Magazine Diario personale

Non andare coi cantautori, che poi finisci nelle canzoni

Da Lazitellaacida
Molti di voi non lo sapranno ma questa è una citazione di tutto rispetto. A me l'ha detta tempo fa uno scrittore, indovinate perché. E' di un cantautore (Flavio Giurato) che vuole mettere in guardia una dolce fanciulla dal fatto che no, non puoi pestare merde a sproposito su chicchessia senza poi aspettarti di non venire sputtanata a destra e a manca nelle canzoni (o per lo meno questo è quello che mi immagino visto che non l'ho ascoltata). Fortunatamente (per le ex fidanzate del signor Giurato) non ha avuto poi tutto questo successo di cui preoccuparsi, ma nel caso delle blogger il rischio merdone è sempre dietro l'angolo. Insomma con la presente ci tengo a scusarmi (?) se con l'ultimo post ho ferito la sensibilità di talune persone (due), la mia intenzione era quella di riprendere in chiave ironica non sto di certo a spiegarla perché fa tristezza. Sono certa che per l'ennesima volta qualcuno ha pensato “ecco vedi 'sta zitella, non tromba mai, per quello si fa sempre i cazzi degli altri”. Io dico solo che in linea generale è meglio essere stato citato nel post dei Migliori Limoni Evah piuttosto che in quello che segue. Di quella volta in cui sono uscita con uno e per fortuna mi sono portata il Bancomat C'è questo ragazzo che mi chiede di uscire e mi propone un grande classico milanese, il Blue Note.
Per chi non lo sapesse il Blue Note è uno dei locali (jazz) storici di Milano e fa parte di quella lista di cose che se vivi a Milano devi fare almeno una volta nella vita (tipo girare il tallone sulle palle del toro in Galleria Vittorio Emanuele, cercare parcheggio in zona Sempione e comprarsi uno di quelle raccolte di favole africane da un extracomunitario davanti al Foot Locker). Mi è sembrata un'ottima idea soprattutto per una neofita del jazz come me, che tutto quello che so sull'argomento l'ho imparato solo guardando Chicago.
Lui mi viene a prendere a casa e una volta scesa in strada noto che non c'è nessuna macchina alle sue spalle. Nessun taxi. Nemmeno la bici. Un carretto, un risciò, un pedalò. Niente. Andiamo in metro, dobbiamo scendere in Garibaldi e poi fare un pezzo a piedi”. Ora, io non vi sto a spiegare che era un freddo giovedì di gennaio del 2008. Non vi sto a spiegare nemmeno che indossavo delle decolletè con tacco 12. E nemmeno che indossavo un abito in modal di Vivienne Westwood della consistenza della carta da forno. No, non ve lo dico.
Perché io, quando lui mi ha detto “un pezzo a piedi” ho pensato che fossero veramente venti, trenta foss'anche cinquanta metri. Un kilometro e duecento metri. Sono arrivata all'ingresso del Blue Note con un principio di assideramento e il moccio al naso. All'entrata il cameriere ci chiede se vogliamo cenare e io, notando in lui un esitazione che ho scambiato per galanteria nel volermi farmi rispondere per prima, ho detto SI. Ci fanno accomodare in un tavolo vicino ad Enzo Iacchetti, io mi sento subito molto importante, come se fossi una a cui interessi veramente la musica jazz e no, non sia per niente colpita dal fatto che ci sia un PEZZO DI TELEVISIONE SEDUTO ALLE MIE SPALLE. Arrivano i menu e scelgo un secondo di carne, non ricordo nemmeno quale ma ricordo di essere rimasta colpita dalla scelta che fece lui: un club sandwich. Di sera. Al Blue Note. Perché non un kebab, allora? Insomma io molto elegantemente consumo la mia cena mentre mi ritrovo davanti un vero e proprio assatanato di musica jazz, o per lo meno di questa Sarah Jane Qualcosa, che non si è risparmiato in applausi e tifoseria manco fossimo stati a San Siro. Io, profondamente turbata da qualsiasi Cosa emetta un rumore, sono rimasta girata di ¾ per l'intera durata del concerto, molto imbarazzata dal calore partecipativo del mio cavaliere.
Finisce il concerto, il cameriere porta il conto.
