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No more excueses - A week without violence: Once Were Warriors - Una Volta erano Guerrieri (di Lee Tamahori, 1994)
Creato il 28 novembre 2014 da Frank_romantico @Combinazione_CLa violenza sulle donne è uno dei grandi mali che affligge l'umanità. Ovviamente, quando si parla di violenza sulle donne, non si intendono solo lo stalking o le violenze domestiche, bensì tutte quelle situazioni che pongono la donna in una situazione difficilmente sostenibile tanto da un punto di vista culturale quando da quello sociale. Per questo motivo il 25 Novembre è stata istituita la Giornata Mondiale Contro la Violenza sulle Donne. Ne hanno parlato un po' tutti, tutti hanno detto la loro con lo scopo principale di sensibilizzare l'opinione pubblica sfruttando tutti i mezzi e gli strumenti a disposizione. Anche noi (soliti) blogger abbiamo deciso di dire la nostra e di farlo a nostro modo. Per questo abbiamo istituito (da un'idea di Alessandra di Director's Cult) la rassegna No more excueses - A week without violence. Dal 25 fino al 30 Novembre infatti, vari blog si stanno alternando per affrontare il problema della violenza sulle donne parlando di film che trattano o toccano l'argomento.
Per la scelta del "mio" film ho deciso di tener conto di tre fattori. Il primo, ovviamente, è stato il mio gusto personale. Il secondo la potenza attraverso cui il film ha veicolato il proprio messaggio. Il terzo è stato la complessità tematica dell'opera. Per tutti questi motivi la mia scelta è ricaduta su Once Were Warriors - Una Volta erano Guerrieri, opera prima del neozelandese Lee Tamahori (1994), che dopo quest'ottimo esordio è stato fagocitato da Hollywood perdendosi nella mediocrità.
Once Were Warriors è la storia di una famiglia maori in Nuova Zelanda. La madre sopporta la violenza del marito, i due figli maschi, Nig e Boogie, sono sempre in mezzo ai guai. L'unica che sembra sottrarsi allo sfacelo della famiglia sembra essere la figlia maggiore, ma quale sarà il prezzo da pagare?
L'ho accennato all'inizio: la violenza sulle donne non è mai uguale a se stessa. E non voglio, con questa frase, insinuare che ci sia violenza più o meno grave: la violenza è sempre condannabile, di qualunque entità essa sia. Picchiare la propria moglie o ragazza non è meno grave che lapidarla in una piazza e, allo stesso tempo, non lo è di più rispetto a maltrattarla psicologicamente. Certo, c'è chi avrebbe tutti i modi e il supporto per ribellarsi e non lo fa e c'è chi, pur venendo lasciato a se stesso, lo fa a costo della propria vita, ma di fondo la violenza resta violenza, che resti "culturalmente" accettata o meno. Ed è questo, forse, il problema principale: la violenza genera violenza e, per cancellarla, servono le basi culturali (e sociali) adatte. Parlarne e condannarla non servirà forse a limitarla allo stato attuale, ma potrebbe essere l'unica speranza per il futuro.
Nel 1994 uscì questo film neozelandese, quest'opera cupa e iperrealista tratta dal romanzo omonimo di Alan Duff. Una storia che, appunto, parla di violenza tout court: quella domestica, quella contro le donne, quella di strada, quella perpetuata contro le etnie. Quella violenza con cui la vita ti schiaccia e riesce a renderti una persona diversa se non hai la forza per resisterle. Once Were Warriors - Una Volta erano Guerrieri racconta la condizione delle famiglie più disagiate della Nuova Zelanda "bianca", quella che similmente a quanto avvenuto in altre parti del mondo ha ghettizzato le popolazioni indigene chiudendole in recinti e permettendo loro di prosperare tra la rabbia ed il degrado. Ed è proprio lì, in questo mondo-ghetto fatto di metallo, muscoli e tradizioni (ed alcol a fiumi) che la violenza esplode come unica possibilità di riscatto. E, ovviamente, a farne le spese sono i deboli e gli indifesi.
Le donne fanno sicuramente parte della seconda categoria. Deboli no, perché nessuno crede più a quella stupidaggine del "sesso debole". Tra l'altro solo ai codardi e agli idioti piacerebbe avere una donna debole e sottomessa come compagna di vita, ma questa è una mia considerazione personale.
Eppure, in un mondo lasciato a se stesso dove il culto della forza bruta primeggia e si autoproclama "valore", chi si affida ad un altro tipo di forza, alla tenacia e al coraggio, corre il rischio di soccombere. Perché non c'è tutela alcuna. E' quello il mondo in cui vive Jake Heke e la sua famiglia. Jake stesso ha fatto dell'essere il più forte (ma in questo caso il più brutale e violento) il proprio vanto. Jake la Furia lo soprannominano, il re dell'alcol e delle risse da bar. E a farne le spese è sua moglie Beth, picchiata e sottomessa. A farne le spese sono i figli, due maschi e una femmina. E se i maschi rispondono alla violenza con la violenza, il vero baratro si apre per la povera Grace.
Once Were Warriors è quindi una storia di degrado, la storia di un piccolo pezzo di umanità che va lentamente a farsi fottere. E in questa terrificante discesa negli inferi di immondizia e gretta ignoranza che il dramma familiare si evolve, cresce d'intensità fino all'apice e punto di svolta in cui solo il coraggio di una madre potrà salvare quel che resta della propria famiglia. Perché alla violenza bruta e insensata che si nutre di se stessa si può contrapporre solo il coraggio dell'amore più puro e disinteressato, quell'amore di cui la donna è custode, quella forza che possiede solo chi è capace di creare la vita. Quindi Beth, forte delle proprie radici "guerriere" e della disperazione, diverrà la speranza non solo di una famiglia ma di un'intera condizione sociale.
In Once Were Warriors però non ci sono eroi, non ci sono buoni o cattivi. Jake la Furia non è il male, ma solo la cristallizzata rappresentazione di un malessere, così come Beth è l'antitesi dell'eroina bensì una donna che ha commesso troppi errori e, ad un certo punto, è costretta a pagarne le conseguenze. Perché il film di Tamahori è uno spaccato di mondo che non è né bianco né nero e si nutre di chiaroscuri. Un opera che punta a colpire lo spettatore, a fargli male ma anche a commuoverlo. E ce ne sono di scene commuoventi e bellissime o semplicemente intense che colpiscono imprimendosi nella memoria. Nonostante non si tratti di un capolavoro, nonostante ostenti troppo quando sarebbe il caso di marcare meno la mano. Quel che resta, forse indelebile, è il volto di un'attrice come Rena Owen, sintesi perfetta di tutto quel che è stato detto nelle righe precedenti.
Once Were Warriors è solo uno dei tanti film che tratta il tema della violenza sulle donne. Il cinema, in fondo, è un mezzo potente. Peccato che spesso lo si usi per i motivi (e nei modi) sbagliati. Se però voi volete continuare a seguire No more excueses - A week without violence, qui c'è il programma completo della rassegna, che dura fino a dopodomani. E io vi consiglio di seguirla tutta e di recuperare quello che vi siete persi.
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