Che io guardi le classifiche non è certo un mistero. Riporto ogni settimana quella di ibs.it, più per curiosità di vedere quello che leggono le persone che per altro, ma tenete presente che sapere certe cose mi aiuta a svolgere meglio il mio lavoro. Avrei qualcosa da ridire sugli orari e sulla busta paga, il mio lavoro mi piace davvero – quasi sempre per lo meno – perciò mi ritengo fortunata. Il che significa che non mi limito a fare ciò che devo e basta, la formazione è sempre importante.
Guardo quelle classifiche ma non me ne faccio condizionare come lettrice. Quando avevo più tempo a volte leggevo bestsellers che non mi interessavano più di tanto per capire meglio cosa leggono le persone, ma non ho mai ignorato un libro solo perché non compare in classifica. Esempi? I romanzi di Guy Gavriel Kay o, venendo in Italia, di Filippo Tuena. Li leggono in pochi, ma la maggior parte di quei pochi sono fan accaniti. Incidentalmente noto che ora conosco entrambi gli scrittori, evidentemente quando qualcosa mi piace davvero posso essere un po’ insistente.
Le classifiche che mi interessano di più come lettrice però sono altre. Per la precisione sono quelle dedicate alle migliori opere, in assoluto o appartenenti a un singolo genere. Questo non significa che io concordi sempre con loro, spesso anzi mancano opere per me fondamentali, o sono troppo in basso, e ne compaiono altre, magari pure in alto, che io ho detestato. Però ci sono anche quelle che non conosco, e se compaiono molto spesso o se chi ha compilato la classifica ne parla davvero bene, io posso esserne incuriosita e decidere di leggere quel libro. L’ho già fatto e lo rifarò.
N.K. Jemisin, vi dice niente questo nome? La N sta per Nora, stiamo parlando di una donna. Facendo una ricerca su di lei ho scoperto che è di colore, dettaglio davvero ininfluente per quanto riguarda la qualità della scrittura ma che mi ha comunque fatto riflettere sul fatto che forse lei è la prima autrice di colore che leggo. Octavia Butler è nella lista delle autrici che dovrei provare a leggere da non so quanto tempo, chissà quando mi deciderò a farlo. Emanuele Manco mi ha parlato molto bene del suo La luce del sole, ma fino a quando non inventeranno giornate di 30 ore senza aggiungere lavoro da fare allora sarò sempre costretta a fare delle scelte e a rimandare cose potenzialmente interessanti.
Secondo la Fantasy Book Review – o almeno secondo la classifica che avevano pubblicato poco più di due anni fa – la sua Inheritance Trilogy, che inizia con quel I centomila regni recentemente tradotto da Gargoyle, vale il sesto posto, davanti a opere che amo come la Trilogia di Mistborn di Brandon Sanderson (7), Il paese delle due lune (9) e La rinascita di Shen Tai (13) di Guy Gavriel Kay, Le cronache del ghiaccio e del fuoco di George R.R. Martin (23) o La Ruota del Tempo di Robert Jordan (25). C’è da riflettere, anche se io non sono riuscita a digerire i primi due romanzi di Steven Erikson e la saga della Caduta di Malazan si trova al terzo posto.
La classifica di Locus sui migliori romanzi fantasy del decennio 2001-2010 vede I centomila regni al 18° posto. Un po’ più in basso, ma si tratta comunque di una posizione di tutto rispetto e di una menzione che si aggiunge all’altra che già conoscevo.
