Magazine Cinema
di Pablo Larraìn (Cile, 2012)
con Gael Garcia Bernal, Alfredo Castro, Antonia Zegers, Nestor Cantillana
VOTO: ****/5
Nel 1988, sotto la forte pressione della comunità internazionale, il dittatore cileno Augusto Pinochet fu costretto a indire un referendum popolare chiedendo agli elettori di prolungare di altri otto anni un regime dispotico che durava da ben tre lustri (esattamente dal 1973, anno in cui fu deposto militarmente il legittimo presidente Salvador Allende). Sulla carta si trattava di un plebiscito-farsa: durante la campagna elettorale all'opposizione furono concessi solo 27 giorni di tempo e appena 15 minuti di spazi televisivi in seconda serata, mentre tutto il resto delle trasmissioni era occupato dalla propaganda di regime.
La sfida era apparentemente impari, eppure gli esponenti dell'opposizione non si diedero per vinti e riuscirono a convincere un giovane pubblicitario, Renè Saavedra (un ottimo Gael Garcia Bernal), a studiare una strategia ad hoc affidandosi proprio alle leggi della pubblicità, e trattando la politica esattamente come un prodotto da lanciare sul mercato... L'audace strategia si rivelò vincente: accantonando subito l'idea di mostrare in tv gli orrori della dittatura ("questo paese ha già sofferto tanto, è inutile impaurirlo ancora di più"), Saavedra optò per una campagna elettorale basata sull'ottimismo e la rinascita di una nazione oppressa da troppo tempo, servendosi di facce allegre e spensierate, messaggi positivi, jingle accattivanti e nessuna voglia di piangersi addosso. Sappiamo tutti come finì: tra lo stupore generale, i NO vinsero col 55% dei voti e Pinochet dovette arrendersi, concedendo al Paese la possibilità di andare a libere elezioni dopo quindici anni.
Tratto da una pièce teatrale di Antonio Skàrmeta (El plebiscito), l'ultimo film di Pablo Larraìn è una folgorante ricostruzione di quei 27 giorni che cambiarono la storia di un paese che pareva ormai rassegnato alla tirannia. Alternando efficacemente fiction e immagini di repertorio, girando il tutto con vere cineprese dell'epoca e montando il film in un anacronistico e 'sporco' formato 4:3 (per ricreare esattamente l'atmosfera), NO racconta in maniera emozionante e senza cadute di ritmo il compimento di un miracolo di comunicazione. Che, intendiamoci, non fu affatto semplice: il regista non indugia affatto nel mostrarci le pressioni e le minacce (anche della sfera privata) a cui furono sottoposti gli esponenti dell'opposizione, nonchè il difficile clima di violenza in cui si svolse il referendum. Ma alla fine la potenza dirompente di quel messaggio positivo portò dritto il Cile verso la democrazia.
Un film bello e coinvolgente, dunque, ma che per noi italiani è qualcosa di ben più importante. E' impossibile infatti non ritrovare in NO analogie e riferimenti alla situazione attuale del nostro paese: anche noi, infatti, viviamo in una dittatura (ovviamente non militare, ma morale e mediatica), anche noi siamo una nazione rassegnata e distrutta dalla corruzione, anche da noi c'è una maggioranza silenziosa di cittadini sfiduciati da una classe dirigente assolutamente inadeguata... La lezione di Larraìn è semplice: per restituire dignità a una nazione occorre che la politica torni a ridare alla gente una speranza, la possibilità di intravedere una luce in fondo al tunnel. Serve una nuova idea di società, che consenta alla popolazione di superare la sfiducia e la paura del futuro.
NO è il primo film di Larraìn in cui si respirano emozione e orgoglio, ben diverso dalle lugubri atmosfere di Tony Manero e Post Mortem. E' la degna conclusione di una 'trilogia della dittatura' che, tuttavia, pur nell'esaltazione della vittoria democratica non rinuncia a metterci in guardia sulle ombre di una deriva (in)culturale e figlia del consumismo: il finale sottilmente inquietante e ambiguo è la degna conclusione di una pellicola che ci fa riflettere in ogni momento su quanto sia difficile, oggi come ieri, conciliare ideologia e speranza, passione e pragmatismo.
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