Risorgimento
Non è facile scrivere poche righe per cercare di chiarire alcuni aspetti
equivoci sul Risorgimento, senza rischiare di cadere nella banalità.
Tuttavia, dopo aver visto il film di Mario Martone, “Noi credevamo”, ritengo
utili al dibattito in corso sulla “rivoluzione senza rivoluzionari”, secondo la definizione che diede Antonio Gramsci del Risorgimento, alcune osservazioni.
Nel film vengono in rilievo alcune figure di quegli anni ma poco si dice di Cavour.
Il conte piemontese non pensava all’ Italia così com’è adesso, ma ad un
territorio che fosse compreso fino al Lazio.
Pensava alla nostra penisola divisa in due entità statuali, una che facesse capo ai Savoia, l’altra ai Borboni, e li si poteva chiudere la faccenda.
Un’altra delle famose frasi post-risorgimentali è “l’Italia è fatta, adesso bisogna fare gli italiani”.Dopo 150 anni li stiamo ancora facendo. Com’era possibile, infatti, pensare ad uno Stato nuovo costituito per metà da un territorio che non era frazionato in stati, come il resto d’Italia, ma governato unitariamente, seppure da stati diversi, per quasi mille anni? Per Cavour l’unità d’Italia, grazie all’aiuto della Francia e alle mosse diplomatiche del ministro piemontese, era già raggiunta dopo la Seconda guerra d’Indipendenza.
A Garibaldi ed ai repubblicani non bastava. Sognavano l’intera penisola unita sotto un unico Stato. Sognavano la Repubblica, l’utopia dei democratici, ma venne la monarchia, inevitabilmente quella dei Savoia perché i Borboni, sebbene potevano entrare in competizione per lo stesso obiettivo, non lo fecero.
Ottenuto il favore degli inglesi, interessati ad esercitare un controllo, seppure parziale, sul mediterraneo e in concorrenza con i francesi, e contro tutti gli altri risorgimentali che se avessero potuto lo avrebbero fermato, manovrando abilmente la leva della propaganda, Giuseppe Garibaldi si lancia nella spedizione dei Mille e unisce la penisola. Un risultato pagato con un prezzo altissimo in termini di sacrificio di vite umane, specie quelle della povera gente del sud, prima e durante la spedizione e dopo l’unità italiana. La differenza sostanziale tra Cavour e Garibaldi è che il primo ottiene il suo risultato con la politica e la diplomazia, il secondo con il sangue degli italiani.
Tutta la polemica sulla piemontesizzaione, sulla necessità di piemontesizzare la penisola e tutto quello che viene dopo, la vis polemica e conflittuale contro lo Stato unitario ed, infine, quella ancora oggi attuale sull’autonomia siciliana, trovano la loro genesi storica in questo assunto, gli stati sulla penisola italiana potevano benissimo essere due. Per giustificare l’enorme forzatura garibaldina, per giustificare l’assenza di un vero popolo italiano e costruirlo, si diede fiato alla retorica risorgimentale della sconfitta del conquistatore e della guerra di liberazione del sud. Come se il sud e la Sicilia non fossero stati legittimamente governati da una monarchia che poteva ormai essere considerata italiana. I Borboni, seppure monarchi retrogradi, non avevano usurpato un bel niente. Tuttavia, da 150 anni ci ritroviamo con uno Stato unito che adesso non è male e questo si deve celebrare il 17 marzo prossimo. Soffiare sulle nebbie della storia però, può forse servire a chiarire e rendere visibili gli aspetti che dividono il sud dal nord. Ancora oggi al sud, i 150 anni dell’unità hanno un sapore un po’ amaro.