Magazine Diario personale

Ninuccia e le scarpe degli Angeli:III Cap:Ninuccia e Rosina.

Da Gattolona1964

Terzo Capitolo. Ninuccia e Rosina.sfilata abiti da sposa  cervarezza 2014 534Ninuccia ErcolaniGattolona Pasticciona
Quando avrebbe avuto la forza di lasciarlo? Quando avrebbe ripreso in mano la sua vita lontano da lui? E lontano da una madre psicotica, che le diceva sempre che era una buona a nulla e che non ce l’avrebbe di certo fatta da sola a crescere le sue figlie. Ninuccia sapeva non solo cucire e assemblare scarpe, ma Dio le aveva regalato anche il dono della scrittura. Ogni notte, da quando era bambina e quando le gemelle dormivano, Ninuccia scriveva i suoi appunti sui cartamodelli delle scarpe. Scriveva sulle strisce di cuoio che avanzavano, sui pannolini di cotone leggero delle bambine, che lavava e inamidava per farli sembrare fogli di quaderno. Ninuccia Ercolani scriveva ovunque ci fosse una superficie che potesse ospitare le sue parole. Erano gli unici momenti della giornata nei quali era serena e si sentiva una persona. I suoi scritti, terminavano sempre con la frase di rito”Affinché nessun bambino al mondo debba subire violenze, punizioni e ricatti.”Questa era la dedica finale dei suoi libri, questo era ciò che lei avrebbe desiderato insegnare, traendo spunto dalle sue personali esperienze di vita. Spiegava passo dopo passo, con lentezza e precisione maniacale, senza mai stancarsi come comportarsi con i figli, di conseguenza come i figli avrebbero dovuto comportarsi nei confronti dei genitori. Insegnava ai genitori a non essere violenti, a non forzare mai i figli nel loro cammino di crescita. Studiò ed attinse importanti notizie in merito a queste tecniche dolci, da alcuni libri che don Gaudenzio le aveva permesso di prendere in prestito, prelevandoli dalla biblioteca della canonica. Ogni bambino è diverso da un suo simile, occorre educarlo ed accudirlo con amore e dedizione totali. Tra i bimbi, o meglio tra quei genitori, sciocchi e presuntuosi, non devono esistere gare per esaltare quel bambino che arriva per primo a togliere il pannolone, a pronunciare le prime paroline o a camminare. Scriveva come solo una mamma innamorata dei propri figli saprebbe fare, accompagnando le parole con la struggente malinconia di chi aveva subito violenze inaudite: per questo motivo riusciva a catturare l’attenzione di numerosi lettori. Anche a costo di essere ripetitiva non si stancava di scrivere concetti che potevano apparire, agli occhi di chi la leggeva scontati o banali. Il suo vastissimo pubblico di lettori/genitori conoscendo lo stile inconfondibile di Ninuccia, comperavano ogni saggio o manuale che Ninuccia pubblicasse, dimostrandole grande rispetto ed ammirazione per ciò che riusciva a trasmettere loro. Questo per lei era il migliore di tutti i regali che poteva ricevere: la testimonianza tangibile che ciò che faceva era utile a qualcuno. Non vi erano soldi o beni materiali che potessero ripagarla allo stesso modo. Le sue tesi partivano da un presupposto ben preciso: i genitori e gli adulti che si occupano della crescita di un bambino, non devono mai e poi mai criticare e sgridare il piccolo, in modo diretto per un comportamento o azione sbagliata che egli compie. Devono correggere l’azione, il gesto, ma non redarguirlo in modo diretto, facendolo così sentire in colpa e peggio ancora, non devono mai umiliarlo! Ninuccia sosteneva anche che non è necessario ammonire il piccolo in presenza di altre persone. Le critiche e le osservazioni mosse al bambino devono essere fatte esclusivamente in modo costruttivo per farlo arrivare ad un miglioramento, non devono essere distruttive cioè non devono essere dirette a lui personalmente. Altro che fallimento come madre! Questo era il parere che le aveva inculcato Angelica e quello che era riuscita a far credere a suo padre Biagio, eterno sottomesso di Angelica. Ninuccia era tutt’altro che un disastro come madre, non aveva avuto ancora la possibilità di dimostrarlo. Ma lo avrebbe fatto presto, almeno attraverso i libri. Cercava di insegnare l’amore per i bambini, il rispetto e la dedizione completa rivolti ad ogni piccolo essere umano che noi decidiamo di far venire al mondo. Ora rimaneva il passo più importante da compiere: come fare per contattare a Roma o al Nord, in particolar modo a Bologna un editore serio ed affidabile, che le pubblicasse i libri? bartolozzi

 
