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"Noi siamo come siamo percepiti" / Note di lavoro in merito a equità e giustizia sociale

Creato il 20 settembre 2012 da Marianna06

 Teorie su equità e giustizia sociale  - (Franco Angeli Editore) a cura di Antonio Maturo

9788820401078g

 

L’obiettivo di questo testo, nato dalla collaborazione di più esperti della materia e con  la coordinazione del prof. Antonio Maturo,docente della cattedra di “Giustizia ed Equità sociale” dell’Università “Alma Mater” di Bologna, è quello, in una società complessa e in crisi di sviluppo a più latitudini come l’attuale, di indicare, attraverso la conoscenza concettuale di alcuni autori canonici nei differenti rami del sapere,  i concetti  idonei a fornire strumenti per percorsi, in merito appunto a “giustizia” ed “equità”, pari quasi a fantasmi shakespeariani, che dal piano teorico si traducano, in seguito, all’interno delle istituzioni pubbliche  e/o private, in esercizio concreto e rispondente  ai bisogni del territorio.

Parlare di giustizia e di equità sociale, per chi intende impostare una procedura-habitus che nella realtà le contempli in sé, significa innanzitutto avere chiare le idee  in materia di sicurezza, di benessere, di politica della differenza, di multiculturalismo, di riconoscimento, di “capabilities”, di violenza strutturale, di codici di sistema, di democrazia deliberativa e di virtù.

Balza evidente, allora, l’imprescindibilità da un percorso formativo continuato e continuativo (data l’ampiezza dei campi del sapere coinvolti)  da parte di tutti gli attori politici e sociali per il raggiungimento, inizialmente almeno parziale, della meta. Raggiungimento che poi, nel tempo e  per gradi, può e deve pervenire(si spera) all’efficienza e all’efficacia reale negli ambienti deputati.

Si devono fare i conti e si spazia, infatti, dal diritto alla filosofia, dalla politica alla sociologia, alla psicologia sociale, all’economia in senso lato.

Discipline che devono tutte essere tratte fuori dai manuali di studio e dai dibattiti accademici(nulla più di libresco ma vita vera) per essere effettivamente ruminate e fatte “bolo”, nutrimento dunque, sopratutto da chi è chiamato a esercitare determinate funzioni in società.

Ma non solo da costui. Anche dall’ultimo cittadino se la democrazia vuole essere un’autentica democrazia partecipata.

Una democrazia , in poche parole,“adulta”.

Lasciando da parte, per poi riprenderle magari  più avanti,  alcune delle trattazioni riguardanti il multiculturalismo, l’etica politica e lo svantaggio di sistema, che se non imbrigliato a sufficienza conduce senza scampo,quest’ultimo, a quella che si definisce violenza strutturale di difficile se non impossibile gestione, mi fermo adesso all’equità intesa come sviluppo delle “capabilities” in Amartya Sen,trattate nel libro di cui sopra dalla relazione del prof. Carmine Clemente.

Il nostro mondo abitato (lo sappiamo bene) è oggi, a tutti gli effetti,  quasi paragonabile a un pianeta di naufraghi , che si barcamenano tra flutti agitati di  molteplici e  differenti crisi, per uscire dalle quali pare sia difficilissimo, anche agli “esperti”, individuarne il bandolo.

Naufraghi, tuttavia, che non intendono rinunciare alla “ciambella” di salvataggio.

Poiché non s’intende accettare il naufragio e neanche rinunciare ad alcune sicurezze,conquistate a fatica in precedenza, che ci trascinerebbero senza scampo in un’ apartheid globale.

Ecco,allora, che Amartya Sen, il noto economista e premio Nobel, ci offre una ricetta.

Proprio come il medico al malato .

Il Nobel per l’economia, l’indiano Amartya Sen, da anni ormai docente nei più prestigiosi atenei degli USA, ci dice a chiare lettere che non possiamo e non dobbiamo, per nessuna ragione al mondo, rinunciare a quelle che si definiscono “priorità” democratiche, che altro non sono che l’esercizio di una “governance”  gestita tramite discussione.

Importanza della parola, dunque. Della parola libera e intelligente, che è prerogativa esclusiva dell’essere umano.

Ma perché questo sia, necessita assolutamente l’acquisizione o la riacquisizione del valore delle “human capabilities” di aristotelica memoria e cioè di una intelligente applicazione del principio di uguaglianza, che conduca dritto a quello che si chiama “buon governo” efficiente.

E si perviene al “buon governo” soltanto se, chi se ne è assunto il compito, tiene conto dei necessari parametri di sviluppo della vita umana. E quindi,ad esempio, della nutrizione, della salute, dell’educazione e degli aspetti relazionali.

La delicatezza del tema, in un periodo di crisi economico-finanziaria internazionale a tutto campo, è di una enorme delicatezza. E se poi si fa riferimento ai Paesi in via di sviluppo (specie l’Africa), quasi tutti sotto il tallone di schiaccianti e inumane dittature, lo è ancora di più.

Occorre, dal momento che Nord e Sud del mondo vivono oggi, e quasi ovunque, lo stesso clima di precarietà e d’incertezza, prestare da parte di tutti una maggiore attenzione al concetto di uguaglianza, che altro non è poi che l’equità in rapporto all’influenza esercitata da chi viene preposto a governare sulla vita delle persone.

Noi siamo, appunto, come siamo percepiti.

Ecco così che la questione etica, solo apparentemente di lieve peso in politica e in economia,  s’integra di diritto con tutte le altre discipline economiche e il “buon governo”, che ne scaturisce, è quello che non toglie certo  benefit ai cittadini meno abbienti come, al contrario, si verifica nella quasi totalità dei governi di nostra conoscenza.(Africa e dittature latino-americane in primis ma non solo esse).

Esso,il “buon governo” è  soltanto  per Amartya Sen quello che è  capace di declinare con  intelligenza l’uguaglianza nelle scelte politiche.

Quindi formazione degli attori politici e sociali in senso lato, in questo caso, diviene azione intelligente e rispettosa della giustizia sociale, e  quindi dell’equità, nei fatti.

Jurgen Habermas invece, a proposito di giustizia come “democrazia deliberativa”, il saggio è del prof. Emilio Cocco, si spinge, ancora più avanti di Amartya Sen nella sua analisi di “buon governo”.

Perché per Habermas è fondamentale che il cittadino eserciti all’interno del contesto sociale di appartenenza  sopratutto il diritto di elettore attivo con la sua partecipazione, cioè che abbia la libera possibilità di farsi ascoltare, frutto il suo “parlare” di un’informazione e di una formazione mirata e permanente.

Nessuna decisione, secondo il nostro, può essere presa se la decisione di una qualunque assemblea non risulti essere unanime. Prescindendo dalla lungaggine dei tempi.

E’ in teoria, bisogna dirlo, un’affascinante ipotesi, che ricorda un po’ l’antica Grecia. Nella realtà  però, almeno oggi, nelle nostre moderne assemblee, risulta essere  di difficile applicabilità.

E’ applicabile, ad esempio, anche da noi solo in quelle piccole. E con qualche limite.

E ancora qualcosa del genere si sperimenta politicamente, senza costituire problema, in alcuni Paesi dell’America Latina, dove le decisioni per cultura e tradizione non osteggiano i tempi lunghi.(continua...)

   a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

 

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