Ottavo capitolo: Una nuova identità.
Seppure stanca e provata dopo quell’avventuroso e lunghissimo viaggio, il suo passo era ancora svelto e scattante. Si ritrovò ben presto in Contrada Santa Annunciata, se ne rese conto nell’udire un rintocco di campane in lontananza. Se la memoria non la tradiva, dovevano essere quelle della Parrocchia di San Paolo, ma non ne era certissima. Aveva letto da qualche parte che la Parrocchia, l’annessa canonica, le abitazioni dei mezzadri, ed i terreni circostanti, erano divenuti proprietà degli Eredi Mieli Luppi e non veniva più utilizzata, per dire la Santa Messa. A Bologna, nei ritagli di tempo Ninuccia cercava di tenersi sempre aggiornata sulle notizie che riguardavano Castrolibero. Non era mai riuscita a dimenticare il suo Paese, nonostante tutto il male che le aveva procurato. Le campane, con il loro disarmonico suono, funzionavano ancora, anche se con il battacchio rotto oramai da decenni. Sentì e contò nove rintocchi e pensò che alle nove di mattina, di solito lei era già in piedi da almeno un paio d’ore. Mentre camminava, riguardava con attenzione il paesaggio che le si prospettava davanti, cercava con uno sforzo sovrumano di ricordare se tutto quanto era ancora al proprio posto, o se negli anni, qualcosa era cambiato in quel Paese. Ogni tratto delle stradine ghiacciate sembrava le parlasse ”Guarda che sei tu che te ne sei scappata, sei tu che ci hai rinnegato e sei profondamente cambiata. Noi ci siamo siamo ancora tutti e ti aspettavamo da molto tempo, dolce Ninuccia” I visi che passavano in tutta fretta, ogni colore che intravedeva nel grigio e bianco di quella giornata invernale, ogni sasso messo lì sulla sua strada le parlava e le domande che le venivano rivolte, non avevano ancora una risposta. La sua più grande preoccupazione era quella di non venire riconosciuta da anima viva, nessuno doveva sapere che era ritornata per cercare Beniamino, in modo tale che se qualcuno aveva qualcosa da dirle per errore o per la voglia di chiacchierare del passato, lei lo avrebbe captato subito. Doveva ascoltare ogni parola attentamente, raccogliere il maggior numero di informazioni possibile, prendere in considerazione chiunque le pronunciasse e valutarne la veridicità. Il suo compito era anche quello di memorizzare ogni particolare che riguardasse la sua infanzia e le nefandezze che Don Raffaele Quadri compiva non solo all’interno della Fabbrica, ma anche all’interno delle tenere cosce di qualche sua lavorante. Lo stupro da lei subito, era stato occultato e mascherato a dovere da Angelica, aiutata a sua volta da Rosina, che si premunirono di mandare via dal paese Ninuccia, quando la pancia iniziava a divenire molto evidente. Avevano sparso la voce che Ninuccia era dovuta andare a Reggio Calabria da una zia, per evitare di ammalarsi ancora durante l’inverno, prendendo l’ennesima broncopolmonite. In Paese, nessuno secondo i suoi calcoli ed i suoi ricordi si era accorto della gravidanza. Angelica si era premunita di diffondere la voce che un residuo di asiacella l’aveva deformata, per giustificare le sue prime rotondità.
Pagò profumatamente le malelingue più insistenti, con l’indennizzo ricevuto da Mastro Raffaele per il gravissimo torto subito. E se qualcuno avesse avuto il benché minimo sospetto di una possibile gravidanza di Ninuccia, ci pensava la dolce Angelica a far zittire le petulanti bocche. All’insaputa del marito Biagio che a parer suo, era meno importante di una suglia, faceva zittire con modi non proprio ortodossi, coloro che osavano anche solo menzionare la parola gravidanza. Dove non arrivava lei con i soldi e a volte con il suo corpo, arrivava Mastro Raffaele con il suo potere. Passarono così gli anni e quel mistero tanto ambiguo quanto inconsueto, cadde per così dire in prescrizione. Man mano che Ninuccia cresceva e dimagriva a vista d’occhio, non se ne riparlo più. Di bambini in casa Ercolani, al numero otto di Via dei Tigli nemmeno l’ombra, di conseguenza ogni dubbio o sospetto erano svaniti come una bolla di sapone. Ninuccia doveva cercare di ricomporre un mosaico lungo quarantasei anni, doveva trasformarsi in una perfetta ed abile investigatrice, forse uno dei pochi mestieri che non aveva ancora svolto in vita sua. Rosina non era certa al cento per cento che ce l’avrebbe fatta, ma dal momento che la decisione era stata presa, confidava che vi riuscisse. Non osava però pensare come se ci sarebbe riuscita, ma soprattutto se avesse raggiunto lo scopo. Rosina sapeva ed era convinta che Beniamino fosse morto, questo non glielo toglieva dalla testa nessuno: lo aveva visto con i suoi occhi e aveva visto la lama del coltellaccio, o almeno così credeva. Se il bambino si fosse salvato miracolosamente dalle mani dell’assassina, in modo a questo punto inspiegabile, poteva stare certe che sua madre lo avrebbe trovato. Ma Rosina scuoteva la testa e abbassava lo sguardo:”Il bambino è morto, non c’è più, come te lo devo dire per Dio? Per me è uno strazio ogni volta che sono costretta a ricordartelo”. Non si trattava di vendere migliaia di libri, o di acquistare una Banca: qua era in gioco la carne della sua carne, che ancora gridava vendetta, per quello che era stato fatto ad entrambi. Si trattava di un figlio strappato alla madre, ucciso da una nonna psicotica ed infanticida, si parlava di una madre alla quale veniva tolto nel modo più brutale che esista il bene che ha appena dato al mondo. Dora Scalzi, questa era l’identità che voleva assumere. Per prima cosa si era prefissata di trovare una dimora non lussuosa, quindi niente alberghi, o Hotel a quattro stelle, dove senz’altro l’avrebbero riconosciuta, ma “Una cuccia confortevole e calda devi trovarti” le aveva raccomandato Rosina.
