NOHA
Much loved | Un film di Nabil Ayouch
di Pietro Valgoi
Girato tra Francia e Marocco, presentato a Cannes alla “Quinzaine des Réalizateurs”, Much loved ha destato scandalo e disapprovazione in patria prim’ancora della sua uscita ufficiale. E questo non perché parla di prostituzione, tema già di per sé scottante e scomodo per quelle aree, ma perché smaschera in modo chiaro tutti gli ingranaggi consolidati che muovono la grande macchina sociale dell’industria del sesso. «…Chissà perché tutte le puttane del Marocco vengono a Marrakech?», si domanda Noha non senza una punta di cinico sarcasmo, e che sotto sotto si compiace d’esser diventata una vera professionista nel suo mestiere. Noha, ventottenne (esteticamente già donna, non più ragazza), divide l’appartamento con un gruppetto di colleghe, ed è un po’ la maitresse della squadra (per l’età e per l’esperienza). Il film descrive la banalità di queste vite stereotipate, tra droga, alcol, locali notturni e festini privati nelle ville dei ricchi sauditi. Ci sanno fare, sanno spennar bene il pollo di turno, ormai ne hanno ben chiare le psicologie spicciole e tutte uguali, ma l’imprevisto è sempre in agguato, e quest’imprevisto è sempre un cliente troppo violento o troppo ubriaco o, peggio ancora, troppo squattrinato.
Noha (come del resto tutte le altre) ha un disperato bisogno di denaro, per sé e per la sua famiglia d’origine (una madre e una sorella che per tirare avanti dipendono dal suo aiuto economico); sogna per sé e per loro una vita migliore, una casa più dignitosa, lontano dai quartieri popolari, ma il denaro messo da parte non è mai sufficiente. Anche le altre del gruppo vorrebbero una vita migliore – una sogna di vivere accanto al suo fidanzato, un’altra (che si scopre lesbica) sogna di raggiungere un fantomatico padre in Spagna, un’altra ancora è fuggita dalla provincia per cercar fortuna nella grande città – un salto di qualità, un riscatto, un affrancamento. Ayouch, con un linguaggio visivo efficace e moderatamente crudo, capace di mediare tra cronaca documentale e finzione narrativa, racconta uno spaccato di ordinaria amministrazione. L’allegoria, fin troppo dichiarata, è quella del potere che gerarchizza i rapporti fino a ridurli al vuoto relazionale, alla disumanità e alla pura mercificazione. Le donne sono costrette a vendere l’unica merce che gli uomini sono disposti a comprare. Il menage, antico come il mondo, è quello tra schiave e padroni, ma qui la considerazione si allarga necessariamente alla condizione della donna nel robusto e consolidato schema sociale marocchino.
Il bestiario maschile sguinzagliato da Ayouch è davvero laido e raccapricciante: una fauna di maschi ridicoli senz’arte né parte, uno più volgare e impotente dell’altro, incarnazioni di una cultura sessista e fallocratica (giustificata e fomentata dal solito cocktail religione-tradizione). Allo squallore non sfuggono le stesse prostitute, che sono il rovescio della medaglia dei loro carnefici. Discriminate per la loro condizione, a loro volta discriminano (e con che sfacciata veemenza!) altre categorie ai margini; sono tutte violentemente omofobe, compresa la lesbica (che si guarda bene dal confidarsi con le altre), ma che alla fine percepiamo forse come l’unico personaggio positivo e pulito del gruppo. Sullo sfondo la Marrakech delle anonime desolate periferie, contraltare di un’opulenza che scorre parallela ma invisibile. Le più suggestive immagini del film sono quelle che ritraggono i primi piani delle prostitute in macchina, il capo appoggiato al finestrino, e al di là dei vetri oscurati la notte, una notte maschile e nemica. Il film si apre con una tirata di cocaina e si chiude in riva al mare (sul finale il regista gioca, forse un po’ troppo ingenuamente, la carta della purificazione e della libertà). Una del gruppo, la provinciale, ha avuto da poche ore un aborto spontaneo, e Noha la rassicura con queste parole: «Senza un bambino la vita di una prostituta è più facile.» Difficile provare simpatia per queste sventurate, ma di sicuro tutto il peggio va alla controparte maschile, virile solo per sentito dire, infantile e irrisolta, frigida e feroce.
Noha, archetipo della prostituta, assomma in sé la speranza e la rassegnazione, il compiacimento e il disagio, l’arte e il mestiere, la dignità e il degrado. Much loved è, in ultima analisi, una riflessione fredda sul potere del denaro, e sulle logiche di sopraffazione che ne derivano; Ayouch elude il più possibile il sentimentalismo e lascia parlare soprattutto le contraddizioni che si agitano nei singoli personaggi.
Pietro Valgoi
Cover Amedit n. 25 – Dicembre 2015
“Célestine” by Iano
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Questo articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 25 – Dicembre 2015.
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