Nancy trova illusorio rifugio nell’armadio. L’occhio terrorizzato spia dalla fessura, in attesa che l’uomo nero faccia la prima e potenzialmente letale mossa. « Buh!». Il mostro appare. Minaccioso e seriale come sempre.
E’ tutto ciò che resta dell’archetipo fiabesco riconducibile all’originale “craveniano”. Il remake di Nightmare dal profondo della notte (1984) è (e verrebbe da dire purtroppo) figlio produttivo dei nostri tempi. Privato a tavolino della magia infantile che solo le fiabe, nere e non, possiedono, Nightmare eleva a potenza la suggerita sottotraccia del prototipo: unica strada al momento percorribile se si è intenzionati a mettere in lavorazione un horror capace di incontrare consenso di pubblico e il minimo sindacale di considerazione critica. «», sapendo di avere le spalle ben protette dal vigile produttore Michael Bay. La strategia è la medesima adottata dalla Platinum Dunes per i precedenti Non aprite quella porta (2003) o Venerdì 13 (2009): battere la pista relativa alle origini dell’incubo e accentuare la messa in scena violenta. Del Freddy Krueger che ricordavamo è rimasto appena il guanto artigliato e il maglione a strisce orizzontali rosse e verdi. Il mostro, quello vero, è la pedofilia. Non più il babau che uccide nel sonno. La prevedibile scorciatoia ideologica è, al tempo stesso, unico pregio originale e principale difetto di un’operazione che, involontariamente, telefona l’uscita di Freddy dall’universo dei sogni per essere giustiziato nel mondo reale. Quello al quale ormai appartiene, in quanto palese e volontario autore di mostruosità contro innocenti creature. L’incantesimo allestito da Wes Craven a metà anni ’80 si spezza una volta varcata la soglia del nuovo millennio.
Gli interpreti non possiedono più il candore adolescenziale di una volta e, tranne per il travestimento emo indossato da Kyle Gallner, le vittime, più che liceali, assomigliano a quasi trentenni mascherati da studenti: Nancy, pardon Rooney Mara, compresa. Salva il salvabile il Rorschach di Watchmen (2008) Jackie Earle Haley, eccellente intuizione di casting, perfettamente a suo agio nei panni invertiti (nell’accezione deviata del termine) di ciò che una volta era rielaborazione per immagini delle paure ancestrali. Qualche battuta ad hoc («Dio!» – «No, solo io») e nulla più. Il resto è affidato alla regia comandata a distanza da Michael Bay e firmata dal video maker di sicuro affidamento artigianale Samuel Bayer, certamente competente quando si vede costretto a spingere sul pedale onirico, ma altrettanto incapace di allestire clip significative: slegate, come necessarie in quanto esclusivo omaggio digitalmente riveduto e corretto.
Questo Nightmare non fa paura, ma solo moralmente ribrezzo. O forse siamo noi che ci sbagliamo, semplicemente perché stiamo invecchiando.
Luca Lombardini