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Noi siamo i figli di Marcinelle

Creato il 11 agosto 2013 da Asinistra
Noi siamo i figli di Marcinelle È di pochi giorni fa il ricordo di Marcinelle in Belgio, dove l’8 agosto 1956 262 minatori, di cui 136 italiani perirono in miniera. Nel 1956 fra i 142.000 minatori impiegati, 63.000 erano stranieri e fra questi 44.000 erano italiani.
Erano gli anni delle valigie di cartone, erano gli anni che il sud Italia era la partenza e il nord un punto d’arrivo. Molti saranno i punti d’arrivo, perché sempre c’era chi stava più a sud degli altri e il lavoro , vero motore di quei flussi migratori, fu per anni il motore principale di quei movimenti di popolazioni, ed inesorabilmente era a nord. E’ di queste ore la tragedia di Catania dove 6 migranti hanno perso la vita in pochi metri d’acqua cercando di raggiungere la terraferma dopo una settimana per attraversare il mediterraneo in un viaggio dai connotati diversi da quelli dei migranti italiani, ma sempre inesorabilmente da sud verso il nord. Per molti la priorità che gli fa rischiare la vita in mezzo al mediterraneo, non è solo il miraggio del lavoro, ma il concreto distacco da zone di guerra o di grandi disordini sociali, dove il valore della vita umana è uguale o molto simile allo zero. Territori dove sono multinazionali del nord del mondo a governare le economie e sovvenzionare i signori della guerra locali perché tutelino gli interessi stranieri. Guerre o disordini indotte il più delle volte per il controllo delle risorse naturali di quei paesi, siano petrolio, gas o diamanti o uranio sono le peggiori pestilenze di questo inizio millennio per quei Paesi. Noi siamo i figli di Marcinelle Per queste ragioni non c’è una indignazione sterile per le vittime di Catania e di tutte le altre che quotidianamente anonimamente scompaiono più o meno vicino alle nostre coste, ma c’è una condivisione umana e politica per una emancipazione contro quelle che sono diventate le “regole del mercato”. Tolleranza zero, quindi, per beceri nazionalismi e per ogni forma di xenofobia.
Loris


OTTOBRE 1912: relazione dell’Ispettorato per l’Immigrazione al Congresso Americano sugli immigrati italiani negli Stati Uniti.
Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Non amano l’acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano non solo perché poco attraenti e selvatici ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro. I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali… …….Si privilegino i veneti e i lombardi, tardi di comprendonio e ignoranti ma disposti più di altri a lavorare. Si adattano ad abitazioni che gli americani rifiutano purché le famiglie rimangano unite e non contestano il salario. Gli altri, quelli ai quali è riferita gran parte di questa prima relazione, provengono dal sud dell’Italia. Vi invito a controllare i documenti di provenienza e a rimpatriare i più. La nostra sicurezza deve essere la prima preoccupazione.


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