Arthur McDonald e Takaaki Kajita. Crediti: Queens University, Università di Tokyo
Il Premio Nobel per la Fisica 2015 è stato assegnato ai ricercatori Takaaki Kajita e Arthur B. McDonald per le loro scoperte sui neutrini, le elusive particelle che popolano l’universo. I neutrini furono teorizzati per la prima volta nel 1930 dal fisico austriaco Wolfgang Pauli e successivamente da Enrico Fermi, che ribattezzò così queste particelle. Fu poi il fisico italiano Bruno Pontecorvo, allievo di Fermi, a proporre, negli anni ’60 del secolo scorso, la possibilità che i neutrini non fossero ‘immutabili’ ma potessero in qualche modo trasformarsi. Gli studi condotti negli ultimi decenni da Kajita e McDonald hanno permesso per la prima volta di confermare questa ipotesi e che i neutrini possiedono una massa, seppure piccolissima: meno di 2 elettronvolt per la famiglia più ‘leggera’, quella elettronica. Meno cioè di due miliardesimi della massa del protone. Takaaki Kajita ha scoperto grazie all’esperimento Super-kamiokande che i neutrini generati come effetto dell’interazione dei raggi cosmici con gli atomi dell’atmosfera terrestre cambiano specie, ovvero come si dice in gergo tecnico ‘oscillano’.
Ad analoghe conclusioni perveniva nella sua attività di ricerca, in Canada, Arthur B. McDonald, che risolveva un altro dilemma storico sui neutrini, ovvero quelli provenienti dal Sole. Il loro flusso, rilevato dagli esperimenti, risultava infatti troppo basso rispetto a quanto previsto dalle teorie sui processi di fusione nucleare che avvengono nella nostra stella. McDonald e il suo team sono invece riusciti a dimostrare il fatto che i neutrini provenienti dal Sole non scomparivano nel percorso verso la Terra, ma assumevano un’identità diversa, mutando famiglia o ‘sapore’. L’oscillazione dei neutrini implica che queste particelle devono essere necessariamente dotate di massa, imponendo una revisione del Modello Standard che descrive le proprietà delle particelle elementari e delle forze fondamentali in Natura. Modello che invece prevedeva per i neutrini una massa nulla. Esperimenti sempre più accurati condotti negli ultimi anni, come OPERA ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’INFN (abbiamo parlato degli importanti risultati ottenuti su Media INAF, ad esempio in questo articolo o in quest’altro), stanno fornendo ulteriori dati per migliorare la nostra conoscenza su queste evanescenti particelle e le loro proprietà.
«E’ un risultato importante che ha implicazioni su tutte le scale, dalle più piccole della fisica nucleare alle più grandi, la struttura stessa del nostro Universo» commenta Enrico Cappellaro, astronomo dell’INAF presso l’Osservatorio Astronomico di Padova. «In effetti, nonostante siano le particelle più elusive, i neutrini sono un componente importante dell’Universo, molto più che la materia ordinaria di cui tutti abbiamo esperienza diretta. Per questo la scoperta è un tassello cruciale nel tentativo di comprendere la struttura e il contenuto del nostro Universo, che è l’obiettivo di molti dei nostri più ambiziosi esperimenti del prossimo decennio».
Per Fernando Ferroni, presidente dell’INFN, «La fisica delle particelle celebra un altro straordinario successo dopo quello del bosone di Higgs. Un riconoscimento a chi ha misurato che il flusso di neutrini atmosferici presentava una anomalia e suggeriva quindi che essi si trasformassero durante il percorso tra specie diverse e a chi sperimentalmente ha dimostrato che sommando su tutte le specie il conto tornava. Due esperimenti fondamentali (SuperKamiokande e SNO) che accompagnati da quelli realizzati ai laboratori del Gran Sasso dell’INFN (Borexino e Opera) hanno permesso di chiarire tutti gli aspetti delle oscillazioni di neutrino che possono avvenire solo se i neutrini sono massivi contrariamente a quanto veniva affermato dal Modello Standard. Una scoperta epocale dunque ma anche l’apertura a un intero campo di ricerca che vedrà’ protagonisti ancora tra gli altri i Laboratori del Gran Sasso impegnati a risolvere il dilemma sulla natura di questa particella come ipotizzato da Majorana».
Fonte: Media INAF | Scritto da Redazione Media Inaf