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Non aspettatevi troppo dalla fine del mondo

Creato il 05 gennaio 2013 da Unostudioingiallo @1StudioInGiallo

Oggi il grande, grandissimo Umberto Eco compie ottant'anni.
Il 13 maggio 2011 ho avuto il piacere - e l'onore - di assistere a una sua straordinaria lectio magistralis presso il Salone Internazionale del Libro di Torino. Vi ripropongo le mie riflessioni a riguardo, pubblicate qualche tempo fa sul blog di Uno Studio In Giallo:

Non aspettatevi troppo dalla fine del mondo

Umberto Eco


Tema: Fare romanzi: libertà e costrizione dello scrittore.
Svolgimento... beh, da par suo.
Raramente ho provato un'emozione così forte al cospetto di uno scrittore (e solo pochi mesi fa mi sono impelagata in una conversazione surreale con Alessandro Baricco!), e ancor più raramente mi è capitato di partecipare con tanto entusiasmo a una conferenza: bocca aperta e occhi spalancati dal primo all'ultimo minuto, e il tempo è volato via in fretta.
Certo il carisma del relatore ha giocato un ruolo importante: in Umberto Eco si coniugano felicemente lo scalpitare di un'intelligenza poderosa e un elegante, irriverente sense of humour...
Non aspettatevi troppo dalla fine del mondo
Ma vi è di più, ne sono ben consapevole.
Eco è l'autore di due romanzi, Il nome della rosa (1980) e Il pendolo di Foucault (1988), che ho amato - e amo ancora - visceralmente. Romanzi che ho letto e riletto con l'avidità della vera passione e ho sempre giudicato perfetti, inarrivabili.
Trovarmi faccia a faccia (decima fila conquistata sfoderando gli artigli) con il creatore di Guglielmo da Baskerville e Adso da Melk, di Casaubon, Diotallevi... dell'adorato Jacopo Belbo!, ascoltare dalla sua voce la genesi di quelle storie e di quei personaggi mi ha catapultata, letteralmente, in un'altra dimensione.
Non aspettatevi troppo dalla fine del mondo

Il preambolo, a onor del vero, è stato scioccante: Uno degli aforismi del grande Stanisław Jerzy Lec è: "Non aspettatevi troppo dalla fine del mondo" ... e non aspettatevi ... che io vi parli troppo del Nome della Rosa, ha esordito il Maestro, perché io odio questo libro e spero che anche voi lo odiate. Di romanzi ne ho scritti sei e gli ultimi cinque sono naturalmente migliori, ma per la legge di Gresham quello che rimane più famoso è sempre il primo...
Ne ha parlato con amore, tuttavia, raccontando dei mesi trascorsi a disegnare piantine dell'abbazia in cui si sarebbe svolta la vicenda, di come abbia costruito i dialoghi fra i monaci in modo che si esaurissero realisticamente in un dato tragitto dell'abbazia... misure, calcoli, infinito amore.
I miei romanzi sono nati tutti da un'idea seminale, ha spiegato a una platea che pendeva dalle sue labbra, che era poco più di un'immagine: un monaco avvelenato mentre legge un libro in una biblioteca, un ragazzo che suona la tromba a un funerale di partigiani... Basta che tu scelga un personaggio, o una situazione, e lo metti lì... dopodiché puoi sederti in poltrona a limarti le unghie: il personaggio va avanti per conto suo.
Finché lo sventurato autore non si ritrova ingabbiato nelle costrizioni che egli stesso ha dato per presupposte: Una delle costrizioni del pendolo era che ... insomma, mi piaceva che i personaggi avessero vissuto gli eventi del 1968. Ma siccome poi Jacopo Belbo scrive i suoi files sul computer, e i primi personal computer entrano in commercio nell'82-'83, io dovevo far passare del tempo dal '68 all'83... e non sapevo cosa far succedere.
Non aspettatevi troppo dalla fine del mondo
Rispolvererà poi, come sappiamo, alcune interessanti esperienze sudamericane... 
La letteratura, a ben vedere, si basa sempre sulle costrizioni: pensate all'inflessibile costruzione dei canti di Dante, pensate alla rima, al metro... ma è lo stesso anche in pittura se si sceglie olio o tempera.
Il resto è lavoro ai fianchi, artigianato di genio, disciplina.
Vi sono momenti, poi, in cui l'improvvisazione guadagna spazio e si può godere appieno delle gioie della creazione. E' il caso della scena del cimitero, una delle più suggestive del Pendolo di Foucault e l'unica scritta a computer: muovevo le mani sulla tastiera come al pianoforte, ha confessato con un sorriso. E' stata come una jam session.
Ho ripensato così all'appagamento e allo sconcerto che ho provato leggendola, questa scena; leggendo l'intero romanzo.
Un libro "bello e necessario", come ha osservato Severino Cesari su Il Manifesto, "perché intelligentissimo, scintillante d'arguzia, e inoltre perché eruditissimo, e perché svolge un'importantissima tesi ideologica: nientemeno contrastare la Teoria del Complotto che da tempo immemorabile ci spinge a cercare un Segreto sotto il velo del mondo... Come poche volte succede, si chiude il libro con la sensazione di aver compiuto una esperienza necessaria".
E' così che mi sono sentita, quel giorno.
Catapultata in un'esperienza necessaria e, come direbbe senz'altro il Maestro, "onanisticamente deliziosa".
Poco importa che una mano destra fasciata abbia impedito il sacro rituale degli autografi.
E' stato un dolore piccolo, senza traccia.
Nell'estasi pura di un amore infinito.
Simona Tassara

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