«A fare del noir («nero», secondo la definizione che un critico francese diede nel 1946 a quel particolare tipo di opere letterarie caratterizzate da situazioni criminali e da un certo pessimismo di fondo) il genere più rappresentativo di questi nostri tempi cupi e malandati concorrono, con tutta evidenza, numerose istanze: analizzarle tutte, vista la complessità dell’argomento e la forte contrapposizione tra le diverse scuole di pensiero, risulterebbe compito assai arduo e periglioso; per valutarne almeno a naso l’importanza basterà allora in questa sede provare a riflettere sulla facilità con cui, attraverso una griglia stilistica rodata e tutto sommato ferrea, spesso il noir (in tutte le sue molteplici e sfaccettate declinazioni) sia riuscito a cavallo tra gli ultimi due secoli - meglio di qualsiasi reportage giornalistico approfondito o blasonato studio sociologico - a fotografare senza pregiudizi porzioni consistenti e sconosciute di degrado contemporaneo, frammenti vividi e spietati di quella realtà asfissiante in cui l’occidente consuma quotidianamente la propria esistenza, una dimensione che un buon romanzo di genere non di rado ci ha aiutato a riconoscere chiamando semplicemente le cose col loro nome, senza fronzoli, senza infingimenti, al di là di qualsiasi retorica politica: uno scarto, questo, che alla Letteratura tout court, quella con la elle maiuscola che affolla le biblioteche serie, riesce sempre più di rado e solo in presenza di talenti davvero eccezionali.
Una consuetudine ormai tacitamente codificata tra appassionati di narrativa «da consumo» vuole invece che a un buon romanzo noir non si chieda altro che picchi duro, che vada a fondo senza paura imbastendo trame credibili, ritmate e il più possibile oneste: ed è in questo semplice, lineare frangente che s’insinua proditoriamente la capacità del narratore di sporcarsi o meno le mani. Quando un Joe R. Lansdale, un Jean-Patrick Manchette o un Raymond Chandler intingono la loro penna nel lato oscuro dell’animo umano per raccontarci storie dense di pistolettate, donne fatali e loosers disposti a vender cara la pelle, state certi che ci ritroveremo a fare i conti con le zone d’ombra che regolano anche i costrutti sociali che sorreggono le nostre vite, quelle di chi ci circonda, dei nostri affetti più cari, e forse, in definitiva, col lato più oscuro e truce di noi stessi.
Certo, non è detto che il gioco riesca sempre: gli scaffali delle librerie dell’intero globo terracqueo pullulano di giallacci dozzinali in cui l’unico perno della vicenda è costituito dalla mera scoperta del colpevole di turno, pura narrativa d’asporto (pulp, si chiamava una volta, dalla carta d’infima qualità su cui veniva stampata) da consumare in macchina mentre si aspetta la fidanzata, oppure in ascensore, a scuola, addirittura nel bagno. Ma quando un noirista davvero dotato infila il corridoio giusto, per chi legge le sue pagine è come finire sull’ottovolante: provate a immergervi in piccoli gioielli inestimabili del filone come L’assassino che è in me del grande Jim Thompson, oppure Il postino suona sempre due volte di sua maestà James Cain. Sono letture dalle quali non si esce immuni. Ti cambiano i connotati (spirituali) al pari di un montante piantato in mezzo alla faccia. Eppure, in fondo, trattasi “solo” di noir.» [continua]
(estratto dalla prefazione alla raccolta Nero di Puglia, antologia dei migliori racconti del concorso omonimo in cui il titolare del blog era presidente di giuria)
Magazine Cultura
«A fare del noir («nero», secondo la definizione che un critico francese diede nel 1946 a quel particolare tipo di opere letterarie caratterizzate da situazioni criminali e da un certo pessimismo di fondo) il genere più rappresentativo di questi nostri tempi cupi e malandati concorrono, con tutta evidenza, numerose istanze: analizzarle tutte, vista la complessità dell’argomento e la forte contrapposizione tra le diverse scuole di pensiero, risulterebbe compito assai arduo e periglioso; per valutarne almeno a naso l’importanza basterà allora in questa sede provare a riflettere sulla facilità con cui, attraverso una griglia stilistica rodata e tutto sommato ferrea, spesso il noir (in tutte le sue molteplici e sfaccettate declinazioni) sia riuscito a cavallo tra gli ultimi due secoli - meglio di qualsiasi reportage giornalistico approfondito o blasonato studio sociologico - a fotografare senza pregiudizi porzioni consistenti e sconosciute di degrado contemporaneo, frammenti vividi e spietati di quella realtà asfissiante in cui l’occidente consuma quotidianamente la propria esistenza, una dimensione che un buon romanzo di genere non di rado ci ha aiutato a riconoscere chiamando semplicemente le cose col loro nome, senza fronzoli, senza infingimenti, al di là di qualsiasi retorica politica: uno scarto, questo, che alla Letteratura tout court, quella con la elle maiuscola che affolla le biblioteche serie, riesce sempre più di rado e solo in presenza di talenti davvero eccezionali.
Una consuetudine ormai tacitamente codificata tra appassionati di narrativa «da consumo» vuole invece che a un buon romanzo noir non si chieda altro che picchi duro, che vada a fondo senza paura imbastendo trame credibili, ritmate e il più possibile oneste: ed è in questo semplice, lineare frangente che s’insinua proditoriamente la capacità del narratore di sporcarsi o meno le mani. Quando un Joe R. Lansdale, un Jean-Patrick Manchette o un Raymond Chandler intingono la loro penna nel lato oscuro dell’animo umano per raccontarci storie dense di pistolettate, donne fatali e loosers disposti a vender cara la pelle, state certi che ci ritroveremo a fare i conti con le zone d’ombra che regolano anche i costrutti sociali che sorreggono le nostre vite, quelle di chi ci circonda, dei nostri affetti più cari, e forse, in definitiva, col lato più oscuro e truce di noi stessi.
Certo, non è detto che il gioco riesca sempre: gli scaffali delle librerie dell’intero globo terracqueo pullulano di giallacci dozzinali in cui l’unico perno della vicenda è costituito dalla mera scoperta del colpevole di turno, pura narrativa d’asporto (pulp, si chiamava una volta, dalla carta d’infima qualità su cui veniva stampata) da consumare in macchina mentre si aspetta la fidanzata, oppure in ascensore, a scuola, addirittura nel bagno. Ma quando un noirista davvero dotato infila il corridoio giusto, per chi legge le sue pagine è come finire sull’ottovolante: provate a immergervi in piccoli gioielli inestimabili del filone come L’assassino che è in me del grande Jim Thompson, oppure Il postino suona sempre due volte di sua maestà James Cain. Sono letture dalle quali non si esce immuni. Ti cambiano i connotati (spirituali) al pari di un montante piantato in mezzo alla faccia. Eppure, in fondo, trattasi “solo” di noir.» [continua]
(estratto dalla prefazione alla raccolta Nero di Puglia, antologia dei migliori racconti del concorso omonimo in cui il titolare del blog era presidente di giuria)
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