11 Settembre 2010, nono anniversario di quel terribile giorno che ha cambiato le condizioni di vita dell’occidente e la politica internazionale.
La prima domanda che mi sorge spontanea è questa: ha cambiato anche le condizioni di vita o di pensiero del mondo islamico? Purtroppo no, ed è su questo che occorre lavorare.
S’erge corale possente e categorica la condanna verso il pastore americano che ha minacciato di bruciare, oggi, in piazza, il Corano, in segno di protesta contro l’idea, a suo dire folle, di far costruire una moschea proprio là dove sono morti circa tremila persone falciate via in quel funesto lunedì da un atto terroristico di Al Qaida.
Anche la mia piccola voce si aggiunge a questo coro di condanna, per tutte le ovvie ragioni di buon senso e di eticità che si possono immaginare, leggere sui giornali di ogni colore politico, ascoltare dai pulpiti di ogni omelia religiosa che abbia a cuore le idee di tolleranza, di pace, di dialogo e di accettazione del diverso.
No, oggi non si brucierà nessun testo sacro, nessun simbolo di alcuna religione che ci assomiglia straordinariamente e che vive con il preciso scopo di volerci unire, noi credenti tutti, e non di volerci dividere.
E’ una certa politica passata (si spera), sono certi luoghi comuni, è purtroppo l’istinto bestiale di vendetta difficile da tenere sotto controllo e che non permette il perdono, è l’ignoranza e la mancanza di buona informazione, queste ed altre tutte le possibili varie cause che portano un pastore protestante che dovrebbe essere espressione di ecumenismo e di servizio all’altro, a fare certe assurde e pericolose affermazioni.
Il mondo islamico ci osserva; vorrei sentire da questo mondo alzarsi oggi una voce di pietà verso i nostri morti ammazzati, forse potrebbe servire a placare il disappunto di certi individui che purtroppo con le loro malsane parole ed altrettante possibili malsane azioni potrebbero solo peggiorare un equilibrio già di per sè precario ed instabile.
Io non sono di quelli che pensano che c’è una sola religione giusta, non più.
Non sono di quelli che dicono: “La mia religione vale di più della tua perché io tengo la verità mentre tu credi nella menzogna o in una verità parziale”, non più.
Non sono di quelli che inneggiano al proprio leader religioso come se fosse una super star da osannare sempre e comunque sopra ogni luogo e prima di ogni pensiero, non l’ho mai fatto.
Semplicemente credo, come credo che mia madre mi ha partorito e che sono figlia di mio padre di cui porto il nome e che sono ciò che sono perché qualcuno mi ha voluto pensato progettato così per uno scopo che fino alla fine della mia vita resterà a me parzialmente oscuro.
Ho pensato che potrei essere diversa, ho pensato che sarei potuta essere di un’altra religione se solo fossi nata altrove, ho visto dunque tutto il relativismo dell’appartenere ad un credo piuttosto che ad un altro, e questo ha confermato ai miei occhi e nel mio cuore la normalità dell’esistenza di più religioni, per quanto parlando di monoteismi si dovrebbe e si deve sottolineare che Dio rimale lo stesso, l’unico e l’assoluto.
Ordunque, io amo non il cristianesimo al quale appartengo per pura circostanza, ma amo Dio così come è concepito assolutissimamente sia nel cristianesimo come nell’ebraismo e come nell’islamismo.
Vorrei dire ed anzi dico agli atei che io rispetto, non solo rispetto, ma condivido, non solo condivido, ma ricerco, ritenendoli dei credenti mancati e ritenendoli dei fratelli identici e ritenendoli dei compagni di strada assolutissimamente preziosi, che Dio è il Dio soprattutto della loro assenza di fede, che Dio è qui per loro ancor prima che per me, esattamente come il buon Gesù che cercava la sua pecora smarrita e non quella già al sicuro nell’ovile.
