Capitolo VII: Scalzi Dora.
Ninuccia si stropicciò bene gli occhi per mettere a fuoco chi era che la strattonava cosi forte ed in pochi istanti realizzò che era Gaudenzio. Questo le provocò un nodo allo stomaco e il comportamento di quest’uomo sconosciuto la infastidì non poco.“Senti, chi ti ha autorizzato a strapazzarmi così? Non sono mica una bambina! Lo so benissimo che il Regionale è alle sei e trenta e non aspetterà di certo me! E poi da dove sei sbucato fuori? Credevo ti fossi avviato a piedi per Cosenza così avresti fatto un poco di ginnastica!”.Era cinica e sarcastica, visto che prima l’aveva lasciata sola ed impaurita. Per questo voleva fargliela pagare, quantomeno a parole non potendo fare in modo diverso.“In effetti avevo voglia di sgranchirmi le gambe e dato che le toilettes sono munite di doccia, ne ho approfittato per farmene una come si deve.” Ora che era completamente sveglia, lo osservò meglio e vide che aveva un aspetto più curato: si era fatto la barba ed accorciato un poco i capelli, quel tanto che bastava per farle battere forte il cuore. Odorava di sapone di Marsiglia e questo profumo le ricordava Rosina ed il grande lavatoio in pietra che avevano in cortile. Si era cambiato la camicia ed i pantaloni, ora sembrava un’altra persona, un uomo di quelli per i quali Ninuccia e Dora avrebbero potuto perdere la testa.“Ti piaccio di più così Dora? Sono più adatto a una come te, che lavora in un balera?” Alzò il tono della voce nel fare quest’affermazione, una vena gli era spuntata nel collo facendoglielo muovere in maniera cadenzata. Era una grossa vena blu scuro, la si poteva vedere chiaramente perché lì in quel punto preciso non vi era più barba.“O ai tuoi occhi, rimango sempre un pezzente che per vivere deve svuotare i cassonetti dell’immondizia?” Gaudenzio pronunciò queste parole con rabbia e determinazione, il suo viso si stava trasformando e stava assumendo connotati forti e mascolini, rudi ed eleganti allo stesso tempo, da vero uomo non certo da pezzente. Ninuccia intravedeva in lui un pericolo terribile, un grosso ostacolo al ritrovamento di Beniamino e decise a malincuore di interrompere con lui ogni sorta di rapporto, fosse anche una semplice conversazione. Troppo rischioso innamorarsi ora, troppo tardi per lei: doveva ritrovare la necessaria calma per continuare a condurre le sue indagini. Pensava a tutti gli anni trascorsi senza suo figlio che lei voleva vivo a tutti i costi. Doveva avere quarantasei anni Beniamino oggi, probabilmente era già padre o nonno, ma in ogni modo niente e nessuno poteva impedirle di conoscerlo se fosse stato ancora vivo. Senza lui la sua vita era stata una vita vuota e pesante da gestire, gli anni perduti non li avrebbe mai più recuperati, di questo ne era certa, ma voleva trascorrere gli ultimi che le rimanevano da vivere con lui e le gemelle, null’altro le importava. Per l’amore c’era ancora tempo, c’era la prossima vita, nella quale lei credeva fortemente e in quella vita qualcuno l’avrebbe attesa ed amata. Cercò dentro le pieghe del suo cuore un modo il più sgarbato possibile, per rivolgersi a Gaudenzio e gli rispose”Di te io non ho più bisogno, ti pregherei di farti da parte e di lasciarmi proseguire il mio viaggio in santa pace e da sola. Non ti conosco a sufficienza per..”. Mentre terminava con ansia e fiato corto la frase, una suoneria iniziò a trillare: erano le cinque e cinquanta, orario nel quale lei aveva messo la sveglia. Cercò in fretta e furia di fermare subito la stizzosa suoneria, ma non vi riuscì. Il suono metallico del cellulare privo di ogni sorta di umanità o dolcezza aveva fatto nascere in lui un’ inquietudine ulteriore. Infatti riprese a grattarsi la barba fissando con occhio vitreo il pavimento. Lei, ancora più nervosa e timorosa di essere scoperta fingeva di sistemarsi il gancio del reggiseno: in realtà voleva solo far tacere quello stupido telefono, ma non vi riuscì e l’aggeggio infernale le scivolò di mano. Gaudenzio lo fissò come avesse visto un mostro, mentre Ninuccia cercò di scalciarlo lontano da lei, ma lui le fermò il piede e lo raccolse, chiedendole serio:”E questo a cosa ti serve? Ma non mi avevi detto che viaggiavi senza cellulari o altro? Devi prenotare un ristorante o sono i tuoi clienti affezionati che ti chiamano? Non ti lasciano in pace nemmeno in vacanza?”.