Credeva fortemente che quella sarebbe stata la sua strada ed il suo futuro e che con i primi guadagni avrebbe potuto permettersi una vita assai diversa. Voleva andarsene da Castrolibero per sempre, non ne poteva più di quel posto dove ogni angolo del paese le ricordava l’orrore e la morte.“Per andarmene ho bisogno di soldi, molti soldi devo pubblicare i miei libri, solo così sarò indipendente ed avrò la forza economica per farmi rispettare e per crescere con dignità le mie figlie”. Solo così potrò rinascere agli occhi della gente e guardarmi allo specchio senza paura. In quell’istante preciso si ricordò di Mafaldo Tirotta, quello che martellava tutto il santo giorno sulle suole, quello che sapeva usare bene la tinagliozza. Era una vita che amava Ninuccia, fin da quando erano bambini. Per lei, Mafaldo si sarebbe buttato nel fuoco, si sarebbe fatto tagliare le gambe pur di piacerle anche solo un briciolo. Sapeva perfettamente che lui una volta al mese andava a Roma per portare i resoconti delle vendite e chiedere così i finanziamenti a certe persone, per poter fare andare avanti la fabbrica. Non bastava fermarsi a Cosenza in Regione, bisognava andare più su, da quelli che contavano veramente: gli amici fidati di Mastro Raffaele. In cambio di favori personali ed importanti, dei quali le tonache nere non potevano fare a meno per continuare ad esistere, erano disposti ad elargire danaro affinché la Fabbrica delle Scarpe potesse andare avanti, dare lavoro a tutto Castrolibero e non chiudere i battenti. “Mi servirò di lui e gli darò i miei plichi da portare all’Editore Sangalli, in cambio mi basterà andare a ballare per il Patrono del paese, facendomi vedere ben abbracciata a lui. Così non lo prenderanno più per i fondelli, smetteranno di chiamarlo “Mafaldo lo storpio” per via di quella gamba più corta. Farò proprio così. Di lui mi fido ciecamente, gli affiderò i miei tesori.”Rosina ovunque andasse non l’avrebbe mai abbandonata, si chiedeva però che cosa aspettava a divorziare.“Che cosa dirà la gente?” le chiedeva con disprezzo e schifo sua madre Angelica”Che figura ci farai, tu donna sola con due figlie e disonorata? Chi comprerà i tuoi libracci, se sarai sola con le tue bambine, tu che scribacchi fingendo di essere una buona madre? Con tutte quelle raccomandazioni ai genitori, agli insegnanti, ai preti, agli adulti ma chi ti credi di essere, Ninuccia indisponente? Tu che non dovevi nascere, tu che sei il mio errore per eccellenza, ti metti a predicare come fa don Gaudenzio in Chiesa la domenica e spieghi agli altri come fare il genitore, cioè il bravo genitore? Vergognati! Mi fai ribrezzo!” Queste parole ed altre ancora più crudeli, erano le carezze che sua madre Angelica le faceva con la voce, quando voleva farla desistere dal divorziare, anche se causa quell’ictus, le pronunciava male ed in modo sbiascicato. Questi erano i lavaggi del cervello ai quali era ancora sottoposta ogni giorno Ninuccia. Stava per rimettere ancora, le sembrava che il soffitto ed il lampadario le cadessero addosso, voleva tagliarsi le vene, strapparsi i capelli cortissimi, ma la voce piangente per il dolore che aveva la povera Rosina in quel momento, la fecero desistere da questi insani propositi. Mentre si lavava il viso con acqua fresca, badando bene di non fare troppo rumore, si diede un pizzicotto sul braccio provocandosi una piccola fuoriuscita di sangue.