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Alle soglie del 2015, la violenza sulle donne è un tema fondamentale. Se ne parla in tv, ogni giorno. Se ne parla sui giornali, si sensibilizza, si informa. E finalmente, direi. Se ne parla anche sui blog di cinema, grazie all'iniziativa lanciata da Alessandra (Director's cult).
Ma nel MILLENOVECENTOCINQUANTA?
Oggi una vittima di violenza (di qualsiasi tipo) è considerata tale, dalla maggior parte delle persone è tutelata, difesa, aiutata. Oggi la violenza è un reato.
Sessant'anni fa se venivi violentata te ne vergognavi. Era colpa tua, eri sporca. E di certo non lo raccontavi. A nessuno.
Figuriamoci parlarne in un film.
Figuriamoci parlarne in un film diretto da una donna.
Eppure, Ida Lupino ha sfornato una pagnotta che ancora oggi risulta indigesta.
La vittima in questione si chiama Ann. Finito il lavoro torna a casa, e per strada viene struprata. Incapace di sopportare il trauma e la vergogna, scappa e cambia identità. Si rifugia in un ranch, e cerca di rimettere in piedi i pezzi della sua vita.
Il centro della questione non è tanto lo stupro in sè, che non è mostrato, cosa di cui sono molto grata alla vecchiaia del film e alla signora Lupino, quanto piuttosto il modo in cui Ann reagisce. Il dolore non cambia, sessant'anni dopo. Ann non sa gestire una cicatrice così grande, e fa la cosa che appare più semplice: scappa.
Si allontana dagli sguardi di compassione, dalla finta comprensione, da quella strada che sarebbe stata costretta a ripercorrere ogni giorno uscita dal lavoro, da quel fidanzato che la ama comunque. Cambia perfino nome, come se alla nuova se stessa quell'evento drammatico non fosse mai avvenuto.
Ma non è così semplice, quando fuggi porti tutto con te.
E infatti, non appena un uomo prova a baciarla, lei va molto vicina ad ammazzarlo.
Sessant'anni fa questa era la realtà. Il numero di donne stuprate non era certo minore di quello attuale, ma non se ne poteva parlare a voce alta, era un argomento tabù. Ida Lupino ha centrato il punto, girando un film che pur sentendo il peso della sua età è assolutamente attuale.
Gli sguardi di chi non capisce la violenza ci sono ancora, il dolore è sempre lo stesso, l'offesa recata non è mutata. E questo rende la sua iniziativa coraggiosa ed intelligente.
Ho scelto questo film non a caso.
Sì, è inerente al tema della giornata, ovviamente, ed è in bianco e nero per portare avanti la mia iniziativa per il mese di novembre, quindi era perfetto.
Il motivo principale è la speranza.
La violenza sulle donne è una realtà, non ce ne siamo ancora liberati, e probabilmente gli stupri continueranno a violare la serenità delle persone. Ma abbiamo fatto notevoli passi avanti a livello di civiltà.
Oggi sappiamo cosa implica la violenza, oggi al fenomeno è data importanza, non si ha più paura di parlarne.
Oggi, io so che se dovesse accadermi qualcosa non sarebbe in nessun caso colpa mia.
Non lo sanno ancora tutte le donne, purtroppo, ma ci arriveremo.
Oggi abbiamo esempi come Lucia Annibali che ci insegnano che se dovessimo avere l'immensa sfortuna di incappare in un elemento violento, potremmo uscirne, a testa alta.
Abbiamo ancora tanta strada da fare, questo è poco ma sicuro. Siamo circondati da uomini violenti che si nascondono dietro visi rassicuranti. Le notizie non diminuiscono. Le donne continuano a morire perché rifiutano i partner. Quello che si chiede la locandina che ho postato sopra è un quesito ancora terribilmente attuale.
Ma stiamo andando nella giusta direzione, io ci voglio credere.
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