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No all’elemosina di 10 euro al mese: se letta non osa ora su spesa e tasse, quando?
Creato il 13 ottobre 2013 da Bernardrieux @pierrebarilli1Ieri abbiamo avuto due nuove evidenze di ciò che a tutti dovrebbe essere già molto chiaro da tempo. La prima è che la via tutta-tasse al riequilibrio del bilancio deprime il Pil e non genera il gettito atteso. La seconda è che la ripresa del braccio di ferro tra Pd e Pdl alza nuovo fumo, rispetto alle priorità.
Sul primo versante, fa testo il gettito IVA nei primi otto mesi dell’anno. Da quando l’aliquota ordinaria salì dal 20 al 21% nel settembre 2011, l’IVA incassata scende. Ora l’aliquota è salita al 22%. Ma nei primi otto mesi del 2013 il suo gettito è diminuito del 5,2% rispetto al 2012, con 3,7 miliardi di euro in meno. Scendono infatti per la recessione gli scambi interni, e diminuiscono le importazioni contribuendo sì a migliorare la bilancia dei pagamenti, ma facendo piangere le casse dello Stato. Anche l’Irpef scende leggermente, sempre per la recessione. E cresce invece del 7,5% l’Ires pagata dalle imprese: il che spinge ad abbassarne ulteriormente il margine per investire ed espandere la base degli occupati. In un quadro europeo dove tutti i Paesi sottoposti alla trojka – Irlanda, Portogallo, Spagna – hanno attese di crescita per il 2014 superiori a quelle italiane, anche la Grecia potrebbe batterci. E’ di ieri la previsione di un più 0,4% del Pil greco nell’anno a venire. L’Italia deve dunque cambiare segno alla micidiale linea sin qui da essa seguita, basata sugli aggravi d’imposta.
E per far questo, sicuramente non serve riprendere il teatrino dell’IMU esattamente dove si era interrotto all’esplosione del caso Berlusconi. Ieri emendamenti del Pd relativi a far pagare l’imposta alle “case dei ricchi” sono prima stati accantonati, e torneranno oggi all’esame. Tra mille roventi parole tra destra e sinistra.
Non è sull’IMU che può avvenire il cambio di passo per la crescita. Lo sanno tutti. O la maggioranza di governo trova il modo di evitare cornate su questo, oppure sarà ancora più difficile immaginare qualsivoglia “spirito nuovo”, capace di identificare e perseguire poche chiare priorità.
Il governo ha di fronte a sé tre strade. La prima è quella che sembrava pronto a percorrere prima della nuova fiducia, e di tutto ciò che vi è ancora di politicamente irrisolto. Letta aveva fatto intendere una legge di stabilità intorno al punto di Pil, interventi non oltre 15 miliardi compreso il miliardo e mezzo necessario per evitare di sforare il tetto del 3% di deficit per il 2013. La seconda è quella di un orizzonte più impegnativo, ma sempre nei confini dello stretto rispetto degli impegni europei. La terza è quella di misure ancora più energiche, ma nel contesto di un confronto serrato con Bruxelles e i partner europei sulle ricadute positive di una maggior crescita italiana, visto cheormai siamo tornati a essere una mina per tutti malgrado i nostri corposi avanzi primari.
Sembrerebbe ragionevole scartare la prima ipotesi, cioè comportarsi da parte del governo come se nulla fosse accaduto. O peggio, credendo che nei pochi giorni si possano chiarire tutti gli elementi non chiari a destra, nel rapporto tra chi continua a riconoscersi in Berlusconi, chi in Alfano, e chi sta semplicemente a guardare per capire chi vince. Bisogna osare. E qui si pone il bivio europeo.
Facciamo un esempio, per essere chiari. Letta ha annunciato con forza che la bandiera della svolta sarà quella di un intervento finalmente volto ad alleviare le troppe imposte su impresa e lavoro. Si è parlato di 4 o 5 miliardi di euro in meno. Con un taglietto all’IRAP pagato dalle imprese sulla componente lavoro della base imponibile, e il più concentrato ai lavoratori, con maggiori detrazioni IRPEF ai redditi più bassi. Senonché, le anticipazioni pre-fiducia erano di un beneficio ai lavoratori concentrato in un solo mese, a fine giugno, pari a 100 o 150 euro. Qualcuno si è spinto a immaginare 200 euro e più, ottenendo dal Tesoro calorosi inviti a tenersi bassi.
Guardiamoci in faccia. Vogliamo dirlo o no, che un intervento nell’ordine di dieci euro in più al mese in portafoglio non cambia la sostanza depressiva di redditi procapite tornati, a prezzi correnti, a quelli di 25 anni fa? Possono davvero, Letta e Saccomanni, farsi illusioni in proposito? Quando Prodi nel 2007 abbassò di 4,5 miliardi l’IRAP l’effetto sul 2008 si rivelò modestissimo. Certo, saltarono in aria la Lehman e il commercio mondiale. Ma da allora abbiamo perso 9 punti di Pil e 25 di produzione industriale, ergo bisogna per forza pensare a qualcosa di più ambizioso.
Significa da una parte avere il coraggio di mettere mano a tagli di spesa come sinora se ne sono visti troppo modesti, come poco ambiziosi sembrano i primi obiettivi affidati al nuovo commissario alla spending review, Cottarelli.
Ma significa anche esser disposti ad aprire da subito un round negoziale a Bruxelles quando, appena varata la legge di stabilità, comincerà il suo esame da parte della Commissione europea. Nell’ambito del percorso tendenziale di azzeramento del deficit, contrattare ad esempio per ogni euro di spesa corrente in meno individuato e tradotto in meno imposte su lavoro e reddito, un euro aggiuntivo di minor imposizione che nel breve alza l’asticella del deficit, per però generare da subito crescita aggiuntiva e gettito, pareggiando i conti nei due anni successivi. Vi sono parlamentari che lo propongono esplicitamente nella maggioranza senza per questo ripudiare euro ed Europa, come Enrico Zanetti che in queste materie non improvvisa, visto che è uno dei più esperti in materia fiscale e contabile. E’ una buona idea.
Letta e Alfano hanno ancora pochi giorni per convincersi ad osare. Trovino la forza di stupirci. Dieci euro in più al mese sarebbero un’irrisione dopo tutto quel che si continua a vedere: l’ennesimo buco a Roma, il finto taglio alle retribuzioni dei consiglieri regionali siciliani in realtà ancorandole alla busta paga dei senatori, le finte privatizzazioni fatte con partita di giro dal Tesoro a Cassa depositi e Prestiti come in Ansaldo Energia, e la triste commemdia in atto su Alitalia, in cui altri “privati falliti” con banche private alla testa richiedono l’intervento statale dopo aver beneficato dell’oneroso salvataggio a spese del cotnribuente nel 2008. (leoniblog) http://feeds.feedburner.com/BlogFidentino-CronacheMarziane
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