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“Noi credevamo”

Creato il 20 novembre 2010 da Cinemaleo

“Noi credevamo”

2010: Noi credevamo di Mario Martone

“Noi credevamo”
“Noi credevamo”

Presentato all’ultima Mostra Veneziana, ha suscitato nella critica più di una perplessità:

“…dal complesso di storie, ricostruzioni e suggestioni finisce per promanare un che di didascalico e d’impettito, da fiction tv” (Il Mattino), “Un’opera che finisce con il disperdersi nella pur acuta e documentata ricostruzione” (MyMovies), “Un film in certi momenti quasi soffocato dal bisogno di un didatticismo troppo incombente, che toglie passione e anima ai personaggi” (Il Corriere della Sera), “Martone ha svolto un’esemplare funzione culturale. Peccato che lo stile e i costumi degli attori appartengano invece ai modi più convenzionali dei fotoromanzi televisivi” (La Stampa), “Troppo lungo, troppa tv: meglio a scuola che al cinema” (Il Fatto Quotidiano). 

Mario Martone è sicuramente uno dei migliori registi teatrali che le nostre scene possono vantare. Non ha trascurato il cinema mostrando anche in questo campo un notevole talento. Almeno suoi tre film (tra loro diversissimi) si possono definire autentici capolavori: Morte di un matematico napoletano, L’amore molesto, Teatro di guerra. Questa volta affronta il genere epico con la rievocazione di episodi salienti del nostro Risorgimento, genere su cui la nostra attuale cinematografia esita a cimentarsi (e di questo coraggio va dato atto al regista). Noi credevamo (la fonte di ispirazione è il romanzo omonimo di Anna Banti), pur essendo un lavoro meritevole da vari punti di vista, è però un’opera che non persuade appieno.

Il film è diviso in quattro capitoli che illustrano quattro tappe della lotta per l’indipendenza e l’unità (capitoli in cui non una cosa va bene, il film poteva benissimo intitolarsi Illusi delusi…), quattro capitoli che vivono di vita propria: l’unitarietà tra loro non è molto evidenziata, si possono vedere uno indipendentemente dall’altro (come le varie puntate di un serial televisivo, serial a cui il film è destinato)… Ma non è questo il difetto sostanziale di Noi credevamo. E’ un film che non emoziona né coinvolge. Un interessante, filologicamente perfetto, documentario storico-didattico da vedere… ma appunto solo come documentario. Cinematograficamente parlando appare un’operazione fallita. Si pensi a Il Gattopardo o a Senso o ad Allonsafan: storie personali, personaggi vivi e reali (umanamente ricchi) di cui seguiamo le vicende e che ci fanno comprendere, meglio di una enciclopedia, cosa sia stato l’Ottocento per la nostra penisola. Martone ha preferito l’approccio diretto con la Storia: l’impressione è di assistere a quattro lezioni universitarie, drammatizzate e sceneggiate: sicuramente importanti necessarie interessanti… ma dal grande schermo ci aspetteremmo qualcosa di diverso.

Tra gli innumerevoli personaggi, forse solo Cristina Belgioioso (nella buona interpretazione di Francesca Inaudi e Anna Bonaiuto) appare sufficientemente delineata e approfondita: gli altri (compreso il Mazzini del grande Toni Servillo) non hanno alcun spessore. Parlano continuamente e ininterrottamente, discutono e si accapigliano, agiscono e si sacrificano… Non appaiono però figure umanamente reali, ma simulacri atti a descrivere quanto è accaduto nel nostro passato (“gli attori funzionano come portaparola dell’autore, pedine di un teorema per immagini, figure sempre un tono «sopra» a un genuino afflato narrativo” scrive Valerio Caprara).

Peccato, perché l’intento di Martone di evidenziare gli ostacoli le difficoltà gli errori che segnarono la nostra nascita come Nazione è lodevole e ben chiarito (“una fase storica di cui il popolo, come spesso accade, ha finito con l’essere più spettatore o oggetto che non protagonista in grado di decidere del proprio futuro. Il Parlamento vuoto in cui un determinato e non conciliante Crispi pronuncia il suo discorso marca simbolicamente la morte di un’utopia”, Giancarlo Zappoli). Ma, si sa, le buone intenzioni non bastano a fare un buon film, e questo, complessivamente, non lo è: la lunga durata non è giustificata, lungaggini e tempi morti non sono evitati, non tutte le interpretazioni convincono, il ritmo lascia a desiderare, la compartecipazione dello spettatore latita.

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