Perdonatemi il parallelismo senz’altro indegno, non sto dicendo che basta dirsi cristiani per dirsi simili a Gesù, sarebbe un’eresia, sarebbe una bestemmia; sappiamo tutti che imitare l’esempio del Cristo è la cosa più difficile al mondo, ma sappiamo anche che ci sono migliaia di persone che senza tante cerimonie ed esitazioni operano bene in tal senso, e non mi riferisco al popolo degli affiliati, di quelli che vanno in chiesa, di quelli che rispettano e praticano i sacramenti (almeno nella forma pubblica andando ad operare poi in maniera affatto cristiana nella forma privata) , mi riferisco al popolo dei senza nome e senza storia e senza gloria che autenticamente fanno del loro meglio per potersi ritenere degnamente figli di Dio.
Lo so, già sento ergersi febbricitante la voce di chi mi ama e di chi non crede e di chi avrebbe molte molte e molte obiezioni da fare a tal proposito; sento la sua voce che mi dice: “Ti stai sbagliando, Dio non esiste, quelli che lo credono, per quanto meritevoli, si ingannano, non hanno mai avuto la capacità di attenersi alla pura logica, alla pura evidenza, che altrimenti dovrebbero da persone serie ed adulte quali siamo ammettere che Dio mai nessuno l’ha veduto, e che non serve quella statua sul monte Nebo a ricordarci che il Padre nostro lo puoi vedere solo di profilo e non in fronte, perché la verità è che Dio non c’è, e basta, e che ci dobbiamo comportare bene semplicemente perché ce lo dice la nostra coscienza, e basta, ossia la nostra condizione di uomini”
Amo immensamente gli atei, sono come dei bambini che dicono al padre: “Tu non mi hai voluto, ma io nemmeno ti voglio, che non ho bisogno di te almeno quanto tu non hai bisogno di me; anzi, visto che non mi hai voluto, dirò a tutti fino alla nausea che non esisti affinchè si abbiano a ravvedere dal loro errore e sappiano diventare responsabili di se stessi, e sappiano semplicemente dare a se stessi la sola colpa di tutti i loro errori”.
In altre parole io concepisco l’ateismo come l’altra faccia della fede, quella che deve ancora nascere, quella che forse nascerà, quella che forse non nascerà mai ma pur non mai nascendo, a suo modo vive, a suo modo opera, a suo modo semina bene.
E di pari passo vedo la fede come quella lampada accesa che può inavvertitamente spegnersi, che può accidentalmente inciampare e perdersi nel buio di una notte improvvisa.
Quanto è immenso, quanto è grande questo Dio davanti alle nostre misere parole, misere intenzioni, misere incomprensioni; noi siamo qui a contare i nostri morti, e come non doverlo fare? Io lo capisco che il dolore per chi non c’è più è immenso, lo capisco che un atto disgustoso e canaglia e codardo ha seminato morte, distruzione, sconvolgimento, disperazione…solo un folle non potrebbe capire tutto questo.
Ma il solo responsabile di questa immensa tragedia non è certo il Corano, non è certo l’Islam, che Dio ha voluto e vuole, che Dio ama come ama noi cristiani e come ama gli ebrei (mentre siamo noi musulmani cristiani ed ebrei a non amare abbastanza Dio); il solo nemico si chiama Terrorismo, ed è per non volere aggiungere terrore ad altro terrore che occorrono parole di pace e non di guerra, parole di distensione e non di stimolo all’odio.
Personalmente sono d’accordo alla costruzione di una moschea sul luogo dove prima s’ergevano le torri del World Trade Center di New York, proprio come segno di eccellente straordinaria e disarmante capacità di apertura; lo vedo un gesto estremamente strategico sul piano politico e storico, per quanto ammetto la difficoltà di questa impresa, la difficoltà degli addetti ai lavori di far comprendere le ragioni complesse e profonde di questa scelta.
Semmai non farei costruire solo una moschea ma anche accanto un tempio cristiano, una chiesa espressione del nostro mondo ferito ma disposto non dico a perdonare ( solo i singoli uomini possono farlo per sè), ma quantomeno a ricominciare.
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