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Noah

Creato il 10 aprile 2014 da Ussy77 @xunpugnodifilm

noah-la-locandina-italiana-del-film-298657Mistico Aronofsky. Dalla Genesi allo schermo con licenza artistica

L’arca di Aronofsky balla e per poco non affonda. Difatti Noah segue il canovaccio dei quattro capitoli della Genesi e mette in scena un kolossal biblico, che fonde misticismo e sangue e nel quale il regista si prende libertà narrative che fanno storcere il naso.

Dopo un breve (ma coloratissimo) prologo sull’inizio del mondo, si assiste all’uccisione di Lamech (padre di Noè) sotto gli occhi del figlio. Anni dopo Noè è sulle montagne con i figli (Sem e Cam) a procacciare cibo e a lodare la bellezza e l’armonia della natura e degli animali, creature di Dio prive di colpa. Diversamente gli uomini (la brutale, corrotta e malvagia stirpe di Caino) non si curano del mondo che sta intorno a loro e difatti Dio decide di punirli con un diluvio universale, che spazzerà via l’uomo dalla faccia della Terra. L’umanità scomparirà, ma Noè e la sua famiglia sopravvivranno.

Seppur la vicenda, raccontata da Aronofsky, sia fedele all’Antico Testamento (perlomeno fino al diluvio), Noah si dimostra una pellicola che rischia di ribaltarsi al primo scossone. Difatti il film ostenta un’intensa banalità nel raccontare la storia del discendente di Seth (fratello di Caino e Abele), utilizzando dei parametri visivi che non gli si addicono (quelli della pellicola apocalittica) e limitandosi a mettere in scena un carrozzone di effetti speciali, che sfocia (a tratti) nel genere fantasy e nel film d’azione. E sono proprio queste scelte visive (e narrative) a disturbare maggiormente e a non permettere a Noah di essere un prodotto ben più interessante.

Il regista (coadiuvato alla sceneggiatura da Ari Handel) lavora per simbolismi, ostenta un montaggio serrato e una fotografia desolante e arida, ma la narrazione (che procede per ellissi) è eccessivamente evocativa e pragmatica. Difatti tutte le sequenze di Noah possiedono un potere evocativo (e un intenso lavoro sui volti) e devono essere capaci di condensare senso e intenzioni sotterranee. E sotto questo punto di vista bisogna rendere merito al regista statunitense, ma ciò che appare meno convincente è la volontà di consegnare (in pillole) i dettami che stanno alla base del diluvio e della figura del patriarca Noè. Infatti passano in rassegna in modo evidente (e sottolineati con eccessiva forza) la pietà, il libero arbitrio, la misericordia, il peccato, il castigo, la brutalità dell’uomo e la corruzione del mondo. E se tutto ciò fosse passato attraverso una narrazione e un intreccio di dialoghi meno palese, banale, scontato, allora sicuramente staremmo parlando di una pellicola dall’introspezione mistica di grande levatura. Peccato che Noah ostenti il tutto in modo quasi pretenzioso, gettandolo in faccia allo spettatore incolume.

Volendo intessere una tela che si riconduce alla contemporaneità del mondo (corrotto e nel quale l’uomo è portatore di disequilibrio), Aronofsky esibisce l’armonia della natura, la non-colpa degli animali e la caducità dell’uomo, ma non solo: pone il dilemma della volontà divina. Lo spettatore non sente la voce del Creatore (Dio non viene mai nominato invano), rimbomba solo nella testa di Noè e Aronofsky con questo stratagemma insinua il germe del dubbio. Difatti (in particolare dopo il diluvio) assistiamo a una serie di azioni e di scelte (frutto della licenza narrativa del regista) che si presume siano la volontà di Dio. E invece il dubbio rimane insito in numerose sequenze, che permettono di comprendere la fallibilità dell’uomo o (più semplicemente) l’ossessione e la follia che tratteggiano il volto e la mente di un uomo, a cui è stato affidato un arduo compito, sicuramente più grande di sé.

Nonostante tutto Noah non passa inosservato, è un prodotto che rischia di accontentare tutti e nessuno, dallo spettatore tradizionale (che si aspetta un kolossal biblico fedele) a quello che spera di osservare un altro fulgido esempio del talento visionario e viscerale di Aronofsky. Entrambi possono rimanere delusi da una vicenda, che troppo spesso prende le sembianze del fantasy (l’introduzione di giganti di roccia tolkeniani, ovvero angeli caduti impietositi da Adamo) e che persuade solo parzialmente dal punto di vista visivo, con la ripetizione ossessiva e premonitrice di tre immagini cardine (il serpente tentatore, il frutto proibito e il sasso proteso verso l’alto usato per uccidere Abele). Purtroppo il risultato finale è una pellicola che fonde momenti intensi e strizzatine d’occhio al new age e che sfiora il kitsch (e le cadute di stile) troppo spesso per far finta di niente.

Uscita al cinema: 10 aprile 2014

Voto: **1/2


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