Mi sono incuriosita, non così tanto da leggerla in inglese ma abbastanza da suggerire a due case editrici di provare a tradurla. Cosa che è puntualmente avvenuta, anche se uno dei due editori che l’ha pubblicata non fa parte di quelli con cui avevo parlato. A volte mi domando quanto siano ascoltate le mie opinioni. Mmmm…
Il 30 gennaio Fanucci ha pubblicato La luna che uccide. Gargoyle avrebbe voluto pubblicare I centomila regni quello stesso giorno ma c’è stato un problema di distribuzione e il romanzo è slittato di una settimana. La luna che uccide costa 12,00 € per 412 pagine, I centomila regni costa 18,00 € per 384 pagine, quindi in teoria per provare a scoprire l’autrice conviene comprare il romanzo edito da Fanucci. E allora perché io ero attirato dall’altro? Entrambi sono stati finalisti al premio Nebula – e chi è finalista ai premi principali è un’altra delle cose che guardo – e La luna che uccide è stato finalista anche al World Fantasy Award. Il fatto che nelle classifiche ci sia I centomila regni è poco significativo visto che La luna che uccide è stato pubblicato troppo tardi perché potesse entrarvi. Però da valutare c’è anche la trama. Questa è quella di La luna che uccide:
Nella antica città-stato di Gujaareh, la pace è l’unica legge. Sui suoi tetti e tra le ombre delle sue strade acciottolate vegliano i raccoglitori, i custodi di questa pace. Sacerdoti della Dea del Sogno hanno il compito di raccogliere la magia della mente addormentata e usarla per guarire, calmare… e uccidere chiunque giudichino corrotto. Ma quando viene scoperta una cospirazione nel grande tempio di Gujaareh, Ehiru – il più famoso raccoglitore della città – dovrà mettere in discussione tutte le sue certezze. Qualcuno, o qualcosa, sta uccidendo i sognatori in nome della dea, e insegue le sue prede sia nei vicoli di Gujaareh che nel regno dei sogni. Ehiru ora deve proteggere la donna che era stato mandato a uccidere, o vedrà la sua città divorata dalla guerra e dalla magia proibita.
Non dà assolutamente l’idea di cosa sia il libro, in compenso inserisce un’informazione che io non avrei dato in un risvolto di copertina. A proposito, spero che il risvolto di copertina del Cavaliere dei Sette Regni di George R.R. Martin che sarà pubblicato a fine aprile sia diverso dal testo che ho letto io, perché contiene uno spoiler relativo a uno dei punti di svolta del primo racconto, Il cavaliere errante. Non è la cosa più importante ma comunque se non conoscete quel racconto non leggete il risvolto prima di averne terminato la lettura. Questa invece è la quarta di copertina dei Centomila regni:
Yeine Darr è un’esiliata del barbaro Nord. Quando sua madre muore in circostanze misteriose, viene convocata nella maestosa città di Sky, sede della famiglia dominante Arameri. Lì è nominata erede del re, e la notizia la sconvolge. Ma il trono dei Centomila Regni non è facile da conquistare, e Yeine si ritrova coinvolta in una brutale lotta per il potere contro due cugini che non sapeva nemmeno di avere. Mentre combatte per la vita, si avvicina sempre di più alla verità sulla morte di sua madre e sulla storia di sangue della sua famiglia. Con le sorti del mondo in precario equilibrio, Yeine imparerà quanto pericoloso possa essere vivere in una situazione in cui amore e odio, dèi e comuni mortali, si ritrovano inestricabilmente legati.
Onestamente a me attira molto di più I centomila regni. E allora perché ho letto La luna che uccide? Per colpa del distributore che ha fatto arrivare uno dei due libri in libreria in ritardo, in un momento io cui io avevo il bosogno di qualcosa di nuovo e nessun altro libro rispondeva alle mie necessità. Notato i danni che si possono fare con questi semplici errori?
Va bene, ho divagato abbastanza, ma a volte noi iniziamo a leggere i libri per un motivo ben preciso. Hanno una storia alle spalle, e questa storia può influenzare la nostra percezione.
La Jemisin sa scrivere. La storia scorre bene e i personaggi sono ben caratterizzati. L’ambientazione è decisamente originale. Nel risvolto l’editore ha scritto “un fantasy dall’ambientazione originale e affascinante”, e per una volta condivido le parole e non mi limito a considerare ciò che in genere sono, una semplice trovata pubblicitaria. Allora perché non leggerò il seguito di questo romanzo quando lo pubblicheranno? Perché ovviamente io sono andata a controllare. Se I centomila regni è il primo volume di una trilogia i cui libri successivi sono The Broken Kingdoms e The Kingdom of Gods, La luna che uccide viene indicato come il primo romanzo della Dreamblood Series. A questo libro fanno seguito certamente The Shadowed Sun, pubblicato nel 2012, e The Fifth Season, previsto per il prossimo mese di agosto, ma visto che questa è denominata Series e non Trilogy nulla esclude che in futuro la Jemisin possa scrivere altri libri.
