Mohammed Yusuf nel 2002 nella città di Maiduguri con l’idea di instaurare la shari’a nel Borno con l’ex governatore Ali Modu Sheriff. Yusuf , così, fonda un complesso religioso che comprende una moschea ed una scuola, dove le famiglie povere della Nigeria e degli stati vicini hanno la possibilità di iscrivere i propri figli. Il centro si dà altri obiettivi politici e presto lavora per reclutare i futuri jihadisti per combattere lo Stato federale. Il gruppo include membri provenienti dai confinanti Ciad e Niger, e parla solamente arabo. Nel 2004 il complesso sposta la propria sede nel villaggio di Kanamma, vicino il confine col Niger. Eric Guttschuss (Human Rights Watch) racconta ad IRIN News che Yusuf attirava con successo seguaci tra i giovani disoccupati “parlando male della polizia e della corruzione politica”. Abdulkarim Mohammed, studioso di Boko Haram, ha aggiunto che le insurrezioni violente in Nigeria sono dovute “alla frustrazione per la corruzione e al malessere sociale sulla povertà e la disoccupazione.

La comunità internazionale, in questo quadro storico-sociale, non si è espressa in alcun modo. Solo gli Stati Uniti, nel 2013, hanno inserito “Boko Haram” nella lista delle organizzazioni terroristiche. Questo “silenzio” da parte degli organi internazionali e degli stati esteri potrebbe avere una matrice economica. La Nigeria, infatti, è ritenuta da tutti una grande potenza politica, ma soprattutto, economica: ricca di petrolio e con un fortissimo settore bancario è un alleato chiave sia per gli Stati Uniti che per la Cina.

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