Io, molto garbatamente, mi volto verso il palco come se in quel momento fosse scesa la Madonna ad improvvisare una macarena e non potessi assolutamente perdermela. Quando, con la coda dell'occhio vedo il cameriere andarsene, riporto l'attenzione verso il mio cavaliere per scambiare qualche altra parola ma non appena lo vedo tornare oplà eccomi di nuovo a guardare ALTROVE sul palco. Visto che il cameriere non accennava ad andarsene vengo costretta ad essere testimone della magra figura del mio accompagnatore al quale Non Funzionava La Carta. Certo. Bhè può capitare, no? Massì infatti, poverino. Magari si è smagnetizzata, che ne sai. E infatti, che ne so. Io PAGO. Facciamo per uscire, siamo nel mezzo del quartiere Isola, a me girano anche un po' non solo per aver pagato ma anche e soprattutto perché ero stata seduta tre ore con il capo ultrà di questa Sarah Jane Qualcosa che non aveva fatto altro che vociare, urlare e battere le mani che nemmeno io al concerto dei Take That. Mi chiede se voglio andare a bere qualcosa, dico sì, penso “ah ok allora non è che non ha soldi, è stato solo sfigato che il POS non ha funzionato”, perché altrimenti NON ME LO CHIEDEREBBE. Entriamo nel bar affianco, ordino il mio drink, lui ordina il suo, il barista chiede LI SORDI, lui porge la sua insignificante carta. Non funziona”. Lui abbozza qualche scusa, dice “ma sono certo che i soldi ce li ho” - “maffigurati, stai tranquillo. Veramente. NON TI PREOCCUPARE”. Ma tu guarda il caso, in due locali su due la tua carta non funziona. Nessun problema, pago io caro, massì d'altra parte io non ho nemmeno 25 anni e prendo 600 Euro al mese quindi figurati se non ho i soldi per pagarti questa sciocchezza. Usciamo dal bar, ringrazio dio che sia finita, sì sì andiamo a casa che domani devo andare al lavoro: “prendiamo la metro?”. Starai mica scherzando? No amico, io la metro a quest'ora non la prendo. Io mi chiamo un taxi. Lui monta sul taxi insieme a me e a qualche metro da casa mia gli dico “senti prendi questi 20 euro per il taxi, non puoi mica andare a piedi”. Lui rifiuta e scende con me. Sul portone tenta il bungee-jumping e prova il Primo Bacio in modalità standard. Io lo schivo con una maestria che sembrava non avessi fatto altro nella mia vita. Lui, speranzoso, mi dice “ci sentiamo domani”. Io chiudo il portone alle mie spalle, “credeghe”. La mattina seguente ricevo una sua mail, peccato non averla conservata, che diceva: Buongiorno Principessa, Grazie per la bella serata, mi sono veramente divertito tanto. Ho controllato stamattina ed ero proprio rimasto al verde, vabbhè poco male.. rimedierò la prossima volta! Anzi, ti va se ci vediamo sabato?” La. Prossima. Volta. Inutile che ve lo dica, sta ancora aspettando.
Per quella manciata di uomini etero che passano di qua sia ben chiaro che il problema non è stato il fatto che lui abbia fatto serata sulle spalle della suddetta Principessa, quanto il fatto che sia stato lui ad organizzare la serata, a chiedermi di uscire e a prenotare i biglietti del concerto senza sapere che poi sarebbe uscito senza un soldo. Insomma, cosa sperava? Che mi portassi una borraccia di Martini da casa? Che per me fosse un piacere fare la Stramilano sui tacchi all'una di notte in Porta Garibaldi? Fatti prestare una carta, chiedi un prestito ai tuoi genitori, PAGA CON I BUONI PASTO però cazzo, il barbùn NO. Quella volta che dovevo andare al ballo di Natale in Accademia e diventare una Principessa Lui è uno conosciuto al Paesello, nell'avanti cristo della mia vita prima di trasferirmi nella Città. E' un militare, con tutto quello che vuol dire uscire con un militare in una dimensione piccola come quella del mio Paesello. Non so da voi ma da me i militari vanno più per quantità che qualità quindi non è che avessi mai prestato poi così tanta attenzione al suddetto. Se non fosse che questo tizio era veramente carino. Carino nel senso: alto, terrone (salentino, lu meglio), con due occhi azzurri che parevano due fanali. E pure ufficiale. Che non vuol dire niente per me ma suonava bene sulle partecipazioni. Insomma nel mentre che io mi trasferisco a Milano lui viene trasferito a Modena, a fare bla bla bla e diventare Capitano. Ussignur, CAPITANO! L'idea che stessi frequentando uno che potesse anche solo avvicinarsi al Prestigio Sociale di uno come il Capitan Findus mi faceva tremare le ginocchia. Ma tant'è, lui era Ufficiale di Cavalleria, pure. Il meglio del meglio per una Principessa, no? Dopo esserci visti una volta a Milano lui mi invita a Modena, in una casa che aveva la moquette a terra e sulla quale nessuno aveva passato