Disse queste parole con disappunto e sarcasmo, sempre tenendo ben saldo il telefonino in una mano, mentre con l’altra cercava di grattarsi ancora la barba. Ninuccia a questo punto della conversazione non ci vide più, per la gran rabbia mollò in pieno viso un ceffone a Gaudenzio, così sonoro che fece cadere a terra nuovamente l’oggetto del diverbio. Non si aspettava una simile reazione da parte di Dora, men che meno Ninuccia si aspettava di compiere un gesto così maleducato ed inusuale per lei. Nemmeno alle figlie aveva mai potuto mollare un ceffone, figurarsi ad un estraneo!“Scusami” gli disse con un filo di voce e gli occhi bassi. “Non volevo farlo, non è da me, non ti permetto di pensare che io sia una puttana. Anche se non voglio più avere nulla a che fare con te, non ti devi permettere di pensarlo e nemmeno di dirlo! Tu non mi conosci e non sai nulla di me, per quanto ne sai, io potrei essere anche una suora! Cosa sai tu della mia vita, ed io cosa ne so della tua?”Gaudenzio la imitò abbassando a sua volta gli occhi fissando il pavimento della saletta d’aspetto, mentre cercava il tono giusto di voce per farle le sue scuse. Sembrava che la voce non volesse saperne di uscire, riuscì solo a prenderle la mano e a sussurrarle ”Perdonami per ciò che ti ho detto, io non so e non conosco nulla di Dora, so solo che sta andando a Castrolibero come me e che ha cinquantanove anni. Inoltre so che è salita a Bologna e che l’ho aiutata a non cadere e capisco che mi piace moltissimo. Di te, quella vera che non è sicuramente Dora, non so nulla per il momento”.“Però potrei aggiungere che insegno a suonare il pianoforte ai bambini del mio Paese, quelli che hanno tutte e due le mani. Ti potrei anche dire che ai bambini non vedenti insegno a cantare, a chi invece possiede solo una mano insegno a dipingere. Ah! Dimenticavo che a tempo perso svuoto i cassonetti dell’immondizia e raccolgo le cose più impensate che qualche persona distratta ci butta dentro, poi le aggiungo alle mie collezioni. Ti basta di me questo Dora?” Ninuccia dovette accendersi una sigaretta, diede un’occhiata veloce al grande orologio della stazione e disse con la voce rauca da corvo gracchiante “Per ora mi basta, se continuiamo a chiacchierare perderemo di sicuro il Regionale per Cosenza Erano le sei e trenta precise di quel mattino del sedici gennaio, quando un uomo ed una donna presero quel treno, si sedettero in due scompartimenti diversi, ma le loro menti erano vicine, per uno strano gioco del destino. Ninuccia era molto tesa, mancavano solo trenta minuti all’arrivo, poi sarebbero scesi e avrebbero preso un ultimo mezzo per Castrolibero. Questa volta non sarebbe stato l’ennesimo treno ma un pullman, un taxi, o qualcosa del genere. Respirare ancora l’aria che respirava Gaudenzio, il doversi recare nella stessa destinazione, la turbava al punto tale che dovette prendere una compressa per calmarsi. “Sperando che non mi faccia addormentare, proprio ora che sono quasi arrivata dopo questo viaggio interminabile e terribile. Perché poi terribile?” Si chiese Ninuccia. In fin dei conti aveva semplicemente conosciuto una persona che le sembrava dapprima molto rozza, ma poi l’aveva fatta ricredere, rendendosi persino gradevole per lei, rivelandole un aspetto che la faceva vibrare. Stava realizzando che un uomo di nome Gaudenzio conosciuto da poche ore insegnava la musica a bambini con problemi di handicap importanti. Con queste doti doveva per forza di cose possedere una sensibilità straordinaria. Questo era un notevole valore aggiunto per Ninuccia: oltre che interessante dal punto di vista maschile, era anche intelligente e dolce! Tanto terribile la faccenda in sé non era, potevano invece essere terribili le conseguenze che ne sarebbero derivate, se continuava a vederlo e a parlargli. Ma come fare, dato che