NO: Storia di uno Spot che Sconfisse un Regime

Da Dietrolequinte @DlqMagazine

Cristian Sciacca

Quando nel 1988 il popolo cileno ebbe la possibilità di rovesciare la dittatura di Augusto Pinochet, che per via di pressioni trasversali aveva concesso un referendum, i due schieramenti avevano a disposizione, per convincere l’elettorato, solo un messaggio televisivo di quindici minuti: proseguire per altri otto anni con il regime o cambiare il corso della storia e tornare alla democrazia? Il quarto film del giovane cileno Pablo Larraín (classe ’76), NO – I giorni dell’arcobaleno, racconta appunto la realizzazione dello spot dello schieramento del NO, un immenso calderone di idee e contraddizioni socio-politiche che deve necessariamente essere compresso in quello spazio temporale così angusto. L’organizzazione della campagna è affidata ad un giovane dirigente pubblicitario, un Gael García Bernal che dopo I diari della motocicletta, continua il tour della storia dell’America Latina: fra minacce e tentativi di sabotaggio (attuati dal suo antagonista, quell’Alfredo Castro attore feticcio di Larraín), René Saavedra dovrà dar voce ad un prepotente e liberatorio NO per interrompere 15 anni di violenze e repressioni.

NO è un film strutturato narrativamente su tre livelli: le peripezie per l’organizzazione dello spot, le vicende private del protagonista (separato e con un figlio a cui pensare) e sullo sfondo la transizione del Cile dalla dittatura alla democrazia. Pur avendo un’origine romanzata (molti dei suoi personaggi sono inventati) la sua sceneggiatura rinuncia al versante poetico, ma è al tempo stesso creativa e pragmatica, come il suo protagonista. René Saavedra capisce che non si deve mostrare quello che la gente sa già, non si possono solo esporre le cifre degli uccisi o dei desaparecidos, non ci si può solo affidare alla pars destruens: per entrare nella testa di chi vota, si deve giocare all’attacco, si deve far vedere quello che la gente non è e che vuole essere («Noi cileni siamo bassi, perché hai messo un uomo così alto?»). Le più sofisticate arti comunicative al servizio della propaganda: mostrare il Cile di domani come qualcosa da comprare, da desiderare e che è accessibile senza denaro ma solo con una matita. Un jingle e qualche gag studiata a tavolino, anche questo è necessario: venire a compromessi col mezzo, quindi con l’arte.

Grazie alla patina vintage applicata da Larraín, siamo completamente immersi nel Cile dell’88, nella sua atmosfera di cambiamento imminente, col timore che lascia via via spazio alla speranza: e come il logopedista Geoffrey Rush ne Il discorso del re, René Saavedra è l’uomo che prepara la festa, uno dei tanti che sta dietro le quinte della storia. Nella scena finale, il suo sguardo distaccato, rispetto al giubilo che gli sta intorno, è già proiettato in avanti, con la consapevolezza di chi sa che il compito più difficile, costruire, deve ancora arrivare. Ed è proprio sulle note finali della canzone scelta come simbolo della campagna (Chile, Chile) che arrivano tutte le emozioni che durante lo svolgimento erano rimaste nascoste in un angolino. Come a dire, non è solo la storia di uno spot, è soprattutto un fondamentale pezzo di storia di una nazione. Non fosse stato per il meraviglioso Amour, NO avrebbe probabilmente vinto l’Oscar come miglior film straniero a cui era candidato. Sarà per la prossima volta, il risultato è comunque da applausi.


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