“Devo stare tranquilla e buona, non devo cedere proprio ora che sto partendo, ho il treno tra poche ore. Dio fa che non mi senta male, inizierei a gridare e le ragazze comprenderebbero che ho mentito, capirebbero che sono in casa e non mi lascerebbero più partire. Anzi!Forse proporrebbero al dottor Baroni di farmi ricoverare in Clinica, chissà forse anche di farmi mettere in un letto di contenzione come voleva fare lei, se poi vedessero che non ho più nemmeno i miei amati capelli lunghi, non so che cosa penserebbero, io , io, io ..”. Non riuscì a terminare il pensiero, mentre i suoi occhi si posarono sul sangue che ora usciva copioso dal braccio, aveva una pelle così delicata che anche un bacio un po’ troppo forte le avrebbe fatto venire un livido. Mentre cercava di tamponarlo con una lunga salvietta di lino, ricamata con le sue iniziali, le tornò alla mente un altro sangue, ben più copioso di questo, che nessuna salvietta poté fermare. Quel sangue che le sporcò il corpo e l’anima, facendola precipitare negli abissi dell’inferno, quel sangue che non andò mai più via dalle sue carni e dalla sua mente. “Non vorrai tenerlo con te? Non penserai che io ti permetta di crescerlo e farlo vedere a tutti, questo diavolo che hai nella pancia?” E’ il frutto della tua stupidità e di tutti gli uomini che sono porci per natura. Io ti aiuterò a farlo morire, ti ridarò la verginità, così non dovrai essere marchiata di vergogna di fronte agli occhi della gente per il resto dei tuoi anni a venire. Forse al paese riusciremo a trovare un brav’uomo che ti prenda in sposa, se giocherai bene le tue carte. Ti aiuterò a trovarlo, farò tutto io, tu mi dovrai solo ubbidire ed accettare: non provare a fare qualcosa di diverso da ciò che ti ordinerò! Questo per il tuo bene naturalmente e per la gente del paese!”. Mentre Ninuccia cercava di calmare la madre, il bambino scalpitava felice dentro al suo grembo e ad ogni calcio che le dava, lei gli faceva una carezza o gli cantava una delle canzoncine che aveva inventato quando chiedeva l’elemosina per la strada, in quelle gelide serate natalizie. Il bimbo in questo modo si fermava e si riaddormentava sereno e sorridente, diceva Ninuccia. “Mamma, ti supplico, fammelo tenere, non mi interessa se è stato il padrone, non lo racconterò mai a nessuno, te lo giuro sulla tomba di nonna Divina, lasciamelo tenere. Non ti ho mai chiesto nulla, nemmeno una bambola per giocare, mentre le altre bambine ne hanno almeno cinque. Lasciami il mio bambino, è mio non puoi togliermelo!
Lo crescerò da sola, poi non appena mi sentirò in forza verrò con te alla fabbrica e lavorerò anche dodici ore al giorno, non mi spaventa il lavoro, lasciami mio figlio!”.Povera Ninuccia! Quante lacrime aveva versato, ma non ci fu nulla da fare: l’errore non si sarebbe ripetuto, il bambino sarebbe stato ucciso non appena nato, questa era la sentenza di Angelica Rizzo. Questo era stato deciso e si sarebbe compiuto a breve, dato che oramai il termine dei nove mesi stava per scadere. Doveva solo trovare una levatrice che l’aiutasse a farlo nascere, “Ma no, troppo pericoloso!” si disse Angelica, “mi potrebbero denunciare e ricattare, non posso permettermi un simile errore”. Poi come una furia, si girò di scatto e disse”Ci aiuterà Rosina la serva, se parlerà le strapperò la lingua con la tinagliozza di tuo padre. Se non basterà gliela cucirò a mano con la suglia, così non parlerà mai più. “Non ce ne sarà bisogno padrona Angelica, ho troppo bisogno di mangiare e voi siete l’unica che mi aiuta in paese. Se mi fate del male, poi come farete a prendere le sovvenzioni che vi spettano dal Comune per aver preso un’orfana in affido? Non vi tradirò e non rivelerò mai nulla a nessuno di ciò che dobbiamo compiere”.
Le bambine si abbracciarono strette strette e si punsero con la lesina le dita, fondendo il loro sangue, in modo che la madre credesse che dicevano la verità: Ninuccia accettava e Rosina eseguiva.