l'aspirapolvere almeno dal 1972. Eppure non trovo parole per descrivere quanto figa io mi sia sentita a passeggiare per il centro, mano nella mano con questo, con i cadetti in uniforme che erano COSTRETTI a fargli il saluto militare. Ah, quanto gongolavo a sentirmi LA MOGLIE DEL CAPO! Ah, quanto gongolavo a sentirmi FIRST LADY alla Casa Bianca! Lui, perfettamente a suo agio nel salutare questi ragazzini e io, che mi esercitavo con il waving britannico da principessa. In un bellissimo bar del centro il Capitano (quella volta, ancora Tenente ma vabbhé ci piace ricordarlo così) mi dice che dopo qualche settimana si sarebbe tenuto il ballo di Natale dell'Accademia. Una cosa che fanno ogni anno, ci sono tutti i ragazzi, si fa festa.....” - “...” - “Dovrebbe essere intorno al 19, potresti venire.. non so ancora se devo mettere l'alta uniforme”. A L T A   U N I F O R M E Il mio cuore di zitella esplode ed implode in un istante lunghissimo in cui mi immagino varcare l'ingresso dell'accademia con uno di quegli abiti luuuunghi, di quelli che ti prestano gli uffici stampa, di quelli con i corsetti, lo strascico, ma no, noi siamo gente semplice, quelli che sono eleganti, di classe e i capelli raccolti, oddio dovrò farmi fare un acconciatura, le scarpe poi, ma balleremo il valzer, è obbligatorio l'abito lungo vero, non è che poi lo metto solo io, ma si può mettere il nero, ma quanto tempo ho perché magari sai, mia madre è sarta, potrei farglielo fare a lei, ma di che colore è la tua uniforme? Certo che ci vengo, mi sembra un'idea carina”. Inutile dirvi che in quelle settimane prima del Ballo è successo un po' di tutto, io lo cercavo, lui non rispondeva, lui mi chiamava, io mi negavo. Cose così, normali per essere una mia storia. Fino a che mi rendo conto che manca una settimana al Ballo. Lo chiamo, lui fa il vago. Per me, in una situazione normale, se fai così sei già morto. Ma qui, NO. Lo richiamo, dice che deve andare a prendere un suo collega ALTROVE NEL MONDO il giorno del ballo. Io gli dico “ma minchia non ci puoi mandare qualcun altro?”. Lui mi dice “è il mio lavoro! Devo farlo e basta!”. Io gli rispondo “ma che minchia di lavoro è? Ma questo non può tornare da solo?” Lui mi risponde “si vabbhè, ciao”. Uno così, anche solo per il fatto di essere passato alla storia come quello che mi fece notare di avere I PELI SULLE BRACCIA con un ben poco galante “ma che c'hai li? Un maglione?” e di costringermi da quella volta in poi a sedute di ceretta trimestrali, andava sfanculato per mille e altri motivi che non sto qui a dirvi. Ma io, stoica mancata principessa, volevo il MIO ballo. L'ultima volta che l'ho sentito è stata quando gli stavo dicendo: Ok però se torni presto con questo tuo collega io comunque al ballo CI VOGLIO ANDAR...” Clic. Di quella volta che mi volevi tanto attaccare al muro e sono rimasta appesa al bancone del bar Lui, piccolo giovinetto. Non solo d'età, non solo d'altezza. Era uno tutto o' sole o' mare a pummarola n'coppa. Uno di quelli che ti mette allegria. O ti fa venire voglia di spaccargli la faccia, a seconda. Limonammo anni orsono ma non funzionò. Poi ci ribecchiamo per caso e conoscendo il beneficio di due che si rivedono e che non hanno mai consumato, scatta l'ormone a mille. Per entrambi. Passiamo un intero pomeriggio a parlare delle cose, fatti, persone, città successe negli ultimi anni. Facciamo in modo di rivederci anche la sera (fin qui, a riscriverla, sembra davvero qualcosa che vi ho già raccontato). In questo locale lui si presenta con il fare più marpione che si sia mai visto, si sarebbe fatto anche lo stipite della porta. Andiamo al bancone, prendiamo da bere. Facciamo finta di parlare di cose che ci interessano. Lui mi prende la mano destra e ME LA LIMONA. Così, PAM. Davanti agli occhi. Io, che sto cercando di infilare due parole di senso compiuto una dietro l'altra (“no, perché io.....casa.....albero”) subisco un po' il colpo di questa mossa da manuale. Voglia a mille, lui anche, volesse dio che finalmente dopo tre anni qua riusciamo a chiudere la questione? Io sorrido, ah ah ma che fai burlone, insomma andiamo da un'altra parte a fare queste cose, pu pu pi tu pah! Lui dice “scusa, vado un secondo in bagno”, io dico ok. Più visto. Ci tenevo quindi a raccontarvi questo spaccato della mia vita privata (privata?) ma c'è chi dice che con questo genere di repertorio ne potrebbe uscire un altro, ottimo, Diario di Bridget Jones. O un La Verità è Che Non Gli Piaci Abbastanza Altrimenti Ti Porterebbe Al Ballo Dell'Accademia. Per dire, eh.

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