di Elena Fuksas
con Diane Fleri, Luca Marinelli, Ernesto Mathieux
Italia 2012
genere: drammatico
durata,80'
Ognuno di noi è il frutto dell'esperienza che si porta dietro, un
concentrato d'emozioni, immagini e conoscenza riprodotte più o meno
consapevolmente in ogni momento della vita. Una matrice autobiografica
che è tanto più evidente, quanto più ha la possibilità di esprimersi al
di fuori del sé, diventando la forma di ciò che abbiamo dentro. Un
percorso d'oggettivazione individuale che la creazione artistica
favorisce, e che trova nella natura spuria del cinema, contenitore e
crogiolo di tutte le possibilità, lo specchio più adatto a contenere la
complessa moltitudine del nostro animo. Una consapevolezza che
sicuramente appartiene ad Elisa Fuksas, e quindi a "Nina", il suo film
d'esordio. A testimoniarlo non c'è solo la presenza della giovane
protagonista, impegnata a trovare se stessa in una Roma assolata ed
afosa, e neppure la constatazione di un'attenzione allo spazio urbano -
del quartiere Eur dove il film è ambientato - che le appartiene
geneticamente, essendo la figlia di uno dei più grandi architetti
italiani - ma piuttosto la costruzione di una vicenda che solo
apparentemente si sviluppa all'interno delle strutture narrative
classiche, con un inizio ed una fine a certificare il completamento di
un iter psicologico e materiale (alla fine del film Nina non sarà più
quella di prima, ed insieme a lei neanche le persone che ha incontrato
nel corso degli eventi) e che invece si affida ad un mosaico di immagini
e di circostanze che appartengono ad una dimensione da "settimana
enigmistica" - che il film riproduce nel meccanismo della parola da
indovinare attraverso le lettere dell'alfabeto che Nina trascrive
durante le sedute con un sedicente professore di lingua cinese, il paese
dove la ragazza vuole trasferirsi alla fine dell'estate - ed ancora ad
un rebus vivente, con i personaggi disposti nello spazio
scenico, ognuno dei quali a rappresentare non tanto un tipo umano ma il
puzzle di una condizione esistenziale ricavabile dalla somma delle
singole componenti. Ecco allora la scena del concerto musicale, con gli
spettatori seduti sulle scalinate di marmo, con una disposizione che
sembra coglierli in una sospensione da quadro di Magritte, e secondo una
collocazione che lascia intuire una casualità ricercata e che forse è
il segno di un linguaggio sconosciuto; oppure del podista che Nina
incrocia durante le sue passeggiate, a suggerire il mistero sfuggente di
una realtà indifferente alle domande che la ragazza le pone rispetto
alla propria crisi esistenziale ed amorosa. Ed ancora la cifra
metaforica degli altri personaggi: di Fabrizio, il musicista di cui
forse Nina s'innamora, e di Ettore, il ragazzino che di tanto in tanto
la affianca nei suo pellegrinaggi per le vie del quartiere. Persone con
un gradiente di realtà che trascolora il più delle volte nella misura di
una mancanza attribuibile all'amore che Nina non riesce più a sentire, o
forse stenta a riconoscere per paura di non esserne all'altezza. Elena Fuksas descrive una frammentazione dell'io - "prima di un grande inizio deve esserci caos" afferma la protagonista in una delle scene iniziali - con uno stile ellittico e frammentario, in cui ad essere in campo è una condizione di solitudine e di incomunicabilità che potrebbe assomigliare al "deserto" emotivo celebrato da un maestro come Michelangelo Antonioni, se non fosse che il tono surreale e stranulato dei tipi umani, a cui bisogna aggiungere Omero, il cane da pastore la cui presenza permette a Nina di rimanere in contatto con la realtà, e la stravaganza di molte sequenze - su tutte quelle girate all'interno dello studio del professore tuttologo interpretato da Ernesto Mathieux - avvicinano il film della regista ad un modello cinematografico altrettanto ambizioso come quello di Peter Greenaway. Dal regista inglese, citato espressamente nelle ripetute sequenze del maratoneta in cui Nina quotidianamente s'imbatte ("Giochi nell'acqua" 1998), la Fuksas preleva una composizione dell'inquadratura dominata da simmetrie lineari, e dalla costante ricerca di equilibrio tra figure umane e paesaggio architettonico, realizzato con prospettive frontali, espressione di un esistenza indecifrabile, oppure laterali, con l'esasperata profondità di campo ad indicare significati sfuggenti e misteriosi. Se i protagonisti di "Nina" sono degli alieni esistenziali, il quartiere romano ricreato dalla Fucksas è un'astronave spaziale popolata da immagini che rimandano costantemente alle gabbie mentali dei suoi argonauti, con la protagonista sovente inquadrata attraverso i vetri di un acquario che sembra contenerla, oppure per riflesso, nelle condizioni di cattività degli uccellini del negozio d'animali che Nina libera dalle gabbie in una sequenza ad alto tasso di catarsi. Una personalità di sguardo, quello della Fuksas, a cui fa difetto una certa inconsistenza, contrassegnata da una scrittura senza respiro, attenta al dettaglio ma non al quadro d'insieme, e con un passo narrativo composto da una serie di parti che faticano a diventare storia ed assomigliano ad aneddoti. Diane Fleri, bravissima nella parte di Nina, meriterebbe invece maggiori chance.
(pubblicata su ondacinema.it)




