Non bastano perchè non è umanamente possibile rendere giustizia ad un film straordinariamente bello come “The king’s speech”, che ho visto domenica sera, in una sala strapiena di gente nonstante sia presente al cinema ormai da più di un mese e mezzo. Una storia, quella raccontata, che può sembrare totalmente frutto della fantasia romantica di un qualche sceneggiatore, ma che in realtà è documentata: Lionel Logue, scienziato logopedista australiano, nel 1937 viene insignito del titolo di Cavaliere dell’Ordine Reale Vittoriano (MVO), che nel 1944 viene elevato a Comandante (CVO), ed è noto per aver curato la balbuzie di Re Giorgio VI. Nella pellicola diretta dal regista inglese Tom Hooper, Logue è interpretato da uno splendido Geoffrey Rush, che è veramente australiano naturalizzato inglese, che ha all’attivo una quantità incredibile di successi ma che è ricordato soprattutto per aver ottenuto l’Oscar per la sua interpretazione in Shine, nel 1997. Colin Firth è invece Giorgio VI e penso proprio che con questo film abbia raggiunto l’apice della sua carriera, non solo perchè l’interpretazione di un sovrano gli è valsa la statuetta tanto ambita, ma perchè ha dimostrato di essere veramente un attore superbo, capace di rendere perfettamente l’idea del disagio vissuto da un balbuziente. A lui piace dire che il ruolo al quale è più affezionato è quello di Marc Darcy ne Il diario di Bridget Jones; beh, è sicuramente uno dei film più deliziosi mai realizzati dal cinema inglese, ma perchè ricordarlo con un terribile maglione con le renne addosso quando Tom Ford che l’ha diretto in A single man l’ha reso campione di impeccabile eleganza?
I due protagonisti, Firth e Rush, si erano già precedentemente incontrati sul set di Shakespeare in love, altra pellicola meravigliosamente trasudante romanticismo, ma dotata di splendide musiche, splendidi costumi e splendidi scenari, dove Rush è Philip Henslowe, impresario teatrale inglese, mentre Firth è Lord Wessex, colui che finirà per sposare Viola De Lesseps, l’amata di Will Shakespeare, interpretata da Gwyneth Paltrow. Non si sa bene per quale motivo, a Colin Firth riescono bene i ruoli di imbranato un po’ goffo, come ha dimostrato per Bridget Jones, per Shakespeare in love, ed ora per Il discorso del re. Perchè Bertie, che diviene re Giorgio VI in seguito alla morte del padre, re Giorgio V (interpretato da Michael Gambon, già Albus Silente in Harry Potter, dal terzo episodio in poi), e successivamente a causa dell’abdicazione del fratello Edoardo VIII, soffre di una balbuzie che nemmeno i più illustri luminari del regno sono riusciti a curare. Solo Logue, dopo un inizio di rapporto un po’ burrascoso, riesce ad entrare in sintonia con il sovrano, riuscendo ad instaurare quel rapporto di fiducia che li accompagnerà per il resto della loro vita. E’ di questo che aveva bisogno, re Giorgio? Sì, aveva un terribile bisogno di un amico, di una persona che lo aiutasse ad acquisire quella fiducia in sè stesso, quella consapevolezza del ruolo che è stato costretto a ricoprire ma che in realtà non voleva, perchè nessuno lo aveva mai fatto sentire all’altezza. Lui, Bertie, duca di York, era sempre stato il secondo, il fratello minore dell’erede al trono, una personalità timida, introversa, insicura, vessato da un padre un po’ troppo duro, addirittura scartato dalla balia che non lo nutriva. La moglie, Elizabeth, la futura Regina Madre, si rivolge a Lionel Logue, consapevole dei metodi poco ortodossi da lui utilizzati, per amore del marito, perchè sa che la medicina “ufficiale” non avrebbe mai potuto aiutarlo. Bertie ha bisogno di un’overdose di autostima e la troverà solo da Logue, che dopo il primo discorso tenuto dal sovrano nel 1939, lo accompagnerà per sempre, dandogli forza e fiducia.
i "veri" re Giorgio VI e Lionel Logue
Una storia davvero toccante, quella dell’amicizia tra il re e il suo logoterapeuta, qui resa da un’ intensa interpretazione di tutto il cast, passando da Helena Bonham Carter, nel ruolo della Regina Elisabetta, a Timothy Spall, perfetto nel ruolo del burbero e autoritario Winston Churchill. Eccellente anche la fotografia, soprattutto nelle inquadrature all’interno dello “studio” di Logue, come anche le musiche, realizzate dal compositore francese Alexandre Desplat, già autore della colonna sonora di The Queen, altro “reale” film britannico, e che è stato scelto per le musiche di Harry Potter e i doni della morte – parte I.
Lo definirei tranquillamente il miglior film della stagione, a parimerito di The Social Network, con un’unica postilla: da vedere e rivedere, in lingua originale, perchè per quanto siano bravi i nostri doppiatori, l’interpretazione balbettata di Firth in inglese è divina, assolutamente divina.