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Ammetto che quest’anno nonostante il mio pessimismo sul Nobel e lo sconforto più che ventennale per chi viene premiato, trovo un refolo di contentezza nel sapere che il premio è stato assegnato allo scrittore peruviano Mario Vargas Llosa. Contento non per la validità dell’assegnazione (se proprio si doveva premiare Llosa forse lo si doveva fare una quindicina di anni fa) ma perché finalmente non si potrà più dire che il Nobel non viene assegnato a scrittori di destra, politicamente conservatori, filo-americani e che gli accademici di Svezia sono prevenuti nei confronti di questa emerita schiera di parolai. Certo da anni si aspetta il Nobel al monumento della letteratura contemporanea: Philip Roth, ma anche scrittori come Amos Oz o Cormac Mc Carthy forse meritano il premio più di altri senza che vengano però presi in seria considerazione.
Per quest’anno però, come dicevo, va bene lo stesso, poiché è stato premiato uno degli scrittori più politici del Sudamerica giacché per chi non lo sapesse Llosa è stato persino candidato alle presidenziali in Perù come capo di una corrente di espressione liberista in contrasto con l’espressione socialista che ha poi preso piede in tutta l’America Latina. Sconfitto il liberista fustigatore della politica castrista, l’avverso compagno di Gabriel Garcia Marquez non trova meglio che espatriare in Spagna e prenderne la nazionalità. Allora non si capisce come la motivazione che sta alla base del premio oggi ricevuto “per la sua cartografia delle strutture del potere e per le acute immagini della resistenza, rivolta e sconfitta dell’individuo” possa conciliarsi con l’esperienza umana di questo “grande” scrittore.
Come al solito sono misteri del Nobel e degli Accademici di Svezia!
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