Decise di chiedere aiuto al Parroco di Castrolibero, ma di quale Parrocchia? Si ricordava della chiesetta di Santa Liberata, dove c’era un tempo Don Gaudenzio Alessi, decise che quella per il nome che aveva, andava benone e sarebbe stata di buon auspicio. “Prima devo assolutamente telefonare a Rosina per sapere come sta, ora cerco un bar e le telefono, dato che il cellulare me l’ha buttato via quel.. . Già, nella sua mente circolava ancora quell’uomo con la barba che fissava il pavimento e che sperava con tutto il cuore di non rivedere più per un bel pezzo a venire
Con la bocca diceva queste parole, ma il suo cuore pensava tutt’altro, si chiedeva come mai non l’aveva ancora incontrato e sperava che da un minuto all’altro potesse riapparire, almeno per chiederle come stava e se aveva freddo ai piedi. Ma di Gaudenzio ancora nulla, nemmeno un filo di barba si intravedeva. Non avrebbe chiesto a nessuno se lo conoscevano oppure dove poterlo trovare. Mise i piedi dentro al primo bar che incontrò sul suo cammino, l’insegna diceva”Bar degli amici”,entrò sorridente e chiese di poter telefonare. Acquistò cinque schede telefoniche da dieci euro l’una, usando una parte del resto che Mafaldo le aveva dato sulla corriera, resto che aveva conservato nascondendolo nel doppio fondo della valigia. Questo doppiofondo si era rivelato ancor’ oggi utile, glielo aveva cucito Rosa diversi anni prima. Era di stoffa a quadretti blu e bianchi, sembrava una tovaglia da picnic, però fungeva perfettamente da ripostiglio segreto. Vi era anche la sua carta d’identità falsa, procurata da Aristide con l’aiuto di alcuni suoi fidati amici. Riposte per bene vi erano anche le medicine per gli attacchi di panico, una fotografia di lei e di Rosina piccoline, ed alcuni altri documenti che in caso di guaio serio, avrebbero provato che lei era la dottoressa Ninuccia Ercolani Sangalli e non Dora Scalzi. Scalzi Dora, così diceva la sua carta d’identità, residente a Modena, nata il quattordici ottobre millenovecentocinquanta, professione: dirigente, stato civile:vedova. Almeno questo era stato progettato e deciso con lucidità da Rosina e dal fedele Aristide, che pur di accontentare Ninuccia si sarebbe fatto tagliare una mano. Prese il ricevitore del telefono e compose il numero di casa. Fortunatamente Rosina disse”Pronto, Palazzo Ercolani, chi parla?” Con un sorriso che le avvolgeva il viso, Ninuccia quasi urlò dentro al telefono:”Sono io, sono arrivata circa un paio d’ore fa, il viaggio è andato bene. Tu come stai? Che cosa ti ha fatto esattamente quella screanzata di Greta? Come sta Celeste, ma come stai tu, mia adorata sorella?”. “Ehi piano con le domande a raffica! Risponderò a tutto, ma vai adagio nel comporre le parole altrimenti ti verrà uno dei tuoi attacchi, ed io non sono lì con te a farti respirare nel modo che conosciamo.” disse Rosina cercando di dare un contegno alla voce già rotta dal pianto e dall’emozione di sentire la sua Ninni. “Non sto malissimo, ma ciò non vuol dire che io stia benone, le lastre hanno evidenziato la rottura scomposta della caviglia, del crociato ed anche la parte superiore del menisco. Ne avrò per almeno sei mesi con il gesso, poi ci sarà un intervento chirurgico e poi dovrò… insomma poi sono nelle mani del Signore, per fartela breve!”. Passando a parlare di persone sgradevoli, Greta sta eseguendo degli accertamenti in Clinica per capire la sua nausea ed il suo nervosismo da dove le derivino. Sia lei che Celeste non sono partite per Saint Moritz alla fine, ogni giorno sono alla Clinica per un esame diverso e Celeste l’accompagna sempre. Ergo, se non sono rimbecillita del tutto, mi ha fatto cadere per niente quella… quella, non oso definirla! I tuoi completi da sci non era destino che li avessero loro! Comunque tutto sommato stanno bene, noi ce la caveremo anche senza di te, anzi! Ce la caveremo egregiamente! Temiamo, ma tu questo lo sai benissimo e lo hai dovuto mettere in preventivo, che la tua delusione sarà immensa, quando