Castrolibero conteneva poco più di diecimila anime, tenendo in considerazione i dati ISTAT del duemilaotto che Ninuccia aveva letto ed imparato, documentandosi accuratamente prima della partenza. Se paragonato al milione di abitanti di Bologna, Ninuccia dedusse che quelle anime si conoscevano tutte. Una volta o l’altra lo avrebbe sicuramente incontrato, per sbaglio o per fortuna questo non poteva saperlo a priori, ma lo avrebbe rivisto e doveva prepararsi ad una simile eventualità. Il Capotreno avvertiva che erano arrivati a Cosenza e che bisognava scendere dal treno. Ninuccia era quasi arrivata a destinazione, scese con calma e si diresse subito al bar della stazione, per cercare di rifocillarsi. “Ma prima andrò in toilette anch’io a darmi una rinfrescata, non voglio sembrare una prostituta che ha passato la notte a lavorare”. Memore delle parole udite da Gaudenzio raggiunse la toilette dove fortunatamente vi erano anche le docce, ne fece subito una gelata, noncurante delle cervicali e del resto. Si frizionò i capelli con un campioncino di bagno schiuma di Dior, che aveva nella valigia di cartone e con una maglia si asciugò come riuscì, visto che di salviette non ce n’erano. Scrutando accuratamente la sua immagine riflessa nello specchio sbeccato del bagno, pensò che era molto provata e con occhiaie decisamente marcate. Decise di truccarsi in modo molto leggero, dando al viso un po’ di salute in scatola, come amava definire il fard e gli altri intrugli per abbellire le donne. Tutto sommato aveva bisogno di pochi trucchi: il viso, il collo ed il resto si presentavano ancora in ottimo stato di conservazione nonostante i quasi sessant’anni. Quasi sessanta e non cinquantacinque come Gaudenzio le aveva detto, pensando a lui ancora una volta. Non lo vedeva in giro, non c’era ombra di lui e questa volta sarebbe stata certa di non incontrarlo per un bel po’ di tempo. Era decisamente più fresca come aspetto e rifocillata, dopo aver gustato tre brioche integrali ancora calde, accompagnate da un paio di caffè cremosi e bollenti come piacevano a lei. Si accese la prima sigaretta del mattino e notò con felicità che il pacchetto era quasi vuoto. Desiderava ardentemente smettere di fumare, forse questa occasione poteva essere quella buona per dare l’addio al più importante vizio che aveva. Si avviò per le strade di Cosenza con la sua fedele valigia di cartone al fianco, trent’anni dopo avere lasciato quei luoghi. Si guardava attorno alla ricerca di un mezzo che la portasse finalmente a Castrolibero. Chiese ad una passante un ‘informazione:”Scusi a Castrolibero, come ci arrivo?” La donna scrutandola da capo a piedi le rispose” Se non vuole andarci con i cavalli e la carrozza, alla stazione degli autobus c’è la linea Cosenza-Marano Marchesato, prima del capolinea c’è Castrolibero, ma se non capisce dov’è, chieda all’autista che la farà scendere alla fermata giusta”. La donna continuava a guardarla come fosse un extra terrestre, un misto tra una persona dei primi del novecento ed un’accattona. Di questo Ninuccia se ne rendeva perfettamente conto e pensò che doveva rendere nota al più presto possibile, la sua nuova identità. Doveva avere un motivo plausibile che giustificasse il perché Dora Scalzi dal Nord era piovuta in Calabria all’improvviso, come un fulmine che si abbatte sul tetto di una casa senza preavviso alcuno. Glielo avrebbero chiesto tutti i paesani, non appena avesse messo il piede giù dall’autobus. Qui non era a Bologna dove ognuno si fa i fatti propri e spesso non si conosce nemmeno il proprio vicino di pianerottolo. Lei organizzata e precisa come sempre, doveva avere già pronte e credibili le sue nuove credenziali ed essere esaustiva nel descrivere la sua persona. Non fece in tempo a terminare i suoi pensieri, che si accorse di essere arrivata in un battibaleno alla stazione degli autobus. Parcheggiata su di un lato vi era già la corriera Cosenza-Marano Marchesato. Salì immediatamente senza tanti ripensamenti e pagò il biglietto direttamente al controllore, dato che non aveva fatto in tempo ad acquistarlo