Magazine Diario personale

Ninuccia e le scarpe degli Angeli (terza ed ultima parte dell’ottavo cap.)

Da Gattolona1964

Nonostante non si fermasse, per la fretta che aveva di arrivare alla porta della Chiesa, continuò a camminare con la testa girata all’indietro e gli occhi incollati al cratere formatosi al posto del tetto. Cinque gatti imbestialiti e miagolanti correvano all’impazzata, azzuffandosi per entrare ed avere una dimora nella quale essere riparati dal freddo. Proprio come lei, che avrebbe fatto ricorso al suo danaro pur di avere un posto caldo e coperte avvolgenti morbide e di cachemire per ripararsi da questo gelo innaturale. Facevano paura quei gatti randagi, emettevano il miagolio di un essere umano che stava per essere sbranato,chissà perché! ma quel paragone le nasceva spontaneo. Ninuccia andava ripetendosi che non poteva essere quello lo stabile, non era possibile che quell’ammasso pauroso di ferro e legno marcio fosse ciò che rimaneva della fabbrica. Quel mostro in rovina, non doveva trovarsi lì nel mezzo di un prato innevato, le cose non le tornavano. Attorno alla fabbrica in quei tempi c’erano diverse case, tra le quali la sua. In quella radura ghiacciata colorata di bianco, case o altre abitazioni non ce n’erano, lei vedeva solo qualche resto di quelle che un tempo forse, erano case. Ora non vi era nemmeno l’ombra di qualche essere umano che potesse abitarvi. Non si scorgevano tetti, porte o finestre ma solo una quantità enorme di sassi lunga diverse centinaia di metri, che ad un certo punto si snodava in una croce. Questa forma a croce, incuteva rispetto e terrore, il simbolo sacro faceva pensare a quanto dolore potesse essere passato da quelle parti. Nonostante tutta le neve scesa, la croce era ben visibile e secondo Ninuccia era stata messa apposta affinché nessuno dimenticasse. Finalmente dopo un tempo infinito, toccò con le mani una parete in sasso della Chiesa e si accorse che erano ridotte anch’esse a due lastre di ghiaccio. Tirò la campana per annunciarsi e solo dopo parecchi minuti, una voce sgraziata chiese da una finestra semi chiusa “Chi è quel disgraziato che bussa a quest’ora del mattino?” “Sono un donna, mi chiamo Dora e sto per sentirmi male, se potesse aprirmi la porta in velocità, gliene sarei grata per tutta la vita” Non fece in tempo a dire altro. Don Pasquale alla sola parola “donna” si incupì subito, ma il suo ruolo di aiutante e pastore delle anime, gli impose di scendere in fretta per vedere chi si era accasciato alla sua porta. Correndo giù per le scale, inciampò con la sua lunga veste nera nella ringhiera, si lacerò la parte posteriore dell’abito talare e stava per dire una parolaccia, ma la ricacciò in gola e finalmente aprì quel sinistro portone. Si chinò a raccogliere la povera donna, bianca come un lenzuolo e candida come i suoi capelli, che si intravedevano dal colbacco di lana. Era svenuta, il parroco aveva tra le braccia un cencio inerme. La portò dentro in Canonica, la adagiò su di un letto cercando di asciugarla vicino al fuoco del caminetto acceso. Le strofinò in modo energico mani e piedi, le aprì il cappotto e le diede anche qualche ceffone sulle gote cerulee per farle riprendere conoscenza. Cercò di spogliarla in fretta e furia, togliendole senza grazia alcuna tutti quegli strati di indumenti bagnati e sporchi: cappotto, sciarpa, colbacco, le scarpe di tela oramai ridotte a brandelli. E poi i guanti e le quattro paia di calze che si erano incollate l’una sopra all’altra. Sotto di esse, osservò un paio di piedi ben curati e con lo smalto ma violacei. La coprì con un plaid sporco di cenere, le mise a scaldare anche la valigia di cartone, che era ridotta ad un ammasso di carta bagnata. Fu attento nel non mettere la valigia troppo vicina al caminetto, altrimenti avrebbe preso fuoco e con essa i pochi abiti che vi erano riposti. Soprattutto sarebbero bruciati i documenti vitali per Ninuccia, il danaro rimasto e le sue medicine. Mentre la stava frizionando vigorosamente, si tolse da una delle tasche interne della veste nera, una boccetta di liquore e gliene versò un’abbondante sorso tra le labbra, per farla rinvenire ed evitare il congelamento dei denti. Era un antico metodo che aveva appreso, quando durante la seconda guerra mondiale, rischiò il congelamento e di conseguenza la morte, al fronte greco-albanese dove vi erano meno venticinque gradi. Ninuccia sentendo in bocca un sapore amarognolo come di medicina, non realizzava che cosa fosse. Era in ancora in piena crisi vagale, intervallata da attimi di ripresa. Non comprendeva perché qualcuno le stava versando un liquido a viva forza in mezzo ai denti e lo sputò d’impeto, addosso allo strano figuro vestito di nero. Aprì gli occhi con enorme sforzo e fatica, tutto le girava.Volle alzarsi troppo rapidamente, ma  ricascò sul letto come un sacco di patate.“Faccia piano per Dio, altrimenti sviene di nuovo!”.
Sbraitò l’uomo noncurante della donna e della situazione, guardando l’abito talare bagnato di cognac. Mi dice che cosa ci faceva a quest’ora, in questa mattina del sedici gennaio con una temperatura da lupi o se vogliamo da ladri? Mi dica un po’, chi è lei dei due? Una lupa o una ladra?” “Ma per l’amor del cielo!” rispose lei con una flebile voce che appena si udiva, “Nessuna delle due. Sono stata mandata qua da Martino, il barista del paese, mi ha detto che lei abbisognava di una collaboratrice domestica a tempo indeterminato, o sbaglio?” Parlava lentamente, voleva rialzarsi dal letto e notò che lui le aveva messo addosso una coperta di lana, si guardò intorno e vide la sua valigia che stava asciugando al caldo del camino, gli abiti bagnati erano appoggiati su una sedia di paglia e lei vestita con un maglione, ed un paio di pantaloni di flanella maschili. “E’ tutto sotto controllo, stai tranquilla Ninni, ora sei al sicuro ed al caldo”disse sottovoce Ninuccia, nulla era fuori posto e non c’era più pericolo per ora. Il prete la teneva in osservazione con occhio clinico, osservò che stava riprendendo un poco di colore, quindi si scostò da lei e si sedette sul bordo del letto, per fare un minimo di conoscenza con quella donna svenuta davanti a casa sua, in quella mattina da lupi o da ladri. “Sì insomma, così le hanno riferito che io cercherei una perpetua o qualcosa del genere,un aiuto domestico femminile, una governante ecco, che così facciamo prima nel definirla: ma lei che cosa c’entra con tale incarico?” Don Pasquale Alessi, così si chiamava il Parroco la squadrò centimetro per centimetro e dopo un’osservazione che pareva non avere più termine, concluse la sua indagine visiva dicendole:”Quando si sarà ripresa del tutto e riscaldata per bene, potremo discorrere di ogni cosa, le dirò per filo e per segno che cosa pretendo. Poi le farò vedere dove dormirà, le comunicherò gli orari che dovrà rispettare e cosa essenziale per me: niente uomini che svolazzano intorno alla Chiesa come mosconi. Sono stato chiaro?” Ninuccia fece segno di sì con la testa e si riaddormentò.
(fine dell’ottavo capitolo)



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