Angelica fece un grosso respiro di sollievo, la vergogna sarebbe rimasta in casa, in via dei Tigli numero otto, la bambina sarebbe tornata vergine e il frutto del peccato, eliminato per sempre. Perfetto vero? Un piano veramente diabolico e preciso. Mentre era accucciata in un angolo del bagno come un cagnolino randagio, ebbe una scossa elettrica lungo tutto il corpo, che le servì per concentrarsi nel presente, oramai il passato se ne era andato via e con lui il suo adorato bambino. Vide che il sangue aveva cessato di scendere, la nausea le era passata, tutto era tornato al proprio posto. In quel momento preciso suonò il campanello, era certamente il medico che veniva a visitare Rosina. Tese meglio l’orecchio, infilandolo quasi nella toppa della serratura per udire le parole che le avrebbe detto. “Eh già Rosina, questa volta l’ha proprio fatta grossa! Credo si sia rotta e non solo slogata questa caviglia, ne avrà per almeno cinque o sei mesi, a quel che vedo e sento a prima vista”. Affermo Baroni, tastando la caviglia e la gamba della povera donna. Al solo toccare l’arto, il medico fece emettere a Rosina un altro urlo di dolore profondo. Ma non pianse, anche lei non riusciva di versare lacrima, “Robetta per donnicciole le lacrime, tutti sali minerali e magnesio che perdiamo per niente, di magnesio e potassio ne abbiamo bisogno dal menarca in poi. Perciò perché sprecarne?” Ma come ha fatto, signorina Giudici a cadere, non è mai e dico mai scivolata in tutta la sua vita, in questa casa che definirei una pista d’atterraggio per aerei! Lei si va a fare male proprio ora che c’è il ghiaccio ed un freddo polare fuori? “Scusi dottore, ma stamane che cosa ha bevuto per colazione? Latte rancido di capra per caso? Io non mi sono fatta male da sola, mica mi sono messa a pattinare nel corridoio! Sono state quelle..sciagurate!” Prontamente Aristide le venne in aiuto, cercando con il suo proverbiale self control, di mettere a tacere l’accaduto,dicendo “In effetti le nuove cere per il parquet sono un tantino troppo potenti e probabilmente io non le ho fatte diluire a sufficienza, tuttavia ora reputo sia perfettamente inutile perderci in chiacchiere sterili sul come e sul perché….“O sul chi” volle a tutti i costi puntualizzare Rosina, che chiese un bicchiere d’acqua gelata e domandò “Ma è proprio sicuro dottore che ne avrò per cinque o sei mesi almeno?”“Almeno cinque ho detto, temo che la rottura sia scomposta, a giudicare dal gonfiore ma saranno più precise le lastre che le faranno in ospedale”. Pronunciata l’amara sentenza medica, Greta e Celeste fingendosi molto dispiaciute,cercarono di alleviare i dolori di Rosa consolandola e addirittura arrivarono a darle dei bacetti sulle guance.“Andiamo noi Rosina a prepararti la valigia per l’ospedale?”Disse Greta “Dicci dove tieni la tua biancheria personale e noi te la prepariamo in un attimo, così quando arriva l’ambulanza sei pronta per andare in ospedale”.“A prescindere dal fatto che io non vado da quei macellai ortopedici dell’ospedale Sant’Antonio, ma vado nella Clinica privata di vostra madre, voi due non azzardatevi ad andare nella mia camera da letto a toccare i miei indumenti, li dovrei fare benedire poi! Aristide sii gentile, te ne prego, pensaci tu.” “Non temere Rosina. Vado immediatamente e voi signorine siate cortesi e andate in cucina a preparare un buon espresso per il Dottor Baroni, stamane fa veramente molto freddo!” “Lo accetto con molto piacere, poi preparato dalle vostre manine, care ragazze, chissà come diventerà buono! Se penso che vi ho fatto nascere io e sono già passati quasi trent’anni, mi chiedo come faccia il tempo a volare così in fretta! Quelli di Castrolibero erano altri tempi, non c’era l’epidurale allora, il dolore vostra madre lo ha sentito tutto e oltre, ed è stata molto coraggiosa e forte, considerando il fatto che una di voi due stava per morire. Non ricordo bene quale delle due però: tre decenni sono tanti anche per me, nonostante sia un medico gli anni passano per tutti!”Dette queste parole, si accomodò sul divano presidenziale del grande salone, si accese un sigaro toscano avendo però l’accortezza di aprire bene una delle finestre che circondavano il salone. Sapeva benissimo che Ninuccia odiava dal profondo del cuore l’odore del sigaro, come sapeva perfettamente che l’odore dei suoi toscani sarebbe rimasto appiccicato alle tende delle porte finestre, Ninuccia se ne sarebbe accorta subito! Quest’odore inconfondibile le ricordava la Fabbrica delle Scarpe, l’odore delle suole, le lesine, con le quali puntualmente si forava, ma soprattutto l’odore gli ricordava lui: Mastro Raffaele Quadri, il padrone di tutto Castrolibero, il padrone della vita di Ninuccia e delle sue tenere carni. Mentre tutti erano indaffarati con i preparativi per la partenza di Rosina, Ninuccia tolse finalmente l’orecchio dalla toppa e razionalmente cominciò a pensare al da farsi. Tra meno di dodici ore aveva il treno che l’avrebbe portata a Castrolibero, su Rosina non poteva più contare su Aristide nemmeno, forse non avrebbe più potuto fare in tempo nemmeno a salutarla. Era qui chiusa in bagno e si auspicava che l’ambulanza facesse presto ad arrivare, per poter uscire.
