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Fincher prende la strada della compattezza e diventa il drammaturgo ad uso e consumo del fenomeno "social network", anticipando la copertina del Times che fa di Mark Zuckenberg il personaggio più importante dell'anno. Facebook diventa una storia d'amicizia, di ribellione, di giustizia, quella ufficiale, di genialità, ma anche una riflessione sull'agire umano, senza dimenticare l'ambientazione universitaria, e l'importanza di acquisire un proprio ruolo sociale. Jesse Eisenberg è più nerd di Zuckenberg, ottimo cast, e colonna sonora perfetta firmata Trent Reznor. "The social Network" è uno spot, sotto certi punti di vista, ma Fincher ne fa un film spinoso e di rara complessità corale, non dimentico di sfumare i personaggi e introdurre un'aria thriller che è tipica della sua produzione. E' il candidato favorito agli oscar 2011.
Ben Affleck ritorna e fa bingo con una crime-story orientata al mondo "robbery", di vecchia fattura. Ne fa, da abile regista e direttore d'attori, una pellicola che unisce ad una dose marcata di sentimentalismo una solidità narrativa e interpretativa non comune. Offre a Jeremy Reener il secondo lo della vita, presenta al grande pubblico cinematografico John Hamm e pone le basi per la carriera di Blake Lively. E se Rebecca Hall è l'inglese più in voga nella Mecca del cinema americano, deve dire grazie a Ben, che è il protagonista, ma si fa da parte, come un gran regista, per non occultare i suoi attori. "The Town" è puro cinema di intrattenimento, che non dimentica, per una sola sequenza, la sua necessità di essere un film di qualità. E Affleck ne esce con una vittoria senza limiti. Tanto che si attende la nuova prova con ansia.
"Rabbit Hole" è il film di Nicole Kidman. Della sua rinascita, ma anche del suo stile recitativo. Più che del regista John Cameron Mitchell, il film risente in gran parte dell'algidità espressiva di Nicole, capace di dominare la scena e di espandere ad ogni altra componente cinematografica il suo stile, appunto, caratterizzato da un'implosione interiore piuttosto che da un'esagerazione che può debordare. E così il film è un ritratto indie, molto forte ma senza lacrimoni da melò, e con gli attori coprotagonisti, tra cui un bravo Aaron Eckart, che si misurano con il dramma intimo, senza gigionate e senza istrionismi che vadano oltre la dimensione minimalista, ottica vincente di un film importante per tutti coloro che vi hanno partecipato e che vede la Kidman in veste di produttrice.
"Greenberg" fa parte della categoria dei film ibridi. E l'ibridismo, il tono malinconico, la sospensione temporale, il tema del ritorno, le complicazioni patologiche si uniscono nell'identificarsi nel personaggio principe. Se "Rabbit hole" è il film di nicole Kidman, "Greenberg" è il film di Ben Stiller, comico stanco della becera comicità e impegnato in un percorso difficile di trasformazione. Stiller riesce nell'intento, e mostre doti inattese, affini a Zack Braff, ma più adulte. E ci fa amare alla follia la coprotagonista, Greta Gerwig, che sta perfettamente al mondo indie e supera Zooey Deschanel in bravura interpretativa. Dirige Noah Baumbach e la mano è tutt'altro che incolore.
"Please Give" è un film miracoloso, una boccata d'aria indie nel panorama Hollywoodiano ed è soprattutto uno sguardo femminile (della regista Nicole Holofcener) sulle ambivalenze, difficoltà e complessità dei rapporti famigliari e di vicinato. Le storie di nuclei famigliari si intrecciano tra loro, e l'aria di commedia è sfuggente quanto il dramma. Ancora una volta una pluralità di storie, una scrittura meticolosa e originale e un cast eccellente, giustamente premiato in toto. Rebecca Hall e Amanda Peet si dividono la parte della sorella buona e cattiva, ma il finale attenua un pò tutto. Dall'altra Catherine Keener e Oliver Platt sembrano una famiglia perfetta. Intimo e brillante, ma anche riflessivo e delicato. Un piccolo gran film.
L'indipendente va, e colpisce anche un altro regista particolare e non etichettabile, Sam Mendes. La produzione è vecchia, il film è del 2009, ma esce in sala in Italia solo questo weekend. "Away we go", da noi diventato "American Life" è un film dallo stile personalissimo e un compendio on the road sulle difficoltà di una coppia in attesa del primo figlio. E' un film altamente controverso nell'analisi dei suoi personaggi e rappresenta una società pazza, con dei personaggi-caratteri (come la figlia dei fiori Maggie Gyllenhall) che colpiscono per il loro carattere alternativao e la propria eccentricità, che sfiora il patologico o il no-sense. La vera sorpresa del film sta nella normalità e nell'empatia di Maya Rudolph, a cui aggiungere la sindrome da nerd-bambinone di John Krasinski. Mendes mette su un film vivo.
Ennesima pellicola indie di due fratelli da tener d'occhio in futuro, i Duplass, che uniscono spirito originale e qualche dose di politicamente scorretto. Riescono a mettere su una commedia che sembra andar bene per un'analisi freudiana, e, in realtà approccia a problemi ben più profondi, come si evince dal gusto agrodolce del finale. Recitata benissimo da un trio perfetto, con Marisa Tomei ormai consacrata ai ruoli alternativi, senza esagerare, con un John C. Reilly corposo e soprattutto con Johan Hill che mostra una duttilità interiore molto difficile da notare nel genere comedy a cui è abbonato (in realtà è una sua peculiarità). C'è Catherine Keener e forse ha un ruolo leggermente più riuscito di "Please Give".
"Scott Pilgrim" è una genialata. Edgar Wright un genietto. Qualcosa non quadra, ma il bello è che non quadra già per principio. Il tripudio dell'imperfezione, dell'esagerazione, della nerdaggine, del no-sense, della citazione, del geek che è dentro di noi. Un cast giovanile, con Michael Cera chiamato a dividersi tra "Youth in Revolt"e questa pellicola, due facce (surreali) della stessa medaglia. C'è Kieran Kyle Culkin e anche Anne Kendrick.
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