Unione Sarda, 18 ottobre 2010 – «Da quando è morto Stieg Larsson, tutti quanti dobbiamo fare finta di essere Stieg Larsson». Con questa frase Håkan Nesser, giallista svedese tra i più apprezzati (tra i suoi numerosi libri, “Carambole”, e la serie del commissario Barbarotti, editi in Italia da Guanda), ha liquidato la questione sulla Larsson-mania che ha stregato l’Italia e il mondo intero. L’appuntamento era sabato sera in piazza San Cosimo a Cagliari nell’ambito della rassegna Tuttestorie. Il titolo della serata presentata da Loredana Lipperini, “Gli scandinavi lo fanno meglio?” Per l’occasione Nesser ha diviso il palco con un altro maestro del noir che viene dal nord, il norvegese Kjell Ola Dahl, autore che ha conosciuto il successo internazionale con romanzi come “Un piccolo anello d’oro”, “L’uomo in vetrina” e “Il quarto complice” (tutti pubblicati da Marsilio). «Quello di Larsson è un fenomeno mondiale» ha precisato Nesser: «Lui non appartiene completamente al genere, il suo stile è molto internazionale». Gli fa eco Dahl: «Per la verità i nostri libri sono usciti prima della trilogia “Millennium” di Larsson, la sua è stata un po’ una seconda ondata». Loredana Lipperini, scrittrice e tra i conduttori su Radiotre della fortunata trasmissione radiofonica Fahrenheit, chiede ai due se esistano elementi comuni nei gialli che si scrivono in Svezia e in Norvegia. È un Nesser caustico a rispondere: «Io vivo lontano dalla Svezia da cinque anni e mi capita spesso di sentire questa domanda. Una differenza sostanziale fra me e lui è che io scrivo in svedese e lui in norvegese». Il pubblico sorride e Dahl aggiunge: «I nostri, siano norvegesi o svedesi, sono polizieschi che fingono di essere tali, ma sono anche molto altro». Come il ricorrente porsi dalla parte del cattivo, suggerisce la conduttrice. «Mi affascina l’idea che chiunque, anche qualcuno tra voi del pubblico, in certe circostanze estreme possa diventare un assassino» replica Nesser. «Per un lettore di gialli è molto importante che l’assassino sia qualcuno in cui ci si possa immedesimare».Tra gli autori scandinavi e quelli italiani esiste una differenza sostanziale, fa notare Loredana Lipperini: nei gialli nordici c’è un’attenzione costante al tema dell’amore. «Un po’ mi sorprende che voi italiani abbiate problemi con l’amore» ironizza Nesser. «Ho fatto per lungo tempo l’insegnante e all’uscita dei miei libri gli studenti mi chiedevano sempre: “Di che parla?”. E io rispondevo: “Della vita, della morte e dell’amore”. E loro. “Ah be’, ottimo!. Questo per dire che non mi considero uno scrittore di polizieschi, ma uno scrittore e basta». E Dahl, spiazzando il pubblico, rincara la dose: «In verità l’omicidio, di per sé, non mi interessa. Le cose belle di cui scrivere sono altre».
Riguardo allo stupore che provano i lettori italiani di fronte alla descrizione della società scandinava, violenta e tetra, come quella che emerge nei loro romanzi, visione che contrasta con l’idea idilliaca che molti hanno dei paesi nordeuropei, Nesser confida: «In effetti stiamo esportando un’immagine della Svezia molto cupa. Ma questo succede solo nei libri, tranquilli».
Nell’incontro si parla dei personaggi seriali, quelli che ritornano continuamente in una successione di romanzi e che tendono a creare una sorta di fidelizzazione nel lettore. «Ho pensato molte volte di uccidere i miei personaggi seriali» confessa Dahl riferendosi alla coppia investigativa Gunnarstranda e Frølich che anima la sua serie di maggiore successo. «È abbastanza normale in questo genere avere un personaggio seriale» aggiunge Nesser (inventore, tra gli altri, del commissario di origini italiane Gunnar Barbarotti): «Nei polizieschi la trama occupa quasi tutto lo spazio disponibile, così occorrono molti libri per delineare al meglio i caratteri di un personaggio». Alla domanda che riguarda i rispettivi padri letterari, Dahl risponde citando Giorgio Scerbanenco, Balzac e lo spagnolo Manuel Vázquez Montalbán. Mentre Nesser, riconoscendo il suo debito verso il Calvino di “Se una notte d’inverno un viaggiatore”, ammette: «Una massima dice che i cattivi scrittori prendono in prestito, mentre quelli bravi rubano. Io rubo». Poi si lancia nel racconto esilarante del suo personalissimo metodo di scrittura: «I miei ritmi di lavoro sono variabili, a volte scrivo moltissimo, altre poco. L’ideale sarebbe passeggiare due ore col proprio cane e poi scrivere per cinque. Io lo faccio spesso, passeggiare col mio cane, intendo. È con lui che scambio le mie idee, e devo dire che il mio cane è sempre d’accordo con me».
Loredana Lipperini chiama sul palco Francesca Varotto, editor della narrativa straniera per Marsilio, che spiega al pubblico cosa richiedono gli editori perché una buona storia diventi un libro di successo: «Non essere mai autoreferenziali, attingere il meno possibile dalla propria autobiografia e saper inventare delle storie originali». Al che la conduttrice, prendendo spunto dalle 10 regole di scrittura di Elmore Leonard, rigira la domanda ai due autori nordici. È ancora Nesser: «Leggere mille libri prima di scriverne uno». Poi fa una pausa scenica, adocchia Dahl e si corregge: «Duemila». Il pubblico ride. «I norvegesi sono sempre più lenti degli svedesi».
ANDREA POMELLA