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Iniziamo con i meriti. "Noi credevamo" di Mario Martone è un film, senza dubbio, interessante. Il regista napoletano dà un inedito taglio alla storia del Risorgimento italiano, lontano da racconti mitici. C'è una giusta dose di invito alla riflessione. Soprattutto, da uomo del sud, Martone cerca di interrogarsi ed interrogare riguardo l'esperienza dell'Unità di Italia dal punto di vista del meridione e sulle varie posizioni-voci (repubblicani, monarchici, potere e popolo, nord e sud, "terroristi") del Risorgimento. Dalla sua concezione (i giovani "illuminati" cilentani), alla sua realizzazione (luci e ombre sul rapporto nord-sud, il brigantaggio). Il tutto, purtroppo, senza, approfondire quanto necessario (strano per un film che dura oltre tre ore, ma il taglio tv è evidente). Ma l'intenzione rimane ottima. La bravura di Martone sta proprio nel lasciare ampi spazi di riflessione allo spettatore che non viene soffocato da una visione della storia predefinita, ma viene invitato a ricercare spunti per soffermarsi in modo nuovo su un periodo di tempo che dura circa 40 anni.Tuttavia, ci sono pecche, non trascurabili per un film che, comunque, viene proiettato innazitutto al cinema (sarà poi portato in tv in vari episodi). Innanzitutto nella versione per le sale cinematografiche, la pellicola è ridotta di un 30-40 minuti a discapito, credo, soprattutto della parte iniziale del film che appare frettolosa e poco comprensibile. E' un peccato, perchè, nonostante sia giustificabile rendere più "appetibile" un film di lunga durata per lo spettatore, la resa cinematografica ne risente, a mio, avviso, notevolmente. Quando i "tagli" si diradano, il racconto fluisce con molta più facilità e la lunga durata si "digerisce" senza problemi.Ciò che non ho capito, e che critico, nella realizzazione, è la chiave estetica-narrativa scelta. Martone sa girare, ma forse non è il regista adatto a questo genere di pellicola. Ci sono delle scene che sembrano ritagliate da quadri dell'epoca. Altre hanno un uso della luce meraviglioso. Tuttavia ho notato un certo disordine di idee per tutto il resto. La storia è, infatti, quella di tre cilentani che animati da forte passione, non solo anti borbonica, decidono di confluire nella Giovine Italia. Parteciperanno a moti rivoluzionari, strategie andate male, le loro strade di divideranno. Incarneranno così tre anime dell'epoca risorgimentale. La prima è quella del figlio "progressista" del popolo che con grande spontaneità e pulizia d'animo sosterrà l'Unità d'Italia. Finirà male quasi subito, segno di quella scollatura evidente ora come allora tra l'aristocrazia (borghesia) illuminata e il popolo (la massa). Poi l'erede nobiliare che diventerà esponente di una corrente più fanatica e violenta del Risorgimento. Infine il repubblicano nudo e puro, convinto in modo assoluto dei propri ideali che, chiaramente, falliranno totalmente. Martone costruisce il film a capitoli, di cui, in un certo senso, sono protagonisti i tre personaggi. Intorno a loro la macrostoria ufficiale: il "vate" Mazzini, l'ambizioso Crispi, Carlo Poerio, aristocratici contro repubblicani...Scelta, quella dei vari capitoli, non so quanto azzeccata a livello cinematografico. E' un'opzione che risente molto del background teatrale di Martone: i capitoli non sono altro che atti di una stessa opera. La scelta porta alla realizzazione di un film di cui si perde il necessario spirito narrativo che, invece, vacilla. Gli episodi sono legati tra loro, ma manca un collante che vada oltre il racconto dei fatti. E' evidente che, dal titolo del film, è chiaro quale sia, nelle intenzioni, l'anima dell'opera. Ma questa non traspare mai con forza. Ed è un peccatoPer gran parte, poi,il film è ben ambientato: scenografie e costumi dell'epoca curati. All'improvviso Martone devia verso un paio di scelte di "rottura" che lasciano il tempo che trovano. Credo che nella ricostruzione storica si debba scegliere una strada certa, pena, appunto, la confusione di idee stilistiche che, a cinema, sono fondamentali. La scena del riposo all'ombra di uno scheletro di una costruzione abusiva in cemento armato sulle coste meridionali è d'impatto, ma viene sentito più come un vezzo, un capriccio simil geniale del regista, che come un'appropriata soluzione. Non sarei stata contraria ad una ricostruzione più coraggiosa che integrasse antico e moderno, ottocento e anni zero: sarebbe stata un'ottima idea per rappresentare visivamente e senza troppa retorica, il rapporto di causa ed effetto nella storia italiana, le origini di vari mali e la ripetizione di alcune annose questioni. Un po' un'operazione alla Marie Antoinette di Sofia Coppola, per intenderci: osare, per esempio, la rappresentazione ottocentesca in scenari contemporanei. Fermandosi, invece, ad un solo fotogramma ad effetto, viene a mancare questa forza. Cinematograficamente è, anche, girata molto male la parte ambientata a Parigi, in occasione del tentativo di attentato a Napoleone III, molto artefatto. Si intravedono, poi, neon e porte moderne, fili elettrici e volute scale metalliche. Perchè?Gli interpreti. Luigi Lo Cascio svolge il compito, ma non eccelle. Espressione seriosa-preoccupata-assorta da gran pensatore utopista per tutta la durata del film. Eccessivo sicuramente.Marginali Toni Servillo e Luca Zingaretti. Brava Francesca Inaudi. Eccezionale, invece, Valerio Binasco, il migliore.
ps. Nel 2010 c'è gente che "crede" ancora. Giusto riflettere sulle passioni che storicamente hanno portato alla costruzione della nostra realtà attuale, ma non guarderei con nostalgia. Ci sono persone in Italia che non si "accontentano", che cercano di remare contro, che vengono prese per folli e "utopiste", inconcludenti, ma che invece dovrebbero maggiormente essere ascoltate come portatrici di una versione diversa di presente e futuro. Spesso però sono additate in modo semplicistico con il fare snob che tanto si respira in certe "location".
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