avrai la certezza che lui è morto. Non esiste, non è mai esistito se non per brevissimi istanti, tu lo hai potuto vedere solo per un attimo, anche se il suo volto è stampato nella tua memoria. Hai deciso di partire da sola per cercarlo, dopo quasi trent’anni. Hai voluto lasciarti tutto alle spalle e lo vuoi adesso a tutti i costi, piantando in asso chi ti ama veramente, così quasi per una rivalsa, quasi per dimostrare a te stessa che potevi essere anche per lui una buona madre? Dovevi pensarci prima cara mia, non puoi più permetterti di giocare con la vita degli altri, me compresa, per cercare una persona che tu non conosci e che non puoi amare, visto che i tuoi occhi si sono posati sul suo corpicino per pochi minuti. Non te lo permetto Ninuccia! “Tu vieni a dire a me, ora a questo punto che cosa è giusto e che cosa non lo è? Sono io che non te lo permetto, visto che quel mattino non l’hai uccisa con una mazzata in testa, tu non le hai affondato la tenaglia di mio padre nel cervello, mentre io urlavo di dolore come una pazza!” “Ma ti rendi conto di quello che dici? Eravamo piccole, impaurite, in mezzo a quel lago di langue, lei invece era un mostro di tre taglie più grande di noi due messe assieme! Era pure sbronza quel mattino, piena di forza e di odio, non l’avremmo mai battuta, nemmeno se tu fossi stata libera ed in piedi, anche se sanguinante.” Non si lasciavano parlare a vicenda, erano ancora troppo arrabbiate con il destino, ma si amavano profondamente come due sorelle e nessuna delle due, voleva avere la responsabilità del dolore dell’altra e così finivano spesso per bisticciare. “Ti chiedo la cortesia di lasciarmi finire di parlare, ti sottolineo che dovevi pensarci prima se compiere o no, questo folle ed insensato gesto! Decenni fa per la precisione, invece di correre da un lato all’altro del mondo, per accumulare tesori e uomini inutili! Che cos’è questa improvvisa voglia di maternità? Non ti bastano le tue figlie? Non hai un esercito di amici tuoi e miei, che non voglio chiamare subalterni, ma uso appositamente la parola amici! Perché mi fai e ti fai questo? Ora starai doppiamente male, la tua salute non è più quella di un tempo, e tu…tu sei partita da sola. Si beh, sei andata via senza di me ed io mi trovo qua senza la tua ingombrante ma necessaria presenza, ed è la prima volta che accade! Ecco sono riuscita a dirlo, accidenti a te! Non lo troverai mai purtroppo, te l’abbiamo detto io e Aristide in tutte le lingue del mondo, te lo hanno ripetuto fior di detective a suon di cifre folli spese per sentirti dire che di lui non c’è nemmeno una piccola lapide in sasso crepato sulla quale piangere. Non esiste segno di lui, non abbiamo un solo piccolo maledettissimo indizio, di qualcuno che ha visto o sentito qualcosa. Niente di niente, a conti fatti tu non lo hai nemmeno partorito, nessuno ti vide con la pancia, lei ed io non parlammo ad anima viva della tua gravidanza, e abbiamo fatto tacere chi aveva anche solo un dubbio. Ma se esistesse qualche dannata anima che sa, di certo non parlerà mai! Dovessero tagliargli la lingua e amputargli i testicoli: non li conosci ancora i nostri ex compaesani?” Rosina sembrava un fiume in piena, usava un linguaggio che raramente Ninuccia le aveva udito usare, sembrava come impazzita e non riusciva a trattenere con diplomazia quello che la sua mente covava. Ora non taceva più e le vomitava tutto addosso senza trattenere nulla. Continuò imperterrita anche se il dolore alla gamba era lancinante:”Sei arrivata persino a consultare diverse sensitive, basta te ne prego! Non ce la faccio più! Torna indietro se non vuoi che stavolta il cuore ti si spezzi del tutto per sempre. Rosina dovette trattenere un singhiozzo improvviso, molto simile ad un pianto, bevette un sorso di camomilla e tentò di proseguire, prese tutto il fiato che le rimaneva in gola e le disse” Tu sei da sola in questo percorso, lo vuoi capire o no?”
(fine prima parte dell’ottavo capitolo) Buona lettura a tutti!