Non c’é pioggia che tenga

Creato il 06 maggio 2015 da Insonniamarina

Il sole si sta svegliando, ma Insonniamarina è già arzilla da un bel po’, diciamo che dalle 4 o forse anche prima. A quell’ora la pioggia ticchettava allegramente sul tetto facendo presagire una giornata piuttosto autunnale. Non c’è como l’insonnia per far vacillare anche i più intrepidi esploratori, che poi in questo caso tanto intrepidi non sono. Comunque mentre stavo per soccombere alle lusinghe della pigrizia  ecco che  sono accorse a soccorrermi due voci familiari e lontane: “Fatte animu!” mi esortava la prima in genovese.  “Fatti animo, non arrenderti per così poco. Alzati e vai!” insisteva l’altra. Madre e figlia, ossia nonna e mamma erano riapparse dalle brume del passato per riscuotermi dal torpore e spronarmi all’azione. Ed io figlia e nipote tutto sommato obbediente sono scattata sull’attenti e mi sono messa in moto: caffè, doccia e poi un attimo di esitazione al momento di valutare che libro mettere in borsa. In fine “Si parte” annuncio speranzosa, tanto speranzosa da non portarmi neanche l’ombrello, perché è pensate e ingombra. Nel frattempo ha smesso di piovere ed io sono speranzosa. Mi metto in macchina, le strade sono sgombre, la città è ancora sonnolenta. E’ bello transitare all’alba immaginando le avventure che mi attendono, le incognite di un viaggio lampo, di una breve escursione a Vancouver. Non c’è traffico e si arriva in breve al terminal traghetti. E’ un martedì qualunque, non c’è fila alla biglietteria. Da bordo la vista è splendida. Il sole, timidino, tenta di aprirsi un varco tra le nuvole. Si specchia tra le acque argentate. Laggiù è silenzio, natura incontaminata, solitudine e pace.

C’è un senso di mistero nell’aria. Cammino da prua a poppa per godermi il panorama da entrambi i lati, per vedere tutte le isolette di quest’arcipelago che circonda l’isola di Vancouver. E’ un puzzle di isole e pinete avvolte dal silenzio di una giornata quasi invernale.

Il sole inizia a sorgere, ma le nuvole hanno la meglio.

Sono appena le sette e gli altri passeggeri se ne stanno al calduccio a sorseggiare il primo caffè della giornata. Io invece non voglio perdermi questo spettacolo fantastico. Opto per un altro giretto dopo aver meditato di tornare dentro. Mi aggiro meditabonda. Come al solito ho freddo. Cerco di scaldarmi le mani e parte uno scatto a sorpresa. Se avessi cercato di raggiungere questo effetto selfie di riflesso non ci sarei certo riuscita. Invece eccomi qui, francamente un po’ infreddolita. Continuiamo la navigazione, ma la brezza mattutina inizia a farsi sentire. Il freddo mi fa prudere le mani. E’ uno strano effetto collaterale. Sarò diventata allergica alle basse temperature. Con l’età questo ed altro. Ma suvvia non posso mica arrendermi così. Ancora qualche scatto e poi vado dentro. Nel frattempo mi imbatto in una cartina che illustra in modo più razionale del mio sguardo erratico la geografia della zona. Il traghetto fa lo zig zag tra le isole per raggiungere la terra ferma.

Non riuscirò mai a ricordare i nomi di tutte queste isole e soprattutto a riconoscerle, ma non mi stanco mai di ammirarle.

Mi guardo intorno e mi vengono in mente i versi di Antonio Machado: “Caminante no hay camino, sino estelas en la mar”. Una traccia evanescente segna il cammino percorso. Il cielo lentamente si rischiara. Intravvedo un piccolo faro in miniatura.

Eccolo lì solitario tra gli alberi. Le parole non riescono a captare il mistero di questi orizzonti.



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