in stazione. Stupito per il biglietto da duecento euro che Ninuccia gli porse, le chiese alzando un sopracciglio, “E lei pretende che io a quest’ora di mattina abbia già il resto da darle? “E lei pretende che alle otto e cinque, io abbia già avuto il tempo di andare in banca a cambiare in spiccioli?” Tutti e due si guardarono seri, ma dopo pochi istanti scoppiarono a ridere! Non era poi una cosa così tragica! Il controllore le disse che le avrebbe cambiato lui quel pezzettone e, mentre si aggiustava il nodo della cravatta, si presentò:”Le chiedo scusa per l’arroganza ma sa, da queste parti non siamo molto aperti nel dare confidenza agli estranei e non cambiamo così d’acchito biglietti di questo calibro al mattino presto, soprattutto se la persona non è da noi conosciuta. A proposito io mi chiamo Tirotta di cognome e Mafaldo di nome, per servirla: signora? Con chi ho il piacere di parlare? “Sono Dora Scalzi, il piacere è tutto mio”. A Ninuccia si mossero le budella nello stomaco e le tre brioches inghiottite al bar iniziarono a fare il girotondo. “Ma se mi riconosce come faccio? Non sono ancora pronta per la nuova identità, proprio Mafaldo dovevo incontrare per primo, dopo così tanti anni?! Poi a quest’ora del mattino, su questa corriera scalcinata!” Fece finta di nulla e si calò sulla fronte il colbacco di pelo in modo che il viso non si vedesse bene, pregando la Madonna di non essere riconosciuta subito. Si diedero la mano e il controllore cambiò finalmente il biglietto da duecento euro a Dora. Ninuccia, sudata per quel breve colloquio, si sedette sulla prima poltrona libera, impaziente di arrivare. Il controllore continuava a convalidare gli altri biglietti dei passeggeri e non si curò più di lei. Ringraziando il cielo anche Mafaldo era invecchiato parecchio e con quei fondi di bottiglia che aveva sugli occhi, poteva stare tranquilla. Si era ricordata che da giovane, egli soffriva di una malattia agli occhi rara ed ereditaria, che lo avrebbe portato, si mormorava allora, alla cecità quasi completa. A giudicare dagli occhiali e dalle gomitate che dava alle persone in piedi, probabilmente non c’era nulla da temere, non avrebbe potuto riconoscerla in quelle condizioni! Quel viaggio, così pieno di imprevisti e di situazioni nuove da affrontare, la stava mettendo a dura prova. Ora era veramente sola e non c’erano i preziosi suggerimenti di Rosina, sempre pronta a correre in suo aiuto in qualsiasi momento. Già Rosina! “Non la vedo da un giorno e mi sembra un’eternità: come farò ad affrontare tutto questo senza di lei? Appena arrivo al paese la chiamo subito, vorrei sentire come sta e se quella nevrotica di Greta le ha fatto un danno veramente importante alla gamba. Non è più una ragazzina e con l’osteoporosi che si ritrova, anche una banale scheggiatura per lei può rivelarsi fatale. Non permetterò a nessuno che me la riduca su di una sedia a rotelle.“Serve nulla signora Dora? E’ tutto a posto? Il tragitto è di suo gradimento? A proposito dove scende lei?” Era immersa nei suoi pensieri quando sentì la voce carezzevole che le rivolgeva tutte queste domande. “Tutto bene, la ringrazio signor Tirotta, scenderò a Castrolibero, spero tra pochi minuti” “Sì, tra pochi minuti lei sarà arrivata, in effetti è un viaggio breve. Tra sole cinque fermate tocca a lei e me ne rammarico molto. Chissà! speriamo di rincontrarci ancora se lei prenderà di nuovo questa linea!” Così le disse il signor Mafaldo Tirotta, vecchio amico d’infanzia. Dopo pochissimi minuti che a lei parvero interminabili, finalmente Tirotta annunciò la fermata di Castrolibero. Ninuccia con il cuore che le batteva all’impazzata e un mezzo attacco di panico in agguato, si alzò dalla poltrona, raccolse le sue cose e salutandolo in modo caloroso, scese di corsa. Lui fece appena in tempo a gridarle in mezzo alla porta”Ma non ci siamo già conosciuti? Ma noi ci conosciamo perbacco!” Nel gelo di quel mattino del sedici Gennaio duemiladieci, dove il termometro segnava meno nove, Ninuccia e Dora erano già lontane diversi metri per sentire quella importante domanda.