Quando conosco una persona, faccio molta attenzione a ricordarmi il suo nome.
Trovo che nel nome sia condensata l’essenza di chi mi sta di fronte.
Il nome di una persona è sacro.
Se mi guardo allo specchio, ci vedo il mio nome.
Me lo leggo negli occhi, nei capelli, dappertutto.
E’ anche un nome facile, il mio: sono solo sei lettere.
E allora non capisco perché, dopo averlo ripetuto per mesi, mi si chiede ancora come mi chiamo.
Come se il mio nome fosse solo un dettaglio.
Come se il mio nome non avesse importanza.
Come se io non avessi importanza.
Negli ultimi tempi mi guardo attorno.
Rifletto.
Chi vive di musica, chi dovrebbe avere (e magari è convinto di avere) una sensibilità più sottile e amplificata rispetto alla norma, è in realtà un grandissimo pallone gonfiato pieno di sé.
Detta con le parole dell’uomo della strada, un grandissimo stronzo.