Il libro è autoconclusivo. La vicenda di Ehiru, di Sunandi e dei personaggi che si muovono intorno a loro giunge alla conclusione, anche se non sapendo nulla del seguito non posso escludere che ci saranno strascichi per quanto è avvenuto qui. E sono pure contenta di aver finito la storia, di avere questa sensazione di compiutezza che una saga non può dare fino a quando non arrivi all’ultimo volume. Io amo le saghe, lo sapete, mi piace crescere (ormai dovrei scrivere invecchiare?) con loro anno dopo anno, sono triste perché non potrò più leggere un nuovo romanzo della Ruota del Tempo, ma a volte bisogna anche arrivare a una fine in tempi ragionevoli.
Eppure… Avete letto L’orlo della Fondazione di Isaac Asimov? Se non lo avete fatto sappiate che è in arrivo uno spoiler. Io amo le storie di Asimov, quanto meno la gran parte. Se escludiamo Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry (autore di cui non ho mai letto nient’altro) sono i suoi romanzi e i suoi racconti le storie che ho letto da più tempo e che amo ancora oggi. Amo la Trilogia della Fondazione, e voi avete letto bene. Io ho scritto trilogia.Alla fine della sua vita Asimov ha cercato di riunire in un’unica grande saga la gran parte dei romanzi che ha scritto. Prima di Cronache della Galassia – o Prima Fondazione, comunque vogliamo chiamare quel libro – ha posto Preludio alla Fondazione e Fondazione anno zero. Dopo ha collocato L’orlo della Fondazione e Fondazione e Terra. Mi sono divertita mentre leggevo questi libri, ma non li ho mai riletti. Per me questi libri non esistono. Il motivo è semplice, e si chiama Io-Noi-Gaia. Non lo accetto. Non ammetto la perdita dell’identità personale. La coercizione di cui parla Jordan nella Ruota del Tempo è orribile, e i personaggi – al di là degli Amici delle Tenebre – la percepiscono come tale. Vero, è una cosa più forte, è un cambiare la personalità contro i desideri di quella persona per spingerla a compiere cose orribili. In Asimov c’è accettazione, ma è pur sempre perdita di identità e io questo non lo accetto. Ma che diritto ha Golan Trevize di prendere una decisione di questo tipo per tutti? Lo avete letto il racconto Un canto per Lya di Martin? Possono dirmi quello che vogliono gli scrittori, posso anche amare il loro testo per quanto è bello, ma ci sono cose che non mi vanno giù.
Con la Jemisin le cose sono un po’ diverse, si tratta – a differenza di quanto racconta Asimov – di un problema legato solo a una determinata categoria di persone, potremmo definirlo uno spiacevole effetto collaterale. Eppure no, quell’effetto, ma anche l’essenza stessa di ciò che fanno, mi ha dato fastidio, per quanto sia perfettamente sensato all’interno della trama. Sono anzi elementi fondamentali della trama stessa e proprio per questo non posso leggere altri libri di questa serie.
Quando il protagonista di una serie di romanzi mi sta antipatico, come è avvenuto per esempio con il Niccolò di Dorothy Dunnett in L’apprendista delle Fiandre e La primavera dell’ariete, io non riesco ad andare avanti pur se la costruzione del mondo è bella e pure se la Dunnett è una delle scrittrici preferite di Kay. In questo caso è il mondo che mi è indigesto, perciò non posso andare avanti. Però la Jemisin sa scrivere, quindi sono convinta che prima o poi prenderò in mano anche I centomila regni. Non subito: la settimana prossima arriveranno in libreria il quarto, quinto e sesto volume delle Wild Cards di Martin perciò avrò altro da leggere, ma la mia storia con la Jemisin non è ancora conclusa.