“Ma caspita, proprio adesso ti dovevano far cadere quelle due? Proprio ora che mi stavi aiutando a separarmi da te e da tutto questo mondo che ho creato con te, proprio ora che devo assolutamente uscire da questo maledetto bagno e partire?” Doveva ancora sbrigare da sola molte faccende, troppe, prima di prendere quel dannato treno che l’avrebbe portata via da tutti i fallimenti. O almeno così credeva e ci credeva a tal punto che in un attimo le arrivò addosso un coraggio ed una forza che raramente riusciva ad avere, quando si trattava di affetti o ricordi del passato. La dottoressa Ercolani Ninuccia vedova Sangalli, la grande regina del jet set mondiale, l’esperta di bambini e di regole, colei che si era fatta da sola, colei che ruggiva e gracchiava quando parlava in pubblico facendo tremare di paura i collaboratori, si sarebbe sciolta per un abbraccio delle sue figlie e avrebbe dato l’anima per ritrovare il suo adorato bambino.“Se sarà necessario mi farò violentare ancora, mi farò strappare il cuore, mangerò l’erba dei campi come da bambina e rinnegherò tutto quello che ho, ma voglio trovarlo: Beniamino non è morto, lei non me l’ha ucciso: il mio cuore di mamma me lo dice da ben quarantasei anni! Mio figlio è vivo e mi aspetta, lo so con certezza assoluta, chi può sentirlo meglio di una mamma, se il proprio figlio è morto o è vivo? Voglio e devo assolutamente partire, prima che io cambi idea e mi spunti una lacrima per lasciarvi razza di impertinenti che non siete altro!Alla vostra età non avete ancora capito che vi amo tremendamente? Anche se non ve lo dirò mai e anche se mi fate ancora preoccupare ed arrabbiare come una iena. Ma devo trovare anche lui, voi lo dovete conoscere, è vostro fratello, non posso dimenticarlo! Non appena ebbe terminato anche l’ultimo di questi pensieri, un silenzio inusuale si impadronì della casa, nessun rumore vi era più tra le mura del Castello. Solo allora Ninuccia uscì dal bagno.

Cari amici e amiche tutti, recenti e  un poco più datati, mi rivolgo a voi certi che scaturiranno idee,  suggerimenti importanti e vitali, oppure indicazioni al fine di esprimere un vostro sincero e leale giudizio su questi primi capitoli.  Le impressioni del pubblico sono essenziali e senza i vostri commenti o le vostre critiche un libro, anche se ottimo e scritto in modo eccelso, non diverrà mai un ottimo manoscritto. dentro la mia testa ed il mio cuore, con le mie parole su questa intensa, dura e atratti anche erotica storia, mi auspico che le emozioni vi nasceranno spontanee. saranno graditi tutti i commenti, purchè scritti in modo garbato e gentile, saranno graditissime le critiche costruttive ed utili. Aspetto con timore mista a gioia e curiosità di leggervi qui nel mio salotto. Ma sopratutto nel sito della signora Nadia Lazzarini  al link:

http://www.con-fine.com/home/la-storia-di-ninuccia/40 commenti.



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